LE MINIERE DI CARBONE DI LONGYEARBYEN, VISITA ALLA “GRUVE 3”

Nel 1906 un americano di nome John Munro Longyear diede inizio alla estrazione del carbone. La città prende il nome di Longyearbyen proprio in sua memoria. Per decenni la comunità locale dipendeva dalla società mineraria, la Store Norsk. All’inizio dell’attività mineraria nel villaggio risiedevano solo uomini, minatori e personale di servizio. Solo più tardi arrivarono anche le donne. Si formarono così delle famiglie, si dovettero costruire delle abitazioni, delle scuole e così la comunità divenne una vera e propria città, seppur di piccole dimensioni. Alcuni decenni più tardi la Store Norsk fallì e dovette intervenire il governo norvegese per salvare la compagnia dalla bancarotta. In seguito l’attività estrattiva crebbe fino ad aprire sette miniere, attualmente solo la miniera 7 è attiva. La miniera 3 è invece visitabile e rappresenta una perfetta testimonianza della struttura industriale e delle condizioni di lavoro di cinquant’anni fa.

Immerso nel buio della notte artica un pullmino percorre la strada litoranea, supera il porto e sale la montagna lungo una strada contrassegnata da ripidi tornanti. La montagna è completamente buia, il cielo ha la tipica luce blu di mezza mattina. Il pullmino si ferma davanti ad un grande capannone dove noto un cartello illuminato che raffigura il logo aziendale e la scritta GRUVE 3 SVALBARD – ANNO 1971. Mi trovo casualmente In compagnia di tre polacchi di cui uno, il più chiacchierone, è laureato proprio in scienze minerarie. Ci accompagna una preparatissima guida. All’entrata dello stabile si trova una tipica portineria aziendale con un grande sportello di vetro dove i minatori, entrando, ricevevano un blocchetto metallico sul quale era riportato il codice personale, ad esempio 179. Una sorta di badge primordiale. All’interno della portineria un pannello era adibito alla raccolta dei blocchetti. Al blocco mancante corrispondeva la presenza della persona nelle gallerie. Grazie a questo semplice sistema si poteva conoscere il personale presente nelle gallerie, informazione particolarmente utile in caso di incidente. Superata la portineria si trovano esposti vecchi scarponi, caschi, lampade e i “lompen”, le tute indossate dai minatori. E così comprendo il motivo per il quale il centro commerciale della città sia stato chiamato Lompen, tanto è vero che di fronte allo stabile c’è la statua di un minatore con tanto di piccone. La guida ci fornisce molte informazioni. Le gallerie delle miniere sono scavate nel permafrost a circa 250 metri s.l.m. Il personale lavorava suddiviso in tre turni ed aveva tre tipi di mansioni: i più giovani, meno esperti, trasportavano il materiale scavato, un secondo gruppo utilizzava trapani e altre attrezzature per estrarre il carbone mentre i più esperti mettevano in sicurezza il tratto di galleria appena scavata. Era questa l’operazione più difficile ed anche più rischiosa. L’incidente era sempre in agguato e non molto raro. Questa miniera è stata in funzione dal 1971 al 1996 e, considerando tutte le 7 miniere di Longyearbyen, fino ai giorni nostri sono stati estratti milioni di tonnellate di carbone. La qualità di questo carbone è particolarmente elevata, arriva ad una percentuale del 95/97 % di purezza. E per questo motivo viene conteso dall’industria dell’acciaio, in particolare dalle case automobilistiche tedesche. Il carbone non è altro che carbonio, qualche traccia di idrocarburi, zolfo ed altri minerali. Il carbone è il risultato della trasformazione di resti vegetali, di piante, foreste che sono stati compressi, alterati chimicamente e trasformati dal calore e dalla pressione. Cosa significa tutto ciò? Che 60/70 milioni di anni fa le Svalbard erano ricoperte da foreste e piante tropicali e, a causa della deriva dei continenti, l’arcipelago si è mosso per migliaia di chilometri verso Nord, ha cambiato il clima e così tutto si è evoluto. A riprova di tutto ciò la guida ci mostra il fossile di un piede di un animale prestorico estinto che si è trasformato in carbone, straordinario! Mostrata la pianta delle miniere di Longyearbyen e il plastico delle gallerie della Gruve 3 ci vengono consegnati dei caschi protettivi ed entriamo in galleria. All’inizio si trovano i treni utilizzati per il trasporto dei minatori ed altri convogli carichi di carbone. Alcuni vagoni sono verniciati di giallo ed hanno delle simpatiche figure e disegni di pura immaginazione che rendono il mezzo di trasporto spiritoso e simpatico. Dopo le prime gallerie si arriva all’officina del fabbro. Qui siamo un po’ fuori dal mondo, lontano dalle strutture industriali, quindi le attrezzature ed i ricambi venivano costruiti sul posto da bravissimi professionisti. Sui banchi di lavoro si trovano ancora oggi i vecchi disegni costruttivi, i registri degli ordini, e poi morse, cesoie, un forno e il banco di forgiatura. Ci vengono anche mostrati i trapani elettrici che terminano con delle lunghe punte per perforare la roccia. Pesanti, molto pesanti, per me impossibili da maneggiare. Nel corso degli anni i trapani sono stati sostituiti da piccole “talpe” che penetravano la roccia grazie a denti metallici. Si entra poi nelle vere e proprie gallerie di estrazione. Qui siamo completamente all’interno del permafrost, l’ambiente è freddo e umido, nell’aria si notano goccioline di umidità ghiacciate. Camminiamo lungo i percorsi accidentati del treno. La guida ci mostra la composizione stratificata delle rocce. Rocce di origine marina, di sabbia pressata, strati di carbone nerissimo. La guida ci fa notare le gallerie laterali alte solo 60/90 centimetri dove i minatori erano costretti a lavorare con la schiena piegata praticamente a 90 gradi. L’impressione che ne ricavo è terribile. Il freddo, l’umidità, la polvere generata dagli scavi, le pesanti attrezzature. Un lavoro disumano anche se ben pagato. Molti minatori riuscivano a lavorare qui anche 10/12/15 anni per poi rientrare sulla terraferma con un bel gruzzolo ma quanta fatica, e quanti rischi. Al termine del nostro percorso arriviamo di fronte allo Artic World Archive. Dietro un grande paratia metallica c’è un archivio storico dell’umanità. Una sorta di magazzino della storia dell’uomo con l’obiettivo di “Protecting World Memory” cioè di proteggere la memoria del Mondo. A questo progetto hanno aderito alcune aziende private, l’UNICEF, l’ESA, la Biblioteca Apostolica Vaticana, una ventina di stati, Italia inclusa. Al termine della visita, durata più di due ore, il cielo è stellato, il vento gelido imperversa. Ritorniamo in città dove ci facciamo riscaldare da una zuppa preparata dalle signore di Fruene.  

Il logo della Gruve 3
Il blocchetto di riconoscimento del personale
Caschi, lampade, attrezzature
Galleria con il trenino
I simpatici disegni verniciati sui vagoni
L’officina del fabbro
La visita lungo le gallerie
Le stratificazioni della roccia del permafrost
La paratia metallica che racchiude l’Artic World Archive

2 pensieri su “LE MINIERE DI CARBONE DI LONGYEARBYEN, VISITA ALLA “GRUVE 3”

  1. In merito all’Artic World Archive, sono fermamente convinta che simili iniziative andrebbero coltivate e sponsorizzate in maniera decisamente più incisiva, perché passano quasi in sordina e serve un blog per farci ricordare quanto di buono sia stato fatto per diffondere la cultura a livello globale… grazie Oscar

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