La Via della Seta era un reticolo di percorsi che consentiva lo scambio commerciale tra Asia ed Europa. Lunghe carovane di cammelli trasportavano ogni tipo di mercanzia. Un Interessante aspetto di questi traffici era il trasporto delle uova dei bachi da seta dall’Oriente verso l’Europa. In questo senso era quindi sostanzialmente un “viaggio di ritorno” con lo scopo di approvvigionare i coltivatori di gelsi ed i produttori di seta.
Anche l’Odissea fu un viaggio di ritorno. Un ritorno verso “casa”, da Troia verso Itaca.
Ed anche l’Eneide fu un viaggio di ritorno verso le “proprie origini”, da Troia verso le coste laziali.
E così anche “il viaggiatore viaggiante” , alias Oscar Manfrin, effettuerà un “viaggio di ritorno” percorrendo il versante settentrionale della “via della seta”.
Partirà da Hong Kong in treno per arrivare a Xi’an, la vecchia capitale dell’impero, la città del Gran Khan e di Marco Polo. Xi’an è anche la località dell’imperdibile Esercito di Terracotta.
L’itinerario proseguirà in ferrovia fino a raggiungere Kashgar, epicentro degli antichi traffici internazionali ma ancora oggi famosa per i suoi mercati. Dopo una breve sosta tenterà di attraversare alcuni passi montani fino a raggiungere Tashkent capitale dell’Uzbekistan. Superata la leggendaria città di Tamerlano, Samarcanda, raggiungerà le storiche città di Bukhara e Khiva. Evitato l’Iran, solo per motivi di sicurezza, e il Turkmenistan che ha respinto la richiesta del visto d’ingresso, il percorso sarà ripreso nella Turchia Sud-Orientale a Gaziantep per poi raggiungere Alessandretta (l’attuale Iskenderun) ed Antiochia. Da lì il percorso sarà prevalentamente via mare attraverso il Mediterraneo, passando per Cipro e la Grecia, per concludersi a Venezia proprio nel settecentesimo anniversario dalla morte di Marco Polo.
“Un viaggio ci porta a conoscere nuovi mondi e nuove genti”. Così scrissi sulla home page di questo blog già otto anni fa prima di partire per il mio “viaggio della vita”. Per “genti” intendevo popoli, culture, tradizioni e, ovviamente, persone. Anche nel corso di questa mia ultima avventura groenlandese ho fatto alcuni incontri molto significativi che avrei il piacere di raccontare. Ne ho scelti alcuni:
Jacob
Oscar! Mi sento chiamare nella piccola sala degli arrivi dell’aeroporto di Kulusuk. Scarico la valigia dal carrello dei bagagli e dopo un attimo la vedo già sul pullmino bianco dell’albergo. Arrivati a destinazione mi viene assegnata la camera ma alla mia richiesta di cibo mi viene risposto che in albergo non si pranza. La cena verrà servita puntualmente alle 18,00. Il manager tuttofare mi accompagna al piano superiore dove c’è il bar con un bel bancone in legno. “Serviti, birra o vino, quello che vuoi e poi scrivi il numero della tua camera sul bigliettino”. E per mangiare? Spalanca la porta della cucina, apre la porta del frigorifero “prendi tutto quello che vuoi”. Trovo salumi, formaggi, salmone, acciughe, olive, burro. Insomma un po’ di tutto, e sul grande tavolo diverse tipologie di pane bianco e integrale. Lui se ne va ed io mi servo. E all’ora di cena? “Jacob, some wine, please”. Pinot grigio o chardonnay? Fatta la scelta agguanta la bottiglia, la stappa rapidamente, ne versa metà nel mio calice e l’altra metà nel suo. Skoll, un sorso e via di corsa per svolgere altre attività. Durante il mio soggiorno Jacob è sempre molto servizievole, sorridente e simpatico, e così quando ritorno da Tasiilaq mi sento a casa mia. All’ora di cena si ripete la cerimonia del brindisi: skoll e per di più il vino mi viene offerto. Grande Jacob!
La “rossa americana”
Sbarca dal mio stesso volo proveniente da Reykiavik, lei con destinazione Tasiilaq, io invece mi fermo qui, a Kulusuk. Come tutti i passeggeri in arrivo è felicissima e sorridente. Mentre sono in attesa della consegna della valigia mi pone la tipica domanda: where you come from? Italy. E così inizia a farmi festa, mi spiega che vive a San Francisco ma che ha sangue completamente italiano. Padre e madre erano entrambi di origine siciliana. Mi mostra una fotografia che la illustra ventenne. Mi fa notare che i capelli erano rossicci. Sorridendo le dico che ne conosco il motivo ma non ho il tempo necessario per spiegarmi perchè l’elicottero per Tasiilaq è in partenza. Qualche giorno più tardi ci rincontriamo casualmente sempre all’aeroporto di Kulusuk. Saluti e risate ma prima di ripartire mi chiede di terminare il mio racconto riguardo i suoi capelli rossi e le origini italiane. La mia spiegazione è di tipo storico. Le racconto che la Sicilia è sempre stata terra di conquista. Sull’isola sono passati gli antichi greci, i cartaginesi, i normanni, gli arabi ed anche gli inglesi durante l’epoca imperiale. Scozzesi e irlandesi erano sicuramente una componente di quell’esercito e, come noto, quella popolazione ha la più alta percentuale al mondo di uomini e donne coi capelli rossi. Una bella risata, un abbraccio e la signora si imbarca.
Kristen, sempre in giacca
I suoi capelli lunghi e ricci non passano inosservati qui, nessuna signora si acconcia in questo modo. Ma ciò che mi stupisce ancora di più è che indossa sempre una giacca elegante ed un lungo giaccone invernale. Una “mise” da città che mi colpisce perché qui nessuno si veste così. Vive e lavora a Nuuk però è danese, molto danese. Simpatica, aperta, sorridente anche perché finalmente è riuscita a prendere il volo da Tasiilaq a Kulusuk. Per quattro giorni, causa maltempo, è rimasta bloccata sull’isola assieme ad una collega. Project manager di una azienda di informatica era sull’isola per un commissioning. Arriviamo a Kulusuk in elicottero in una mattinata di sole e in assenza di vento. Tutti i nove passeggeri dell’elicottero, io compreso, hanno la coincidenza per Nuuk. Dopo alcune ore di attesa in aeroporto, a metà pomeriggio, arriva la notizia: il volo è cancellato causa maltempo. Io a Kulusuk ormai ero di casa ma per gli altri passeggeri era una novità assoluta. Ritrovo con piacere l’amico Jacob e qui divento la guida del piccolo gruppo di viaggiatori che si è appena costituito. In pochi minuti arriviamo all’albergo dove ci vengono assegnate le camere. Passo dal bar per bere qualcosa e trovo un bag-in-box di chardonnay. Mentre mi sto servendo arriva lei e, molto cordialmente, le offro un bel calice di vino seguito da un “welcome”. La sera, dopocena, sempre davanti ad un calice di vino bianco facciamo una lunga chiacchierata nel corso della quale mi racconta tanti aspetti della cultura locale. Una telefonata col marito interrompe la conversazione. Buonanotte.
La leccese col pesto
Nel soggiorno-ristorante della Sarfaq Ittuk ci sono solo tavoli da 6 persone. Io viaggio da solo quindi cerco sempre tavoli vuoti e quando non ce n’è scelgo il più vuoto. E così una sera per cena mi siedo casualmente ad un tavolo dove c’è una signora, sola, più o meno della mia età, di nazionalità sconosciuta. Grazie ad una occhiata furtiva noto che sta leggendo un libro di Oriana Fallaci, deduco che sia italiana. Ci scambiamo un paio di battute e poi non mi molla più. Sta viaggiando con una amica di Crema, mi racconta un sacco di cose, incluso i suoi problemi digestivi. Aggiunge che la cucina locale non la soddisfa, che i gamberi qui hanno le uova e non hanno sapore. E così sceglie di pernottare nei B&B con cucina per essere autonoma e cucinare ciò che meglio le aggrada. Poi aggiunge che si è portata da casa la pasta e persino il pesto. No, questo è troppo!
La “signora di Nuuk”
Dopo aver trascinato la mia valigia durante la visita al Museo Nazionale della Groenlandia e alla Cattedrale di Nuuk mi viene un certo appetito. Mi rivolgo alla prima persona che incontro. La signora mi consiglia di andare al City Centre dove c’è un Café. Mi indica il palazzo che in seguito scoprirò essere il più alto della Groenlandia. Grazie signora. Il giorno successivo mi trovo a Sisimiut, 320 km a Nord di Nuuk. Durante lo stop di due ore della Sarfaq Ittuk ne approfitto per far due passi e visitare la cittadina. Dopo aver lasciato il porto mi trovo nel centro abitato. Inaspettatamente mi sento chiamare, è la signora di Nuuk che, accompagnata dalla madre, mi riconosce! Scambiamo due chiacchiere, due risate e un saluto. Ma non è finita qui. All’aeroporto di Copenaghen, la settimana successiva, mentre aspetto la riconsegna della mia valigia arriva di nuovo lei, sempre lei. Mi viene incontro, mi saluta calorosamente, mi indica figlio e marito. Stanno partendo per una vacanza in Portogallo. Mi bacia su tutte due le guance e scatta un selfie, entrambi sorridenti e assolutamente meravigliati. Ma quanto è piccolo il mondo?
Di nuovo in battello tra i ghiacci per lasciare l’isola di Disko e ritornare a Ilulissat. Dopo una leggera pioggia riappare il sole che rende la traversata molto piacevole. Un elicottero vola sopra il battello, si abbassa e disegna cerchi in cenno di saluto. Per cena sardine fritte ma non mi perdo l’emozione dell’ultimo sole di mezzanotte dalla terrazza dell’albergo. La mattina successiva volo in bimotore rosso per Kangerlussuaq, l’hub groenlandese costruito nel bel mezzo del nulla. Breve sosta e di nuovo in volo, destinazione Copenhagen. Recupero le quattro ore di fuso e infatti qui incomincia a far buio, non c’è più neve né ghiaccio, 17° e cielo coperto. Decido di pernottare a Malmo perché è più piccola, la conosco meno ed è anche più economica. In un attimo prendo il treno. In fianco alla linea ferroviaria un parco di celle solari mentre in mare vedo una cinquantina di pale eoliche. Tutto molto sostenibile. Tre minuti e ci si infila nel tunnel sottomarino per rivedere la luce sull’isola artificiale. In un attimo mi ritrovo sul mare che scorre veloce. Di nuovo la terraferma, due fermate intermedie per poi raggiungere Malmo Central. Sedici km di mare superati in sei minuti, ferry boat cancellati per sempre. 21 minuti complessivi per percorrere la tratta Copenaghen Aeroporto/Malmo Central. Ponti Si o ponti No, la comodità è indiscutibile. Sono stato informato da più fonti che Malmo non è una città sicura, pare che girino bande pericolose. Cosa da non credere pensando allo stereotipo svedese. E invece a quanto pare è, o meglio era, proprio così. Per cena, già a tarda sera, vado in una piazzetta molto affollata perché circondata da bar e ristoranti. Noto con un certo stupore che ogni locale è protetto da pannelli di vetro o da recinzioni metalliche. Ad ogni ingresso ci sono guardie armate e la security è ovunque. La città si affaccia sul mare con un bel faro bianco e rosso, ha canali dove famiglie e gruppi di amici navigano godendosi la bella mattinata domenicale. Ma qui il meteo è molto variabile e nel giro di poche ore vedo alternarsi scrosci di pioggia a momenti di sole. Riesco comunque a pranzare all’aperto ma sotto gli ombrelloni e con i funghi di riscaldamento. Malmo è famosa anche per la buona cucina. Pranzo da Mando, uno dei migliori ristoranti della città. Deludente, molto meglio la zuppa di pesce della serata precedente. Ripercorro in treno il ponte Olesund in senso inverso e mi imbarco sull’ultimo volo di questo mio viaggio, destinazione Malpensa.
Qeqertarsuaq, un nome praticamente impronunciabile che significa la “grande isola”. La cittadina, fondata dai danesi nel 1773 per scopi scientifici, è il capoluogo dell’isola di Disko. Posta nella baia di Baffin è affacciata a Ilulissat dalla quale dista solo un paio d’ore di battello. Qeqertarsuaq si trova alla base di un promontorio molto frastagliato così da poter dominare il mare da più sponde. Mare che naturalmente è occupato da molti iceberg, uno dei quali a forma di arco. Alloggio allo hotel Disko, l’unico dell’isola, in una piccola camera mansardata dalla cui finestra vedo la chiesa. Il solito stabile in legno rosso con i bordi delle finestre bianche. Un bel gioco di tetti spioventi e una torre campanaria bassa, staccata dal corpo della chiesa. L’interno ha la solita configurazione ma qui le pareti sono bianche e azzurre e le panche colorate di rosso. Non manca un supermercato dove approvvigionarsi. All’entrata casalinghi ed altri attrezzi vari ma nel reparto successivo sono esposti diversi fucili da caccia, alcuni anche di produzione italiana, fortunatamente tutti protetti da una catena di sicurezza. C’è un po’ di tutto ma segnalo che trovo la mia preferita pizza surgelata ma anche pesto di produzione italiana, sia rosso che di basilico. E poi si sa, la Nutella … ovunque. Anche qui tanti cani da slitta lasciati all’aperto, ognuno legato alla propria cuccia. E anche qui non mancano i latrati. E’ sufficiente che inizi un cane ad abbaiare che tutti gli altri lo seguono, un concerto che può durare anche una mezz’ora ma non è fastidioso. Il museo locale offre più o meno sempre le solite cose mentre ho trovato più interessante il Kuannit Art. Una piccola casa blu dove Kristen offre tè e caffè, del vino zinfadel bianco o rosso. Per me questa è l’ora del “bianchino” che diventa super perché accompagnato dalla vista sugli iceberg. Nel locale sono esposti molti prodotti dell’artigianato locale che una anziana signora innuit mi presenta con passione. E chissà, forse anche per personale interesse, comunque gli stivali di pelle di foca che mi mette nelle mani sono bellissimi. Io ho molto apprezzato anche l’ambiente umano che qui si è venuto a creare con Kristen e gli altri visitatori. La mia curiosità tecnico-scientifica è eterna, vedo due tecnici che armeggiano attorno ad un palo con sensori meteo. Mi avvicino spiegando che noi a Milano facevamo monitoraggio ambientale già 40 anni fa. I tecnici mi spiegano un po’ di dettagli, mi mostrano le loro moderne apparecchiature, ma rimangono stupiti sentendo cosa facevamo noi allora. Pongo una domanda: come va il tempo? L’addetto meteo pesta i piedi su una larga chiazza di neve e dice: ma non vedi che è fine giugno e c’è ancora tanta neve. A quanto pare questa primavera è stata molto nevosa. Inoltre i ricercatori dell’Università danese stanno studiando l’effetto della fuoriuscita naturale dalla terra di gas metano e di anidride carbonica. Questi studi vengono condotti dalla Artic Station, un bellissimo palazzo in legno rosso con alle spalle le rocce delle montagne ancora cariche di neve. Di fronte, un curatissimo campo di calcio con erba sintetica e qualche piccola tribuna, questo sport si pratica davvero ovunque. Oltre lo stadio una spiaggia nera dove, nelle ore di bassa marea, si vanno a depositare piccoli blocchi di ghiaccio. E per concludere la mia permanenza sull’isola? Un piatto di granchi groenlandesi accompagnati da uno charmat francese.
“Tutte le cose grandi nascono piccole”. Così si intitola la descrizione che trovo nello Icefjord Centre di Ilulissat che prosegue: “Un iceberg inizia da un fiocco di neve … Una gocciolina d’acqua evaporata, proveniente da chissà dove, viene portata dal vento fino in Groenlandia. Nelle fredde nuvole artiche l’acqua diventa un cristallo di ghiaccio. Il cristallo di ghiaccio si lega con altri cristalli e diventa così pesante che cade su uno strato ghiacciato … E, come parte di una grande massa di ghiaccio inizia il suo lungo viaggio nel ghiacciaio che in seguito si spezza. Prende così forma l’iceberg. L’iceberg galleggia, naviga e si fonde. E così la gocciolina ritorna a far parte della grande massa d’acqua. Il ciclo continua ininterrottamente. Il ghiacciaio Sermeg Kujalleq, posto alla fine dell’Ilulissat Icefjord, e i tanti iceberg … creano le condizioni ideali per lo sviluppo della fauna marina. Quando un iceberg si stacca dal ghiacciaio e rovina in mare crea una turbolenza che muove l’acqua dal basso verso la superfice. Questo movimento favorisce lo sviluppo del plancton e delle alghe marine che attraggono i crostacei che a loro volta diventano cibo per pesci, foche e balene.” E le balene hanno attratto cacciatori, commercianti, esploratori, ricercatori… Veniamo al centro espositivo. Lo Icefjord Centre è costituito da un grande e bellissimo stabile tutto legno, ferro e grandi vetrate. Progettato da una architetta danese venne inaugurato nel 2019. L’edificio ricorda le ali di un uccello distese sul terreno e le vetrate consentono uno scambio continuo tra il visitatore e la natura circostante. Il Centro ospita la mostra permanente della “storia del ghiaccio” ed una sala dove viene proiettato un interessante documentario scientifico. Teche in vetro soffiato a forme irregolari mostrano reperti archeologici e la formazione degli iceberg. Al centro della sala sono esposti sei carotaggi di ghiaccio mantenuti ad una temperatura adeguata. Dopo una passeggiata sul tetto in legno si imbocca una lunga passerella che conduce i visitatori fino al bordo del fiordo. Dopo un centinaio di metri vi è posta una piastra metallica che segnala l’entrata nell’area protetta dall’Unesco. La passerella attraversa un’area verde con pozze d’acqua ed una flora molto nordica. Una scala in legno porta sulle rocce dalle quali si possono ammirare decine di enormi iceberg, alcuni alti più di 150 metri. La vista è immensa, lo spettacolo è da mozzafiato. Il ritiro del ghiacciaio è in atto dal 1850 ma è altrettanto evidente che la formazione di iceberg è continua. Da questo punto gli iceberg iniziano un lungo percorso attraverso la baia di Baffin, il Mar del Labrador, per finire nell’Oceano Atlantico Settentrionale. Questi iceberg si possono trovare dalla Norvegia fino al Portogallo. Nel 1921 un iceberg raggiunse le coste delle Azzorre! Ma nell’aprile del 1912 uno di questi blocchi di ghiaccio si trovava tra il Canada e la Francia. Durante una notte stellata una bellissima e velocissima nave stava navigando in questa zona. Gli addetti agli iceberg erano privi di binocoli e videro l’immensa montagna bianca in ritardo. L’allarme arrivò in plancia di comando troppo tardi. Ci fu un errore di manovra e la nave urtò l’iceberg. Il ghiaccio causò un enorme squarcio nella carena che nessun progettista avrebbe mai immaginato. Quella nave si ruppe in due tronconi, precipitò in acqua e si inabissò. Tutto questo si svolse nel giro di un paio d’ore. Quella notte morirono più di 1.500 persone. Quella bellissima e velocissima nave era il transatlantico Titanic.
La sera invece gli iceberg me li vado a vedere in battello. Si parte alle 21 e appena usciti dal porto il comandante fa lo slalom tra il ghiaccio, il mare è calmissimo, temperatura accettabile, vento moderato. La guida, una giovane danese, dà un po’ di ragguagli storici e scientifici per poi passare alla preparazione di un drink molto particolare. Sdraiata sulla piattaforma posteriore del battello raccoglie dal mare alcuni pezzi di ghiaccio che poi rompe per metterli nei bicchieri. Versa una tisana preparata con erbe locali e ci aggiunge del gin. Il liquore viene prodotto in Danimarca ma utilizzando l’acqua ricavata dai ghiacci di Ilulissat. Il risultato è una bevanda molto piacevole. Il sole illumina ancora bene gli iceberg che si susseguono l’uno dopo l’altro. Le dimensioni e le forme sono le più svariate. Con la fantasia si può immaginare ogni cosa ma uno piccolino aveva la forma di un coniglietto. Alcuni gabbiani volano in cielo o si lasciano galleggiare sul pelo dell’acqua. Si vede in lontananza qualche altro battello che scompare dietro un iceberg per poi riapparire. Il cielo è blu spezzato da qualche nuvola, il sole brilla ancora in cielo, sta per arrivare la mezzanotte. L’ultimo tratto, sgombro dai ghiacci, lo percorriamo ad alta velocità, a circa 25 nodi. Un brusco rallentamento e rientriamo in porto.
Per iniziare una bella zuppa: una brodaglia scura con un po’ di riso stracotto e pezzi di foca duri e amari. Direi che la zuppa di foca non è stata una buona esperienza e, a quanto pare, non solo per me. Vedo che non ha avuto un grande successo. Andiamo oltre, trascurando le verdure e la solita insalata di patate “alla tedesca”, affronto pesce e crostacei crudi. Gamberetti, filetti di halibut, granchi. Freschissimi, carni bianche, sapore delicato, chele arancioni lunghissime e colme di polpa. Ottimi. Esposti su dei fili trovo pezzi di halibut esiccato, duro e un po’ insapore. Bis di granchi ma non di halibut. Naturalmente a disposizione c’è una vasta selezione di salse, direi non solo maionese. Sul tavolo successivo patate e trancetti di balena, troppo duri, li evito. In fianco trovo dei pesci impanati e fritti, molto buoni e rifaccio un bis. Segue una specie di paella: riso (troppo cotto), mandorle e uvetta, gamberetti, tranci di halibut grigliato con qualche foglia aromatica. Buono anche se, ovviamente, meglio quella spagnola. Per dessert un po’ di frutta tropicale, forse non troppo locale, ed un dolcetto di cioccolato con crema. Tutto molto ben presentato e servito ma risulta chiaro che la cucina locale era sostanzialmente povera e basata su pesce e crostacei. Bevande? Un calice di vino bianco californiano, uno Zinfadel, forse un po’ troppo fruttato.
Illulisat, ovvero Kalaallisut, che in lingua locale significa “icebergs”. Non c’è nome più appropriato ed infatti la baia ne è colma. Non è ancora l’estremo Nord della Groenlandia ma siamo comunque sopra il 69° Lat Nord. Tutti questi imponenti iceberg si staccano dal ghiacciaio di Sermeq Kujalleq, largo 5 km, lungo 60 km, con spessore non ben definito ma sicuramente tra i mille ed i duemila metri. Viene riconosciuto come il più grande al mondo al di fuori dell’Antartide. Il ghiacciaio, nel 2004, è stato riconosciuto “Patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO. In questa zona sono stati trovati reperti archeologici risalenti a 3.500 anni fa che testimoniano la presenza prima degli Saqqaq e poi dei Dorset che vissero sostanzialmente di pesca e di caccia. Faccio davvero fatica a capire come ciò sia potuto accadere. Oggi Ilulissat consta di circa 5.000 abitanti ed è in rapida espansione a causa dello sviluppo del turismo. La cittadina è come sempre costellata di casette dai colori vivaci ma anche qui sono sorti i primi palazzi e alcuni grandi alberghi. Inoltre, sulle rocce dell’insenatura del porto, si impongono gli enormi serbatoi di carburante. E’ una cittadina tranquilla ma, come tutte le altre località, non ha una piazza, una agorà dove la gente si possa ritrovare. Del resto il clima non aiuta. Di fronte al mare, di fronte ai ghiacci, una bella chiesa costruita nel 1779. Questa volta di colore marrone scuro con finestre bianche ed un bel campanile. Due piccoli musei. Il primo dedicato all’esploratore Rasmussen allestito in una casa del 1917. Vi si trovano diverse collezioni di oggetti storici inclusi utensili, coltelli, arpioni, risalenti anche all’epoca quasi-preistorica. Vi si trova la ricostruzione di un vecchio ufficio postale, le immancabili slitte trainate dai cani ed i kayak. Il secondo è invece l’Art Museum dove sono esposti dipinti e stampe con soggetti locali. Le uniche opere che hanno attratto la mia attenzione sono tre acquerelli ai quali sono stati aggiunti, come coloranti, i liquidi provenienti da balene, foche e dal pesce halibut.
Ilulissat vive ciclicamente la notte artica durante l’inverno e le infinite giornate estive. Dal 21 maggio al 23 luglio qui il sole non tramonta mai. E difatti a mezzanotte, dalla mia camera d’albergo, vedo le montagne e le case illuminate dal sole.
Alle 21, puntuale, senza un colpo di sirena, la Sarfaq Issuk salpa. La nave bianca e rossa imbocca l’uscita del fiordo e lascia alle spalle i palazzi di Nuuk. Mare calmo, cielo blu e vento freddo. Nonostante la temperatura tutti i passeggeri sono sui ponti per godersi lo spettacolo. Ci vuole quasi un’ora per arrivare sul mare aperto, la nave aumenta la velocità, il mare da piatto si fa un poco mosso. La mattina si arriva con venti minuti di anticipo a Maniitsoq, la nave attracca e scendo a far due passi sul molo. È un villaggio con le tipiche case costruite sulla roccia ed un palazzone bianco le sovrasta tutte disturbando la vista. Si riparte puntualmente alle 7,30 per arrivare alle 11 a Kangaamiut. Qui la nave non attracca perché non c’è un molo sufficientemente grande, rimane ferma in mezzo al fiordo. Gli addetti calano un motoscafo arancione. Sei passeggeri ed un bambino, tutti dotati di salvagente, vengono portati a terra assieme a due sacchi di posta. Il villaggio è costruito sulle due sponde di uno stretto golfo. Un secondo trasferimento di passeggeri mentre solo due persone si imbarcano, il motoscafo viene issato a bordo e si riparte. La Sarfaq passa attraverso isole e isolotti, le montagne innevate si riflettono sull’acqua. Il mare si fa più mosso, le onde hanno creste di schiuma, qualche gabbiano ci vola attorno per poi abbassarsi velocemente alla ricerca di cibo. Alle 15,47 l’annuncio del capitano: welcome in the Artic. Abbiamo superato il Circolo Polare Artico (66°33’49” Lat Nord), non è la mia prima volta ma è sempre una emozione. Alle 17 arriviamo a Sisimiut, seconda città della Groenlandia con quasi seimila abitanti. Grazie all’influsso della Corrente del Golfo il porto è sempre libero dai ghiacci ed infatti da qui partivano le baleniere. Sul molo del porto sono impilati decine e decine di container. Almeno una trentina sono dei grandi congelatori. I condizionatori indicano -25°, la catena del freddo è assicurata ma quale consumo di energia! Il panorama della città è quello ricorrente: case abbarbicate sulle rocce tinteggiate dai mille colori. A Sisimiut però si trovano anche alcuni edifici storici: la chiesa in legno più antica dell’isola risalente al 1775 ed un interessante museo sulla cultura dei primi abitanti, gli Saqqaq, già presenti nel 2.500 ac. A quest’ora purtroppo il museo è chiuso ma si può passeggiare attorno ai vecchi stabili. E’ quasi ora di ripartire, gli addetti caricano a bordo il piccolo box metallico adibito a “reception”, si richiude la passerella per lo sbarco, si liberano gli ormeggi e la nave riparte. Cielo azzurro, qualche nuvola leggera, mare calmo. La notte passa tranquilla, verso le 8 del mattino si attracca ad Aasiaat. La nave si ferma una mezz’ora per cui scendo al volo, arrivo sul molo dei pescherecci ma è tutto vuoto, così pure l’adiacente mercato del pesce. Si riparte e cominciano ad apparire i primi iceberg, sempre più grossi, sempre più frequenti. Abbiamo imboccato la baia di Disko, la Sarfaq Issuk naviga quasi zigzagando. Puntualissima, alle tredici, la nave entra nel piccolo porto naturale di Ilulissat.
Nonostante i ritardi e le cancellazioni dei voli arrivo a Nuuk, anche se con un giorno di ritardo. Per i danesi il nome della città è Godthab, che significa “buona speranza”, ma venne sostituito nel 1979 dal governo locale con Nuuk che invece significa “capo”. La città è infatti posta al termine del fiordo Nuup Kangerlua ed è circondata da montagne innevate. Siamo nella Groenlandia occidentale che si affaccia al mare del Labrador e quindi al Nord del Canada. Sede del governo locale la città ha recentemente superato i 19.000 abitanti che rappresentano circa un terzo della popolazione dell’isola. I residenti sono in continuo aumento e la necessità di nuove case è confermata dall’enorme numero di gru che si possono vedere ovunque. Città moderna, forse troppo, e un po’ fredda, non solo per il clima. In centro una strada pedonale dove si affacciano molte attività: il Katuaq Culture Centre sito in uno stabile moderno che ricorda un’onda, e il Nuuk Centre, il palazzo più alto e più grande di tutta l’isola che ospita un centro commerciale. Un ambiente molto nordico, pulito e tranquillo fino a quando tutto a un tratto sento urla e canti. Ad infrangere il silenzio sono gli studenti delle superiori che oggi si sono diplomati. Una lunga e festosa catena umana composta da ragazzi con pantaloni neri e camice bianchissime e ragazze in abiti tradizionali dai mille colori con stivali vintage in pelle bianca. Tutti portano un baschetto bianco. Nel “cafè” ,dove famiglie e gruppi di giovani pranzano, il piatto più popolare è la pizza. Di fronte invece c’è il Caffè Pascucci, più sobrio, dove vengono serviti espressi e cappuccini. Poco più avanti la cattedrale luterana, il solito stabile in legno rosso ed una torre che termina con un tetto a piramide. All’interno panche grigie ed un semplice altare. Entra una famiglia con un neonato ed un pastore donna in maglietta tiene una lunga predica. Nel mezzo della navata, di fronte all’altare, una brocca con l’acqua, si tratta di un battesimo celebrato senza molta enfasi. Di fronte alla cattedrale il mare blu, rocce e una piccola spiaggetta. Poco più in là il Museo Nazionale della Groenlandia. All’interno una grande raccolta di reperti storici dell’antica cultura locale: abiti tradizionali, ambientazioni molto ben eseguite e antiche barche con lo scheletro in legno ricoperto da pelli foca. Non può mancare una completa collezione di kayak. Il pezzo forte del museo sono senza dubbio le mummie di Qilakitsoq. Scoperte casualmente nel 1972 da una coppia di fratelli cacciatori, risalgono a circa 500 anni fa. Quattro corpi di cui una mamma col proprio bambino di circa sei mesi. E’ interessante notare come la storia di questo paese sia stata influenzata dall’arrivo degli islandesi, norvegesi e soprattutto dai danesi, ma in modo anche più rilevante dai cambiamenti climatici: prima l’epoca dei cacciatori e del clima mite, poi l’arrivo della piccola glaciazione caratterizzata da una forte riduzione della popolazione, e infine, la deglaciazione che ha favorito l’arrivo dei coloni e la modernità.
Duemila abitanti e strade asfaltate, anche se la più lunga è solo di 3 km. Questo è un po’ più di un villaggio, è un bel paesotto affacciato ad una insenatura naturale stretta e profonda: il Kong Oscar (!) Havn. Qui c’è vita, la gente passeggia al sole mentre i bambini giocano a calcio nella piazzetta di fronte la scuola. C’è un centro sociale, un ospedale, un supermarket e una strana chiesa a pianta quadrata. C’è un piccolo porto commerciale dove attraccano anche le navi e sul mare del fiordo galleggia un grande iceberg. L’albergo riprende l’antico nome dell’isola: Angmagssalik, posto in posizione panoramica domina il paese. Qui si può bere del vino o della birra ma, in accordo ad un provvedimento del settembre 2021, è proibita la vendita di alcolici. La decisione fu presa dalle autorità locali per evitare le quotidiane violenze domestiche e i suicidi soprattutto da parte dei più giovani.
Oggi è il 21 giugno, il giorno del solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno. In accordo ad un sito specializzato qui il sole è sorto alle ore 00,59 e tramonta alle 00,00. Cielo terso la mattina ma completamente coperto la notte.