Sono in volo seduto tra una ciarliera donna anziana ed un addetto alla sicurezza. Lei, originaria di Hong Kong, parla continuamente consultando il suo cellulare ultramoderno. Quando si riferisce alla Cina Popolare e alla sicurezza abbassa la voce, un po’ di prudenza non guasta mai. Lui ogni mezzora effettua una operazione di controllo percorrendo tutto il corridoio dell’aereo. I tempi della sua attività vengono scanditi da una specie di orologio che porta al polso sinistro collegato (wireless) ad un piccolo attrezzo elettronico che porta sulla spalla, un mix tra una radio-trasmittente ed una macchina fotografica. Inoltre con un conta-persone manuale verifica accuratamente chi sale e chi scende. All’arrivo presso la ex colonia inglese trovo un accurato controllo immigrazione, già ma dopo aver fatto un’estenuante coda all’aeroporto di Pechino lungo il corridoio destinato ai transfert per Hong Kong e Macao. Tutto come se fossero due stati separati, e in effetti lo sono. Governi semi-indipendenti e valute locali: qui vige il Dollaro di Hong Kong mentre a Macao la Pataca. Hanno più o meno lo stesso valore e nulla hanno a che fare con il Renminbi cinese la cui unità base è lo Yuan. Un treno veloce percorre i 25 km che portano alla città passando da un’isola all’altra. Si supera Kowloon, un agglomerato di grattacieli che accoglie due milioni di abitanti. Impressionante, una serie di abitazioni che si susseguono l’una dopo l’altra, mi ricordano solo i termitai africani. A causa del clima tutte sono dotate di AC e chissà quanti ascensori, penso all’enorme quantità di energia richiesta. Taxi rossi ad Hong Kong, vecchiotti ma economici, almeno per noi. Ed ora ho solo bisogno di dormire e di fare riposare la mia schiena.

Allora caro il mio ” Marco Polo” buon riposo e poi via a caccia dei bozzoli.
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