Marco Polo ed i mercanti, il Doge ed il Bucintoro, il Carnevale e le maschere, i vaporetti e le gondole, calli e ponti, tutto questo e tanto altro ancora è Venezia. Città unica al mondo !
In battello fino a San Marco per la foto ricordo in una giornata di cielo coperto e qualche goccia di pioggia.
Il carico di tappeti orientali, la cassa di ceramiche uzbeche, la balla di the cinese, le spezie e i bozzoli dei bachi di seta sono arrivati a destinazione 🙂
Ulivi e cipressi, rocce e montagne verdi, mare blu e cielo azzurro. Con un moderno e veloce pullman lascio Atene, supero Corinto, e un ponte sospeso a tre campate preannuncia l’arrivo a Patras. Ricordo quando quel tratto di mare lo attraversavo in ferry, in auto o in camper. Un aperitivo vista mare per poi raggiungere il “nuovo porto”. Nella sala d’aspetto vedo solo ciclisti, due coppie e due single. Io, l’unico pedone, col mio robustissimo valigione in lega d’alluminio che però per la terza volta consecutiva (in tre viaggi) ha perso una coppia di ruote ! Orario previsto per la partenza del ferry: 23,59 per la precisione. Ma a mezzanotte nulla succede, il carico dei mezzi è completato ma tutto rimane immobile. Alle tre decido di stendermi quando ancora nessun segnale preannuncia la partenza. La mattina successiva il portellone è ancora abbassato. Dall’altoparlante viene annunciato un guasto tecnico e la compagnia offre la colazione, pessimo il caffè. Tutti i passeggeri hanno facce perplesse e desolate. A mezzogiorno viene annunciata la partenza per le ore 13 e anche il pranzo viene offerto. Vado di moussaka e poco dopo le tredici si salpa. Finalmente! Si costeggia la Grecia Occidentale mentre “il mare è una tavola blu” come cantava il buon Edoardo Vianello. La rotta incrocia le isole ionie e all’ora del tramonto virata a destra per entrare nel golfo di Igoumenitsa. Sosta di un paio d’ore per permettere il carico di camion e vetture, e dopocena, ormai col buio, si riparte. Di nuovo una giornata soleggiata ma col cielo velato. Si supera Corfù e il canale di Otranto. Attorno ai tavolini del salone si notano i gruppi di camionisti che usualmente percorrono questa rotta. Alle pareti quattro monitor trasmettono programmi italiani (fortunatamente senza audio): Rai1 (sottotitolata) e Rai3. Purtroppo niente wi-fi a bordo. L’arrivo è previsto con circa dodici ore di ritardo: verso le 21,30, mi è stato detto, invece delle 9,30 del mattino. In mare aperto ora si intravede qualche profilo appenninico, il monte Conero. Sul lato italiano vedo due piattaforme petrolifere mentre sul lato croato sono almeno dieci, tutte pescano nello stesso bacino. Il mare si apre e all’ora del tramonto si rivede la costa italiana, il sole sembra stia bruciando le città della costa. Col buio entriamo in laguna e imbocchiamo un canale di luci che ci porta dritti verso il porto. Manovra di attracco con 12 ore di ritardo. Lo sbarco pedonale al terminale di Fusina della ANEK/Superfast è addirittura allucinante. Un lungo percorso pedonale, un piazzale enorme e l’assenza di una qualsiasi struttura, c’è solo una biglietteria. Non un bar, una connessione wi-fi, non un taxi. Mi dicono “il taxi lo deve chiamare lei”, il numero scritto a mano è appeso alla parete. Altri sei passeggeri stranieri si trovano nelle mie identiche condizioni senza sapere cosa fare, letteralmente persi. Fortunatamente ci sono io che parlo la lingua locale e chiamo due taxi da condividere: uno per tre persone verso piazzale Roma e un altro con destinazione la stazione ferroviaria di Mestre. Arrivare in laguna però è sempre una grande emozione, anche di notte.
Passi lentissimi e molto cadenzati caratterizzano il cambio della guardia davanti al palazzo del Parlamento Ellenico. Ad ogni ora gli “euzoni”, i soldati della guardia d’onore, eseguono questa rappresentazione. Due guardie si scambiano la posizione in garitta seguendo una particolare sequenza. Molto particolare è la loro “divisa”: un camicione bianco con gilet nero, una gonnellina bianca con 400 pieghette (una per ogni anno di dominio turco della Grecia), una grossa cintura, calzamaglia bianca, scarponi rossi con un pompon nero sulla punta. Un terzo soldato in divisa militare è incaricato di rendere perfetto l’abbigliamento delle due guardie. Terminato il cambio sistema loro il cinturone, i capelli e soprattutto si occupa della perfezione della posizione del gonnellino. Un rituale un po’ assurdo ma ormai diventato tradizione. Un efficiente sistema di metropolitana mi consente di raggiungere l’Acropoli. Non sono necessarie molte parole per descrivere questa famosa roccia che sovrasta la città con il Partenone. Molto interessante è la visita al museo che ospita una eccezionale raccolta di reperti. Bellissima la moderna architettura dello stabile completata nel 2004 ed aperta al pubblico nel 2009. In particolare voglio segnalare l’esposizione di cinque delle sei originali Cariatidi, la sesta è conservata al British Museum di Londra mentre quelle attualmente installate all’aperto nella loggia dell’Eretteo sono delle copie. Pranzo in spiaggia a Edem facilmente raggiungibile con il tram cittadino. Stupendi gamberi grigliati, insalata e ouzo ghiacciato. Clima e temperatura sono ancora molto estivi nonostante il calendario. Per cena sono invece alla Plaka, imperdibile quartiere adiacente all’Acropoli. Bar e ristoranti sono attivissimi, questa sera scelgo una moussaka, buonissima, accompagnata da un buon vino bianco secco. Un ouzo ghiacciato in piazza Omonoia prima di rientrare in albergo è d’obbligo.
Piazza Syntagma, il palazzo del Parlamento greco
Il cambio della guardia
Tutto deve essere perfetto, le 400 pieghe del gonnellino devono essere esattamente allineate
Dalle più profonde e misteriose acque blu del mare Mediterraneo, proprio come Afrodite la dea greca dell’amore e della bellezza, emerge un’isola con la sua importante storia, le sue antiche tradizioni e la sua vasta cultura. Quest’isola è Cipro (traduzione liberamente tratta dal “museo del vino”, Erimi)
Abitata sin dal 10.000 ac. da un punto di vista prettamente geografico apparterebbe al continente asiatico. Fu conquistata da Alessandro Magno, dai romani e dai bizantini. Fu importante tappa dei crociati e con loro arrivò Riccardo I d’Inghilterra durante la Terza Crociata. Nel XV secolo fu il turno della repubblica di Venezia e più tardi venne assegnata all’Impero Britannico. Divenuta indipendente nel 1959 subì un colpo di stato che fu pretesto per la fondazione della Repubblica Turca di Cipro del Nord. La “nazione” turca è attualmente riconosciuta dalla sola Turchia mentre il settore greco-cipriota ha aderito all’Unione Europea e ha adottato l’Euro quale valuta nazionale. La gestione del territorio di quest’isola continua ad essere un’anomalia dal lontano 1974: una doppia linea di frontiera (chiamata Linea Verde) divide in due il paese e nel mezzo c’è una sorta di “terra di nessuno”. Circondata dal mare Cipro ha anche un interessante entroterra verde che ricorda quello delle isole greche. Nella zona Sud-occidentale si trova la catena montuosa del Troodos che sale tra larici e cedri fino ad arrivare alla vetta del monte Olympios a 1953 metri slm. Queste montagne sono caratterizzate da un clima fresco che diventa anche freddo durante la stagione invernale. Alla periferia di Platres, completamente immerso nei boschi, si trova il famosissimo Forest Park Hotel. Costruito negli anni trenta su disegno di un architetto israeliano fu ampliato nel 1990. La parte storica in stile art decò è stata perfettamente conservata e continua ad essere la sala ristorante dell’albergo. Durante la seconda guerra mondiale passò sotto il comando militare britannico e fu trasformato in ospedale. A guerra ultimata riprese le sue funzioni primarie e divenne “l’hotel dei re” ospitando, tra i tanti, il re egiziano Faruk. Tra queste dolci vallate si trovano diversi monasteri riconosciuti patrimonio mondiale dall’UNESCO. Costruiti tra il XI ed il XV secolo da monaci ortodossi spinti in luoghi remoti a causa della loro fede. Gli interni delle chiese sono affrescati con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo la tradizione ortodossa.
Il buon vino e la buona cucina non mancano. Sull’isola si produce il vino sin dal lontano 5.000 ac. Lo testimoniano le anfore trovate dagli archeologi, agli inizi avevano una forma tozza ma nel corso dei secoli si allungano e si restringe l’imboccatura per meglio conservare il vino. Interessante è la collezione di terracotte del museo di Erimi gestito dalla signora Anastasia dove si possono anche degustare vini bianchi, rosati e rossi. A Cipro abbiamo diverse tipologie di vini: Xinisteri (bianco secco), Cabernet Sauvignon (rosato secco o mediamente dolce), Mattaro e Maratheftiko (rossi di corpo da 13°). Dalle vinacce si producono anche grappe. La cucina locale ricorda molto quella greca a partire dai meze: tanti piccoli assaggi di verdure, formaggi e salsine che possono anche rappresentare un pranzo completo. Normalmente sono accompagnati dal pane tipico: la pita. Souvlaki (spiedini di carne), moussaka (melanzane al forno), pasticio (pasta al forno), tutti i piatti che ci riportano in Grecia. Particolarmente saporiti sono i pomodori, le olive e non possono mancare i cetrioli.
Castello di Kolossi, XIII secolo
Spremitore delle uve e giara in terracotta per la conservazione del vino
Così come Gorizia dal 1947 e Berlino dal 1961 anche la capitale di Cipro, Nicosia, è una città divisa in due parti. Per passare da un settore all’altro della città occorre mostrare il passaporto alle guardie di frontiera che ne registrano il passaggio in modo digitale. Da un lato lingua e moneta turca, moschee e canti del muezzin, mentre nell’altro settore lingua locale, alfabeto greco ed Euro. Il check point più utilizzato è certamente quello sulla Ledra street, un passaggio solo pedonale che unisce i due tratti della medesima strada. Ledra street è il cuore pulsante della città dove si affacciano negozi, bar e ristoranti. Io pranzo nel fresco cortile di To Anamma dove trovo nientemeno che un fresco spumante Martini. Opto per un meze e lo compongo io con olive verdi, tzatziki, polpette di melanzane, funghi grigliati e naturalmente la pita, il tipico pane greco. Nel settore turco si trova il Kumarcilar Inn, una tipica costruzione ottomana il cui cortile era dedicato ai commerci. Il centro storico di Nicosia è completamente circondato da mura difensive risalenti all’epoca medioevale e ricostruite nel XVI secolo dalla Repubblica di Venezia. Di base hanno una forma circolare con una circonferenza di 5 km ma con undici bastioni pentagonali simili a quelli di Palmanova. Ogni bastione porta il nome di famiglie italiane che ne finanziarono la ricostruzione. Nel settore cipriota, appena fuori le mura, si notano ancora i vecchi siti militari risalenti al 1974: postazioni per cecchini, bidoni di protezione e filo spinato. A pochi metri da una di queste aree si trova un’oasi di pace: la chiesa della Santa Croce. Parrocchia di rito cristiano è stata visitata da Papa Benedetto XVI nel 2010 e da Papa Francesco nel 2021, frequentata da fedeli provenienti da oltre cinquanta paesi qui si celebrano le messe in ben otto lingue diverse. Proseguendo lungo via Mouselou si incontra il teatro cittadino con una facciata neo-classica e di fronte troviamo il Museo Nazionale di Cipro, fondato nel lontano 1882, che ospita un’ampia collezione di antichi reperti neolitici e statue di straordinaria bellezza tutte provenienti dalla stessa Cipro.
Muro di confine tra “le due Cipro”
Ledra Street check-point
Ledra Street
Portale d’ingresso al Kumarcilar Inn (settore turco)
La chiesa della Santa Croce (settore europeo)
Una delle tante meraviglie esposte al Museo Nazionale di Cipro
Un treno moderno a trazione diesel con destinazione Adana, se ho capito bene la tratta fino a Mersin è interrotta a causa del terremoto. E’ domenica pomeriggio e di fronte a me ho un signore con un laptop e in fianco giovani studentesse, dormicchiano, guardano il telefonino, sentono musica. Una sta facendo il compito di fisica ma il risultato non le torna. Il treno è sicuramente di pendolari che per motivi di studio o di lavoro tornano ad Adana dopo il week end passato in famiglia. La ferrovia costeggia il mare che mi affascina molto dopo le steppe ed i deserti asiatici. Il sole tramonta e il cielo si fa rosa, in un attimo è buio. Pernotto ad Adana e per cena, guarda caso, Adana kebab con insalate. La mattina successiva in bus per Mersin, un’oretta di sosta e si riparte per Tasucu. Un bus molto moderno con wi-fi a bordo, servizio bevande, e dopo circa 1h e 20’ vengo lasciato sul bordo della strada. E’ già metà pomeriggio ed ho bisogno di alimentarmi. In un piccolo locale trovo una signora che prepara una crepe cerazain. Depone la pasta liquida sulla piastra, la stende bene e poi ci aggiunge: un uovo, del formaggio gratuggiato, cubetti di prosciutto ed erba cipollina. Pochi minuti ed il mio pranzo è pronto. Faccio chiamare un taxi per raggiungere il porto e si presenta un altro autista molto disponibile. Andiamo al porto, poi in ufficio per acquistare il biglietto, l’agenzia non accetta carte quindi di corsa al bancomat e ritorno, e con il biglietto del ferry in mano possiamo scegliere un albergo per la notte. La scelta cade su Suite Marina, economico, pulito, vista mare. Per cena lungo il porto scelgo calamari fritti e due calici di vino bianco fresco. La mattina un bel bagno in mare e colazione per poi proseguire verso il porto in navetta. Il ferry è un grande catamarano che riesce ad attraversare il braccio di mare in 2h e 45’. Lasciato il porto naviga lungo la costa turca per poi attraversare il mare aperto. Man mano che ci avviciniamo all’isola il mare peggiora ed alcuni passeggeri incominciano a star male, solo ora capisco l’insistenza di un addetto nel consegnare a tutti i costi dei sacchetti di plastica neri. Allo sbarco vengo accolto da un forte vento giusto per con fermare che siamo su un’isola. Lunghe code al controllo passaporti anche per i turchi ma soprattutto nessuna suddivisione tra paesi d’origine. Oltre quaranta minuti di coda per il controllo passaporto e facciale ed ancora un pò di pazienza per il controllo doganale dei bagagli. All’uscita della stazione una bella sorpresa: nessun autobus in direzione della capitale. Attendo un taxi e chiedo al giovane autista di portarmi alla ”border” perchè sò che il mio albergo è in area cipriota e non turca. La strada ha dei lunghi tratti completamente intasati tant’è che occorrono 1h e 20’ per raggiungere la città. L’autista insiste nel portarmi a destinazione ma senza mai oltrepassare la linea di confine. Io francamente non sò come funzioni però vedo che lui segue le indicazioni del cellulare continuando a vagare inutilmente per la città. Ad un certo punto cede e mi propone di prendere un taxi cittadino. Per trovare supporto entro in un lussuosissimo albergo dove trovo una connessione wi-fi ed un receptionist molto gentile che mi chiama un secondo taxi. Altri quaranta minuti di attesa ma poi arriva un bel mini-bus tutto per me, l’autista digita l’indirizzo sul cellulare e sentenzia: entro 20 minuti sei in albergo. Ed in effetti così è stato, il passaggio dalla zona occupata a Cipro ha richiesto solo una rapida visione del passaporto. Anche questa piccola odissea è finita, concludo la serata presso un ristorante di qualità proprio in fianco all’albergo. Ottimo servizio in lingua italiana e bei sorrisi. Prima ancora di ordinare mi viene servito del pane e delle olive nere e verdi ed una caraffa di vino bianco fresco e secco. Mi sembra di essere risuscitato. E dopo settimane di paesi islamici mi ordino del maiale in umido con patate e piselli. Nel complesso anche questa è una piccola soddisfazione.
Il tabellone degli orari dei treni presso la stazione di Iskenderun
Il treno per Adana
Il pullman per Tasucu
Il centro di Tasucu
Il ferry che collega la costa turca con l’area occupata di Cipro
Sebbene sia battezzato ma non più credente, stare nel luogo in cui nacque il cristianesimo mi emoziona profondamente. Si sale una breve erta, si supera un arco e si arriva su un piccolo piazzale. Alla mia sinistra trovo la chiesa di San Pietro anche chiamata di St. Pierre in lingua francese. E “Pierre” significa “pietra” e quindi: “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. L’apostolo Simone, chiamato in seguito Pietro, dovrà costruire “la mia chiesa” come disse Cristo. E all’interno di questa grotta Simon Pietro per la prima volta riunì un gruppo di fedeli ai quali fu dato il nome di “cristiani”. Pietro sarà quindi considerato il primo Papa, catturato dai romani fu in seguito trasferito a Roma e ucciso nel 67 dc. assieme a Paolo. L’attuale chiesa si divide in due parti: la più profonda è sostanzialmente una grotta scavata nella roccia con un altare ed una statua di San Pietro eretta nel 1932. Su un fianco scorre dell’acqua che sarebbe stata utilizzata per i primi battesimi ma veniva considerata anche curativa. Nel corso dei secoli però, anche a causa di terremoti, il flusso dell’acqua è diminuito. La sezione più esterna è stata aggiunta dai crociati della Prima Crociata che conquistarono Antiochia nel 1098. La chiesa fu allungata di alcuni metri e la collegarono alla facciata che fu da loro aggiunta. Su richiesta di Papa Pio IX i frati cappuccini restaurarono la chiesa e ricostruirono la facciata nel 1863.
Sono ad Antakya, come viene chiamata oggi, e non avendo altri riferimenti mi sono affidato ad un taxista. Dopo avermi accompagnato alla chiesa gli chiedo di portarmi al museo che è noto per la sua notevole collezione di antichi mosaici. Purtroppo lo stabile ha subito molti danni a causa del recente terremoto, i pannelli che ricoprono le pareti esterne sono cadenti, parti del tetto sono crollate. Insomma lo stabile è purtroppo inagibile e debbo rinunciare alla visita. Il taxista fa il giro dell’isolato per mostrarmelo e poi gli chiedo di lasciarmi in un ristorante. Mi fa cenno 10 km e gli rispondo “tamam”, va bene. Attraversiamo una zona dove i danni del terremoto sono notevoli, molte sono le costruzioni completamente distrutte, un panorama davvero triste e impressionante. Arrivo in luogo anonimo ma l’autista mi indica una strada sterrata dove dovrei trovare dei ristoranti. Scendo lungo una stradina circondata da baracche che vendono piccoli souvenir e qualche dolcetto per ritrovarmi in luogo incantevole. Cascatelle dalle acque freschissime scendono dalle rocce all’ombra di un boschetto, un luogo da favola in contrasto col caldo del mezzogiorno e con quei paesi distrutti. Ai piedi delle cascatelle tavolini e sedie di ristoranti allineati nel mezzo dell’acqua fresca. Prendo posto tenendo i piedi nell’acqua ed ordino un pesce grigliato. Birra, insalata mista accompagnano questo pesce che finalmente ha un sapore raffinato, un pesce mediterraneo.
La chiesa di San Paolo dove nacque la cristianità
Il terremoto del 2023 ha lasciato danni tuttora molto evidenti
I ristoranti tra le cascatelle
Un buonissimo pesce grigliato con insalate e birra
Riprendo il percorso della Via della Seta a Gaziantep nel Sud Est della Turchia. La Siria dista solo una cinquantina di chilometri ed Aleppo non più di cento. Dalla finestra dell’albergo vedo un moderno palazzo ed una moschea, anche qui convivono modernità e tradizione. Incontro ragazze con jeans e magliette sbracciate ma anche donne in abiti neri lunghi fino ai piedi con il velo sulla testa. La città è dominata da un castello con antiche mura e torri. La sua storia risale nientemeno agli ittiti che fondarono una postazione di guardia 6.000 anni fa. Tra il II ed il III secolo dc. arrivarono i romani che la trasformarono in fortezza. Alla base del castello incontro negozi di spezie e botteghe artigianali dove si lavorano il ferro e il rame. All’interno di un antico hammam si trova un vero e proprio museo. Si scende una rampa di scale per incontrare sale ottagonali con il soffitto a cupola. I turchi dell’Anatolia già durante la lontana Età del Bronzo (3.000 – 1.200 ac.) utilizzavano i bagni pubblici. L’attuale organizzazione dei bagni risale all’epoca Romana: Frigidarium (l’area fredda), Tepidarium (l’area calda) e Caldarium (l’area più calda) rimasero alla base del bagno bizantino e, dal XI secolo, anche di quello turco. La cultura islamica della pulizia enfatizzò questo approccio. A Gaziantep la tradizione del bagno è anche legata al matrimonio: prima della funzione le spose ricevono in dono sapone, henna ed una lozione di ambra e rose. Per pranzo sono da Cigerci Mustafa, un antico ristorante dove mi vengono servite insalate di pomodori, peperoni dolci e piccanti con una salsa a base di yogurt. Arriva poi il cameriere con una specie di piadina allungata, di forma ovale. Sopra vi adagia un misto di insalate verdi, pomodori, carne e melanzane cotte allo spiedo, la avvolge in un foglio di carta, la taglia a metà e voilà il pranzo è servito. La mattina seguente vado in taxi fino alla “otogar”, la stazione degli autobus, appena arrivo trovo un mini-bus in partenza. Un’autostrada a tre corsie attraversa una vallata con colline verdi dove si coltiva la frutta alternate a zone più aride. Sul mini-bus c’è anche un servizio ristoro: the o caffè, acqua, cola o aranciata. Dopo circa un’ora controllo passaporti, un militare sale sul mezzo dotato di tablet, l’operazione però è molto veloce. Il panorama si fa sempre più verde. A Osmaniye rapidissimo cambio di bus, attraverso una zona industriale e dietro le alte ciminiere appare il Mediterraneo, il mare Nostrum. Iskenderun, l’antica Alessandretta, non conserva nulla del suo glorioso passato, nulla che mi possa ricordare la Via della Seta anche se rimane una tappa importante. Ora è una città moderna con il suo lungomare ma ancora segnata dal terremoto del 6 febbraio 2023, magnitudo 7.8 sulla scala Richter. Lungo la via pedonale sotto l’albergo ci sono bar e ristoranti, è sabato sera e quindi sono tutti molto affollati. Alcuni trasmettono in diretta la partita del Galatasaray, sta vincendo 3 a 1 ma ad ogni gol si sentono urla, la partita finisce sul tre pari. Nel bar di fronte si suona musica moderna dal vivo, si beve chai (il the servito nei bicchieri di vetro) e si fuma narghilè. Io ceno sul mare, gamberi e patatine fritte, e finalmente un bel vino bianco freddo e secco. Un trio di musicisti ed un cantante allietano la serata con canzoni tradizionali. Nel pomeriggio sono in stazione per controllare gli orari del treno ma il vecchio stabile è abbandonato. Su un fianco vedo un ambiente fresco e tranquillo, un baretto dove alcuni signori giocano a carte e a domino. Io bevo solo del the ma all’indomani quando ritorno divento amico del gestore. Si siede al mio tavolo e dice “Italia, good … e Meloni ? “Fascista, Mussolini” afferma. Prosegue chiedendomi “Erdogan?”, rispondo con un no good, ci siamo capiti. Passeggiando per la strada vedo un anziano signore che coltiva erbe in un vaso sul marciapiede. Incuriosito mi fermo ad osservare lo strano orticello e così vengo invitato ad entrare nel suo piccolissimo salone da barbiere. Quattro metri per uno, un vero bugigattolo tutto specchi così da farlo sembrare più grande. Mi fa sedere sulla poltrona rossa e mi racconta la sua vita. Ci capiamo a malapena con gesti e con chissà altro però mi fa capire che ha perso un figlio a causa del terremoto e mi mostra la foto appesa alle pareti. Mi parla di tre nipoti rimasti senza padre e della necessità di garantire loro dei soldi. Finito il racconto si mette all’opera, mi aggiusta i capelli sopra le orecchie, le basette, la barba, mi fa uno shampoo non richiesto e mi lascia libero dopo avermi profumato. Come non aiutarlo pensando ai suoi tre nipoti.
Partito dall’Oceano Pacifico e dopo migliaia di chilometri appare il Mediterraneo
Mezzo bicchiere d’acqua sulla tastiera, risultato: cursore sparito e tastiera morta. Sono fermo ai box col motore spento ma vicino al mio albergo c’è un Media-Markt. E’ domenica mattina ma è aperto ed ho la fortuna di trovare un premuroso commesso che parla un discreto inglese. Assieme facciamo una diagnosi ed il responso è semplice: bisogna sostituire la tastiera. Nel frattempo mi viene servito un the come usava anni fa nei negozi di tappeti. Tastiera wireless aggiuntiva e mouse, tutto per meno di 30 euro ! E mi viene servito un secondo the. Tutto perfetto anche se la tastiera ovviamente è turca quindi alcuni tasti non corrispondono ai nostri ma in ogni caso il problema è risolto. Proseguono comunque tanti problemi di connessione con la rete, ci vuole tanta, ma tanta, pazienza.