Fatico ad immaginare il porto di Hong Kong affollato di vecchie giunche, le barche di giunco (appunto), bialbero con le vele steccate. Fatico anche ad immaginarla come una colonia inglese. Da 27 anni ormai Hong Kong è un territorio autonomo, indipendente, cresciuto e basato sul motto “una nazione, due sistemi”. La trovo molto cinese anche se non mi ricorda affatto Pechino. Prevale in me la sensazione di modernità, mi sento sempre all’ombra di qualche grattacielo, pernotto al venticinquesimo piano circondato da stabili anche più alti. Dalla mia finestra intravedo il mare e per chi abita in pianura il mare è sempre una nota speciale. Battelli e navi mercantili lo attraversano continuamente e lo Star Ferry è in assoluto il suo re. E’ attivo dal 1888, bianco e verde, un po’ vintage, fa la spola attraversando il braccio di mare tra Hong Kong e Kowloon. Se si visita la città non può mancare questa esperienza. Un secondo mezzo di trasporto da provare è il tram che qui, “amichevolmente”, viene chiamato “ding ding” a causa del suo scampanellio. I tram operano dal 1904, a due piani, tutti colorati l’uno diverso l’altro in funzione della pubblicità che propongono: rosa e neri, con orologi o faccioni di belle signorine, e tante altre cose più o meno simpatiche. Il mezzo di trasporto in sé è molto utile, lento ma efficiente, attraversa tutto il Nord dell’isola, sei linee e 120 fermate. Viaggiare su questi tram è sempre emozionante, dal secondo piano si gode la vita della città e sono anche molto utilizzati dalla popolazione locale. Affrontiamo la città iniziando dal Central Pier, un luogo storico del porto. Alla sua sinistra, guardando il mare, notiamo i diversi moli, ognuno con la propria destinazione, mentre sul lato opposto si trova il Maritime Museum, di fronte una grande ruota panoramica. Lasciando il mare mi incammino verso il centro. Grattacieli, centri commerciali, negozi del lusso e negozietti cinesi, luci pubblicitarie ovunque. Persone che si muovono sempre velocemente e un traffico piuttosto intenso. E per muoversi più comodamente, salendo la collina, incontro il Central-Mid-Levels-escalator: il sistema coperto di scale mobili più lungo del mondo (800 metri). Zizzagando attraversa l’area degli uffici del centro per salire a Soho dove si incontrano molti locali e ristoranti, alcuni italiani e persino una pizzeria napoletana, un pub inglese che offre birra Moretti, ma anche una moschea costruita in onore degli uomini di mare indiani. Il percorso termina a metà collina dove incrocia una stradina tutta curve con piante secolari che abbarbicano le loro radici sui muri di contenzione della strada stessa. Scendo verso il Man Mo Temple dedicato alle divinità della letteratura (Man) e della guerra (Mo). Schiacciato sotto i grattacieli che si trovano alle sue spalle fu costruito da ricchi mercanti cinesi nel 1847. All’interno molti fedeli si fermano a pregare e ad accendere bacchette di incenso. Questo ambiente fumoso e un po’ buio, rischiarato dai tanti ceri sugli altari, con grandi spirali di incenso appesi al soffitto, mi trasmette un forte senso di sacralità. Moschea, tempio buddista e taoista, ma anche chiese e collegi cristiani, tutto ciò ci conferma che qui, e sottolineo qui, la libertà religiosa è assicurata. Continuo la salita verso la collina per incontrare la Peak Train Station. Il Peak Train è una specie di teleferica azionata da un cavo di 5 cm di diametro. L’impianto non dimostra i suoi 125 anni di età, tutto è stato perfettamente rinnovato pur mantenendo il suo aspetto antico: un vagone verde con i sedili in legno. In circa otto minuti si raggiunge la sommità ad oltre 400 metri d’altitudine. Impressionante è la sensazione che si prova salendo: il vagone percorre un binario così ripido che i palazzi che si vedono sulla destra sembrano tutti inclinati di almeno 40°, in realtà è solo un effetto ottico. Alla stazione d’arrivo si trovano i soliti centri con commerci, giochi, intrattenimenti e quant’altro. La cosa più interessante è la Terrace 428, una costruzione modernissima, un arco di cerchio capovolto dove si trovano bar e ristorante (dedicato a Forrest Gump, chissà perchè). E dalla terrazza una vista mozzafiato che consente di ammirare tutta la baia e le centinaia di grattacieli dei due versanti del golfo. Siamo sul Victoria Pick che raggiunge i 552 metri slm.
E la gastronomia? La famosa gastronomia di Hong Kong? Nel complesso mi è parsa un po’ deludente, almeno in relazione alle mie aspettative. Ci sono molti ristoranti a gestione famigliare che offrono piatti di qualità media ed un servizio accogliente. Avrei da segnalare una buona zuppa di ossa di maiale con carote e verdure cinesi, deliziosa. Ho trovato buono anche un pesce grigliato con sugo di fagioli neri. All’ottavo piano di un centro commerciale trovo un grande salone affollato da famiglie, è domenica. La cameriera mi fa sedere di fronte ad una anziana signora, non parla inglese ma è molto attiva e mi mette nel piatto dei ritagli di maiale. Io ordino i così tanto decantati gamberi del golfo che però non mi appassionano, vanno meglio i cornetti, tutto accompagnato da riso bianco e the. Vedo che qui viene servito solo quello. Mai speso più di venti euro. Ho voluto anche provare un ristorante importante, lo Yung Kee Restaurant aperto sin dal 1942. E’ il regno dell’oca arrosto cotta nei forni a carbone che viene servita con una salsa aromatica. Ne ho mangiate di migliori. Servizio esageratamente accurato e molto freddo, bevo del the al gelsomino. Chiudo con un conto salato rispetto alla media ed un rapporto prezzo/qualità non proprio conveniente. E il vino? Solo un buon calice di chardonnay argentino sorseggiato durante una sosta presso il bar di un hotel a cinque stelle.







