ATTRAVERSANDO IL PAMIR

Si “fa gruppo” già nella ampia sala d’attesa della Bus Station di Kashi. Il primo a farsi avanti è Gerry, neozelandese che viaggia con la moglie di evidenti origini cinesi. Un viso d’attrice, capelli grigi e due trecce. Inizia la conversazione anche con un viaggiatore tedesco di Dresda ed un ragazzo giapponese. Partenza del bus: ore 10,00 Beijing time. Francamente io ho sempre tenuto l’orario di Pechino anche perché ho viaggiato sempre in treno. Il pullman kirghiso è pronto nel parcheggio interno. Rosso con stelle e strisce gialle, un profilo nero di cavallo che si impenna. Vecchiotto, pieno di ammaccature, vetri fissati con nastro adesivo, il motore si accende a fatica ma si parte. Il pullman è di tipo “sleeper” cioè non ha sedili ma solo lettini, risultano già corti per me e non parliamone per Gerry che è alto quasi due metri. Questi lettini hanno anche dei tubi di protezione e fatico ad infilarmi. Comunque si parte. Lasciata la città vedo il deserto sulla destra, ampie aree verdi e montagne sul lato opposto. Dopo un’ora e mezza inizia la sequenza dei controlli di frontiera. Fermi al Police Check, foto al passaporto, un quarto d’ora e si riparte. Passa un altro quarto d’ora e ci si ferma nuovamente. Ora siamo al Custom Control, questa volta tocca ai bagagli. Di nuovo tutti giù dal pullman per entrare in una grande sala dove potrebbe passare un intero esercito, ma noi siamo solo in sette. Di nuovo foto al passaporto e raggi X per i bagagli. Il vano bagagli del pullman viene sigillato. Noi restiamo in attesa all’aperto mentre io rimango incantato dal cielo blu e dalle montagne che ci circondano. Al gruppo si aggiunge una coppia di ragazzi di Barcellona e dopo circa un’ora si riparte. Al passo mancano ancora 135 km. Dopo una mezzora di nuovo fermi, si scende per un controllo facciale e del passaporto. Bastano solo dieci minuti. Le montagne ora presentano delle strisce ondulate rossicce, segno della sedimentazione e del movimento orografico. Sul pullman l’aria condizionata è naturale, da un piccolo portello semi aperto entra aria molto fresca, segno che continuiamo a salire d’altitudine. Superiamo un’enorme area di sosta di camion e poi un fiume. A questo punto decido di regolare il mio orologio togliendo le due ore di fuso. Di nuovo un controllo passaporto e dopo un quarto d’ora un altro. Iniziano i tornanti, l’asfalto è buono. Ora il pullman entra in un capannone che sembra una fabbrica abbandonata, noi scendiamo con l’obbligo di sedersi in una sala d’attesa. Un cartello indica il “Belt and Road Channel”, quello di Giuseppi. Gli agenti vogliono sapere tutto, da dove veniamo, dove andiamo e perché, il motivo per il quale siamo stati in quella particolare città. Tutto pazzesco ma va affrontato con molta serietà. Al ragazzo giapponese che lavora per una società marina vengono poste domande di ogni tipo. Gli richiedono anche di vedere le foto scattate. Probabilmente temono che sia una spia. Gli agenti se lo portano via da solo per un lungo interrogatorio e quando riappare dopo mezzora si capisce che non ha passato momenti tranquilli. Ripartiamo ma solo per subire altri due controlli facciali e del passaporto. Intanto sono 5 ore che siamo costretti a non andare in bagno, ma forse la tortura è finta. Sul versante di sinistra della montagna appare un enorme ritratto di Mao con tanto di bandiera rossa, tutto composto da pietre verniciate. Stiamo lasciando la Cina. Percorriamo qualche chilometro affiancando centinaia di camion in attesa del controllo doganale. Entriamo in Kirghizistan e in un attimo tutto cambia. Dal cinese passiamo all’alfabeto cirillico, sento il richiamo di un muezzin ed il saluto arabo salam aleikum. Qui il controllo passaporti è piuttosto rapido. Allo sportello un doganiere mi dice “ah Italia” e mi cita il commissario Cattani de La Piovra, Michele Placido e la Città del Vaticano. Riprendiamo il cammino abbastanza rapidamente. Ora sulla sinistra abbiamo centinaia di camion vuoti che attendono i controlli doganali per rientrare in Cina. La strada sale con curve e tornanti evidenziate da questa coda infinita. Percorriamo una vallata e superiamo un fiume con un largo greto ma con poca acqua di colore marrone. Sicuramente purissima ma trascina con sé molta terra. Attraversiamo il piccolo villaggio di Nura, basse case bianche di legno, fienili e qualche vacca. Prosegue la coda dei camion e i camionisti se ne stanno seduti sui loro piccoli seggiolini pieghevoli. Superiamo di nuovo il fiume con i ghiacciai di fronte a noi. Un gruppetto di ciclisti coraggiosi sta mangiando sul bordo del fiume. Di nuovo un controllo passaporti ma questa volta è il militare che sale sul pullman. Percorriamo un’ampia vallata e sulla sinistra una interminabile catena di montagne innevate e ghiacciai. Sono tutte vette del Pamir sopra i 6/7.000 metri. La strada sale rapida con una pendenza dell’otto per cento e ampi tornanti. Incontriamo una mandria di cavalli, capre e qualche yurta bianca tra il verde della vallata. Attraversiamo un piccolo villaggio ed entriamo in una valle stretta, il versante Nord delle montagne è innevato. Dopo le cinque del pomeriggio arriviamo al Taldyk Pass (3615 metri slm) segnalato da un vecchio monumento. Finalmente una sosta, la temperatura è bassa ma basta una felpa. Tutti a fare pipì, operazione difficile per le due signore che sono con noi. Inizia la discesa. Verso le sette sosta a Gulcha, finalmente si mangia. Ci fermiamo in un ristorante senza acqua corrente e bagni. L’interno è molto basico ma una ragazza riesce a farsi capire. Ci mostra il menù sul cellulare in cirillico e relativa traduzione in inglese. Ceno con Gerry e moglie, agnello stufato con del brodo e qualche cipolla. Nessuno ha la valuta locale tranne i ragazzi spagnoli che provengono da Bishkek, la capitale. Alla fine è la ragazza che vuole pagare il conto per tutti. Noi vogliamo darle dollari o euro ma lei insiste, non vuole nulla e afferma: sono solo 31 € per sette persone. Quando usciamo è quasi buio, la strada si spiana e si va un po’ più veloci. Dopo circa quindici ore di viaggio arriviamo a Osh. I ragazzi spagnoli devono ancora pagare il passaggio e lì si apre una lunga trattativa con la signora cinese che fa da interprete. L’autista pretende da loro 85 dollari quando noi tutti abbiamo pagato molto meno. E così si scopre che non hanno valuta a sufficienza, ognuno di noi contribuisce, io offro 50 yuan. Dopo una buona mezz’ora la trattativa termina, superato lo stress la ragazza si mette piangere. Io l’abbraccio e un po’ tutti le facciamo coraggio. A questo punto ognuno può andare per la propria strada. Saluti e abbracci, strette di mano e tanti good luck. E’ quasi mezzanotte, un bravissimo ragazzo col proprio taxi mi accompagna in centro dove a quell’ora trovo ancora un cambiavalute. Alla reception dell’albergo c’è una ragazza che parla inglese, gentile, sorridente e professionale. Sono arrivato ad Osh, tutto bene, buonanotte.   

Al Custom Control

Le vette del Pamir
Sul Taldyk Pass – 3615 metri slm
Sosta per la cena

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