ED ORA … UN VOLO PINDARICO

Se non mi accettano è perché non mi desiderano. E quindi non desiderano neanche i miei soldi. Il Turkmenistan ha una politica che non favorisce il turismo, che non gradisce la presenza di stranieri. Il visto mi è stato rifiutato probabilmente a causa del mio blog. Giornalisti, reporter, fotografi e blogger sono considerati “pericolosi”. Il visto è stato negato anche a Dave, canadese, facente parte del mio gruppo. Chiaramente gay non capisco come abbiano scoperto la sua omosessualità che in questi paesi è considerata un reato e per pena c’è il carcere.

Il mio itinerario originale, pensato prima della pandemia di covid, prevedeva l’attraversamento dell’Iran da Mashad, a seguire Teheran e Tabriz fino alla frontiera turca. Ho però pensato che in questo periodo il paese non sia molto sicuro. Il nostro Ministero degli Esteri attraverso il suo sito “Viaggiare Sicuri” lo sconsiglia vivamente: “si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo … sono vivamente sconsigliati gli spostamenti non essenziali in tutto il paese”

E così, grazie ad un “volo pindarico”, riprendo il mio percorso lungo la “Via della Seta” a Gaziantep, nel Sud-Est della Turchia ai bordi del confine con la Siria. Alessandretta, l’odierna Iskenderun, e Antiochia sono imperdibili.  

L’ENOGASTRONOMIA UZBEKA

Da secoli la viticoltura è una tradizione in Uzbekistan, si producono vini bianchi e rossi. I vitigni più coltivati sono il pinot noir francese, il rkatsiteli e il saperavi georgiani, il karabkh hindongna azero. Ci sono circa 200 giorni di sole in Uzbekistan e questo dona all’uva una decisa dolcezza. Eccessiva a mio parere tant’è che è rarissimo trovare un buon vino secco. La maggior parte dei vini locali è costituita da uvaggi. Ad esempio la cantina Bagizagan, che si incontra frequentemente nei ristoranti, produce vini rossi da uve saperavi e cabernet. A Samarcanda faccio un wine tasting presso un locale dedicato. Ogni degustatore ha a disposizione ben dieci tipologie di vino, qualche mandorla e del formaggio per spezzare. Una giovane signora conduce la degustazione in modo molto freddo, cita i tipi di vitigno, l’anno di produzione, i gradi alcolici, ma niente di più.  Si inizia con l’unico bianco secco della serie: un riesling. Poi a seguire abbiamo una malvasia, un cabernet da 13°, un saperavi, un rosso da dessert ed un bianco che assomiglia al nostro vin santo, un rosso che sembra un marsala, un bianco di Samarkanda ed un secondo bianco del 2016. Per concludere un rosso molto intenso che emoziona anche gli occhi che si mettono a lacrimare.

Malgrado l’Uzbekistan sia un paese musulmano oltre al vino troviamo anche molta birra, bere qui non è un tabù. Tra le birre di produzione locale la più popolare sembra essere la Pulsar con una etichetta che ricorda molto la famosa birra ceca. Non manca la vodka secondo la tradizione russa.

Passiamo al cibo, palov è la base della cucina nazionale: riso pilaf accompagnato da carne e verdure. Il palov è sempre esposto nelle cucine, a Tashkent vedo che lo cucinano in enormi wok dove staziona immerso nell’olio. Secondo tradizione è il piatto che dà energia e favorisce la sessualità maschile. Per questo motivo gli uomini il giovedì sera preparano il piatto con la carne di migliore qualità. Il giovedì sera è considerato prefestivo in quanto il venerdì è la giornata dedicata alla preghiera. E così il giovedì sera ci si accoppia per poter concepire il figlio in prossimità del venerdì. Avete presente “è sabato” di Giorgio Gaber con tutti gli sciacquoni ? Ebbene qui quella serata speciale è il giovedì. Ovunque si trovano spiedini di pollo, agnello, manzo e per i vegetariani anche solo di verdure. E’ ovviamente escluso il maiale in quanto il paese è di religione islamica. I baraka sono presenti in tutti i menù. Si tratta di ravioli in genere ripieni di carne ma ci sono anche le versioni con zucca o patate. Solitamente sono cotti al vapore accompagnati da una crema (tipo tortellini alla panna), pomodoro tagliato a pezzetti o erbe. Esiste una versione di piccole dimensioni che viene servita con un brodo di verdure ma anche una fritta, o meglio, saltata in padella. Non solo carne, c’è anche il pesce, soprattutto di acqua dolce. Grigliato intero oppure a fette simili al salmone, viene servito anche fritto, bello croccante. Buona la scelta di verdure. Deliziose insalate vengo offerte come antipasto o in versione più completa come piatto principale. Insalate verdi, pomodori, cetrioli e poi magnifiche sono le melanzane fritte. Molto diffusi nei chioschi, anche ai bordi delle strade, sono i somsa, simili ai somosa indiani. Un fagottino di sfoglia croccante ripieno di carne d’agnello speziata, esiste anche la versione vegetariana con una specie di purè. E’ l’ideale per uno spuntino ma in genere la carne è troppo carica di olio che rende il tutto difficilmente digeribile. Il pane (il nome locale è “non”) viene sempre cotto nei forni cilindrici con l’apertura verso l’alto. Rotondo con i bordi rialzati, può avere diverse dimensioni: dai 15 cm di diametro fino a raggiungere i 40. Non manca la frutta sia a colazione che a fine pranzo. Meloni e angurie sono sempre presenti, anche l’uva sia bianca che nera è molto popolare.  

La cucina italiana è qui molto apprezzata. In quasi tutti i ristoranti si trova una abbondante varietà di pasta e pizza. Oltre ai noodles locali (molto popolari sono quelli di colore verde agli spinaci) si trovano penne all’arrabbiata, spaghetti alla bolognese (mangiati da Bella Italia a Bukhara ma carne e sugo non hanno molto a che fare con il sapore italiano) e alla carbonara (spaghetti conditi con una crema dolce, niente uova, e pollo invece del guanciale). Da Zerafshan a Khiva ho invece molto gradito una pizza dall’aspetto napoletano. Forse è la migliore pizza che io abbia mangiato all’estero. 

Il wine tasting

Il forno del pane

Il grande wok con il palov a Tashkent

Baraka, ovvero i ravioli di carne con crema, tocchetti di pomodoro ed erbe

“Spaghetti alla carbonara” conditi con crema, pollo e fettine di formaggio

Pizza “napoletana”: mozzarella, pomodoro a fette, zucchine croccanti, funghi e straccetti di pollo

TASHKENT, LA CAPITALE

Arrivo che è già buio, mi affaccio al balcone e vedo i grattacieli illuminati con i colori nazionali: azzurro, bianco e verde. Taskent, capitale dell’Uzbekistan, è una moderna ed estesa città con oltre due milioni di abitanti. Come ogni capitale ospita i palazzi del governo, alcuni ancora in stile sovietico altri più moderni. Mi capita di pranzare in un fast food del centro vicino ad un ministero e vedo donne e uomini in pausa pranzo. La quasi totalità veste gonne o pantaloni neri con camicia bianca, qualche uomo indossa anche la cravatta. Tutti molto puliti e ordinati che si godono una veloce pausa pranzo: panini col kebab, insalate, acqua o the. Il centro della città è rappresentato dalla piazza Amur Timur, aiole verdi e pianticelle che hanno sostituito i freschi platani dal 2010 su progetto del presidente Karimov. Al centro dei giardini una statua equestre di Tamerlano e sullo sfondo domina un enorme palazzo in stile sovietico. Si tratta dell’hotel Uzbekistan. Al di sotto scorre una discreta rete metropolitana basata su tre linee. I treni sembrano un po’ superati ma alcune stazioni sono particolarmente eleganti grazie a lucidi marmi e lampadari artistici. Una delle stazioni più famose è Chorsu dalla quale si accede al mercato omonimo. Sormontato da una gigantesca cupola verde è per eccellenza il mercato dei contadini che approvvigionano la città con prodotti freschi.  

KHIVA – LA CITTA’ MONUMENTO

Secondo un’antica leggenda Khiva sarebbe stata fondata da Sem, figlio di Noé, quando scopri un pozzo che la popolazione incominciò a chiamare Kheivak. Da qui sarebbe derivato il nome Khiva. Una meraviglia, un gioiello, una città storica racchiusa da imponenti mura. Persino i tombini sono delle opere d’arte. Ichon-Qala, la città interna fortificata, è un sito UNESCO dal 1990. Camminando attraverso le strade ed i vicoli si ha la sensazione di vivere nel passato, tutte le case hanno mantenuto la fattezza ed il colore originale. Noi pernottiamo presso l’albergo Muso To’ra, una madrassa originale risalente al 1858. Magnificamente conservata e ristrutturata ha sulla sinistra la sala per le colazioni in luogo dell’antica libreria e sul lato opposto una stanza regale con baldacchino di velluto rosso ricavato dalla moschea. Un cortile rettangolare ben ombreggiato ospita le 18 camere tutte ricavate nelle aule di studio, senza finestre ma con una apertura (ora chiusa da un vetro) ricavata nel soffitto ad arco. Visitiamo diverse medresse e moschee ed il mausoleo di Pahlavon Mahmud costruito nel 1362. Entriamo anche nel Kuhna Ark, la fortezza nonché residenza dei sovrani costruita nel XII secolo. Anche qui la sala del trono ha le pareti riccamente decorate. L’opera più significativa della città rimane il minareto Kalta Minor rivestito da piastrelle turchesi. Secondo la leggenda fu voluto da Mohammed Amin Khan con l’intenzione di realizzare una costruzione altissima ma nel 1855 morì improvvisamente. E così il minareto rimase incompiuto mantenendo l’attuale forma tozza. Nel cortile di una madrassa assistiamo ad uno spettacolo di acrobati. Due fratelli si esibiscono su un cavo metallico. E per rendere tutto più spettacolare coinvolgono anche il figlio del più giovane della coppia. Il bimbo di soli cinque anni viene issato con una corda per finire sulle spalle di papà che si esibisce sul filo sospeso. Al termine delle acrobazie musiche tradizionali. Un ragazzino tiene il ritmo con un tamburo mentre gli acrobati si trasformano in musicisti. Suonano delle lunghe e strane trombe il cui suono mi ricorda quello un po’ sordo dei tromboni svizzeri. Alla fine applausi, foto ricordo e saluti molto cordiali.

Il gruppo di questo viaggio in Uzbekistan si compone e si ricompone. Sedici persone provenienti da tre diversi continenti, una sola coppia ed il resto tutti “solo travelers”, la maggioranza è inglese. Alcuni sono partiti da Bishkek (capitale del Kirghizistan) mentre io, con altri sei componenti, mi sono aggiunto a Tashkent. Alcuni sono diretti in Turkmenistan, io ed altri sei facciamo ritorno alla capitale assieme a Marifat, la giovane guida del gruppo. E così per l’ultima serata si organizza una cena d’addio. Sulla terrazza del Old Terrassa Restaurant il panorama è a dir poco splendido. Per sfondo la città con le sue madrasse ed i suoi minareti perfettamente illuminati. Un clima ottimale ed una piacevole brezza completano il quadro. Un cameriere suona un clarinetto mentre un altoparlante lancia musiche tradizionali alternate ad hit internazionali ed a Bella Ciao che ormai è diventata una canzone conosciuta in tutto il mondo. A me fa un grande effetto ma nessuno conosce le origini e il suo significato. Io mi permetto di cantare la canzone in lingua originale. La serata sulla terrazza termina danzando e con calorosi abbracci di saluto.

Lascio Khiva ancora estasiato dalla sua bellezza e dalla sua architettura così perfettamente conservate. Khiva è entrata a far parte delle mie città preferite del mondo.       

Il minareto Kalta Minor

Un’antica porta lignea intagliata affacciata a Zangarlar street

BUKHARA, LA CITTA’ SACRA DELL’ASIA CENTRALE

Bukhara, che quì chiamano Buxoro, è considerata la città più sacra dell’Asia centrale. Tra il IX ed il X secolo Bukhara era la capitale dello stato samanide e fu considerata un importante centro culturale e religioso. Nel XVI secolo si contavano oltre 100 medresse e più di 300 moschee. Seguì un periodo di governanti corrotti il peggiore dei quali fu Nasrullah Khan che prese il potere nel 1826 dopo aver ucciso i suoi fratelli e 28 parenti. E così venne soprannominato “il macellaio”. Nel 1868 l’esercito russo dello zar la occupò e dopo un breve periodo di indipendenza arrivarono i bolscevichi che nel 1924 la inclusero nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Uzbechistan. Ancora oggi si trovano numerosi monumenti religiosi, antichi bazar coperti ed una poderosa fortezza. Iniziamo la nostra visita proprio da questo complesso denominato Ark. Una città regale circondata da possenti mura situata all’interno della città stessa. Oggi purtroppo rimangono pochi edifici in quanto nel 1920 fu bombardata dai russi. Si sale la rampa d’ingresso e sulla sinistra troviamo la seicentesca moschea Juma con pilastri in legno e capitelli decorati. Proseguendo si trova la sala dell’emiro dove venivano ricevuti gli ambasciatori stranieri, oggi ospita una mostra di reperti archeologici. Più avanti si entra nell’ampio cortile dedicato alle udienze giornaliere ed alle incoronazioni, sul retro c’era l’harem. All’epoca l’area era completamente coperta ma il tetto crollò in seguito ai bombardamenti dei russi nel 1920. Ogni giorno l’emiro riceveva qui circa 400 collaboratori. Sulla destra erano situate le scuderie reali. Nel parco Samani troviamo il mausoleo di Ismail Samani completato nel 905. Una elaborata struttura di mattoni in terracotta fa sì che il colore delle pareti esterne cambi con il variare dell’angolo di illuminazione solare. Ai confini del parco, di fronte all’Ark, è situata la moschea di Bolo Hovuz che significa “vicino al laghetto”.  Costruita nel 1712 ha pilastri lignei aggiunti nel 1917. Nel centro della città antica si trova il Poi Kolon complex dove svetta il minareto Kolon. Una torre alta 47 metri costruita nel 1127, un capolavoro di architettura, all’epoca era forse la costruzione più alta dell’Asia centrale. Gengis Khan rimase talmente impressionato che non volle distruggerla. Quando la vide abbassò la testa e perse il cappello che allora era considerato sacro, per raccoglierlo si dovette inchinare e così la risparmiò. Ai piedi del minareto si trova la moschea Kalon costruita nel XVI secolo, in epoca sovietica fu utilizzata come magazzino ma nel 1991 fu riaperta come luogo di culto. Nel passato la città vantava molti bazar, solo tre sono sopravvissuti e completamente ristrutturati in epoca sovietica. Coperti da cupole, pieni di vita e di luci sono tuttora attivi. All’interno di un bazar si trova L’Hammon Bozori Kord, un antico bagno pubblico che oggi svolge le funzioni di un ammam. Situato all’interno di una costruzione risalente al XVII secolo ha sale ottagonali con arcate. Il trattamento è una esperienza fantastica che va vissuta. Per i primi 20 minuti sono seduto sulle pietre del bagno turco, calore e umidità bagnano la pelle. Segue un bel lavaggio del corpo e shampoo, scrab e un bel secchio d’acqua gelida. Un massaggio “soft” e polvere di zenzero sul corpo. Dopo altri dieci minuti seduti nel bagno turco arriva una bella secchiata d’acqua calda per risciacquare il corpo. Il percorso che richiede circa un’ora si conclude con del the caldo e dolcetti. Le serate terminono sempre alla Lyabi-Hauz, una piazza costruita nel 1620 attorno ad una vasca che faceva parte dell’antico sistema idrico della città. Ora al centro della piazza si trova un laghetto con una grande fontana e tutto intorno tanti ristoranti.          

Il portale d’ingresso e le mura del complesso Ark
L’antico mausoleo di Ismail Samani alla luce del mattino
Il minareto Kalon alto 47 metri risalente al 1127

IN VIAGGIO VERSO BUKHARA

Ora sono in viaggio con un gruppo internazionale composto da sedici persone di tre diversi continenti ed una guida uzbeka, Marifat. Viaggiamo comodamente su un pullman condotto da due autisti locali. Lasciata Samarcanda alle spalle attraversiamo una zona arida, una steppa, per arrivare a Nurota dove troviamo un antico rudere che si presuppone essere una fortezza di Alessandro Magno. Bisogna salire su una collina per incontrare i resti di mura costituite da mattoni crudi risalenti a circa 2.300 anni fa. La fortezza aveva il compito di difendere la città dai nomadi provenienti da Nord. Alcune torri, grazie ai fuochi accesi sull’estremità, fungevano da “fari” per indicare la strada ai viandanti. Dalla vetta della collina si gode il panorama della verde città circondata dal deserto. Al di sotto una moschea del XVI secolo con una torre centrale ed un canale dove vivono centinaia di “trote sacre”. L’acqua scaturisce dalla Sorgente di Chashma, la leggenda racconta che il genero del profeta Maometto conficcò il suo bastone nel terreno e da quel punto incominciò a scorrere l’acqua. Entriamo in un fresco giardino dove troviamo dei tavoli già apparecchiati con un’insalata di carote, pomodori, melanzane fritte, spaghettini con verdure. Segue un brodo di carne con verdure e ravioli (baraka) cotti al vapore ripieni di carne conditi con po’ di panna. The come bevanda e melone per dessert. Ancora un po’ d’asfalto per entrare nel deserto e percorrere una strada sterrata. Arriviamo al lago Aidarkul, un vastissimo (180 x 32 km) bacino d’acqua dolce voluto dai russi per le coltivazioni di cotone. Un bagno rinfrescante nel bel mezzo del deserto è cosa buona. Ripartiamo percorrendo una pista di sabbia grigia circondata da rovi. Incrociamo qualche vacca e greggi di pecore. Mentre viaggiamo la nostra guida, Marifat, declama in uzbeko versi scritti dal poeta nazionale Novoy. La sabbia diventa rossiccia, un’ora scarsa di bus ed arriviamo al nostro Yurta Camp dove passeremo la notte. Gruppi di yurte bianche, molto basiche, quattro letti, una lampadina e prese elettriche. A sorreggere il tetto un intreccio di rami di legno e strisce di stoffe colorate. Dopo cena tutti attorno al fuoco, un cantore kazaco suona e interpreta canzoni della sua etnia molto presente in quest’area. La serata termina con un ballo corale e un girotondo attorno al fuoco. La mattina all’alba la temperatura è piuttosto bassa a causa dell’escursione termica tipica dei deserti. Dopo colazione ripartiamo, lasciamo la pista ma ritroviamo un asfalto non proprio bello. I rovi diventano più verdi e gli allevatori riescono anche a fare delle balle di fieno per alimentare gli animali. Un campo di girasoli, una grande centrale elettrica, ed entriamo a Navoy. Sosta caffè, un espresso (si fa per dire) 30.000 som (c.a. 2 €), il triplo di una birra, ed una brioche ripiena di formaggio. Lungo la strada sosta al caravanserraglio Rabat-i-Malik. Un bel portale con disegni e iscrizioni in arabo è praticamente tutto quello che rimane. All’interno ci sono le basi delle mura delle sale e delle camere, ai due lati le basi di due torri che ne segnalavano la presenza. Sul lato opposto dell’autostrada si trova l’antico serbatoio dell’acqua che alimentava il caravanserraglio. Una struttura di mattoni crudi con una cupola. All’interno si conservava l’acqua che veniva trasportata da addetti che la versavano nel serbatoio parzialmente scavato nella terra e ricoperto da pietre. Lungo l’autostrada un bianco monumento ci informa che stiamo entrando nella provincia di Bukhara che però qui chiamano Buxoro.               

Le rocce ed i mattoni del castello di Alessandro Magno

Il lago Aidarkul

Lo Yurta Camp

SAMARQAND – LA CITTA’ DI AMIR TEMUR, OVVERO DI TAMERLANO

“Oh, oh cavallo, oh, oh cavallo”. Se ami Roberto Vecchioni, Samarcanda è questa canzone. “Ridere, ridere, ridere ancora”. E io sorrido felice di essere arrivato nella città di Tamerlano. La fondazione di Samarcanda risale all’VIII secolo a.c., venne poi conquistata da Alessandro Magno ed inseguito diventò un punto focale della Via della Seta. Gengis Khan la distrusse nel 1220 ma fortunatamente venne rifondata da Tamerlano che la trasformò nella capitale del suo impero. Nel XVI secolo iniziò il suo declino in seguito alla presa del potere da parte degli uzbeki shaybanidi. Dopo una serie di terremoti la città rimase disabitata ma l’emiro di Bukhara la ripopolò. La vera rinascita avvenne però con l’arrivo dei russi che la ricollegarono all’impero grazie alla linea ferroviaria transcaspiana. Il luogo più iconico di Samarcanda è senza ombra di dubbio il Registan. Tre maestosi edifici, tre madrasse ricoperte da maioliche e mosaici blu/azzurri, le più antiche del mondo giunte fino a noi. Il nome in tagiko significa “luogo sabbioso” ed era il centro commerciale della città medioevale. I tre edifici nel corso dei secoli hanno subito gravi danni a causa di terremoti, il fatto che siano ancora in piedi certifica la bravura dei loro costruttori. I russi fecero certamente un gran lavoro di recupero e di ricostruzione. La Medressa di Ulugbek è la più antica e risale al 1420, venne costruita su ordine del famoso scienziato e astronomo Mirzo Ulugbek. All’interno si può visitare una mostra fotografica ed ammirare un enorme Corano con rifiniture in oro di 302 pagine. All’interno di una sala col soffitto blu e decorato con le costellazioni si trova una scena ricostruita di scienziati, incluso Ulugbek, che studiano un mappamondo. Di fronte si trova la Medressa Shar Dor (del leone) terminata nel 1636. Sul fronte le solite ceramiche mentre sopra il portale sono raffigurati due felini rampanti. La terza medressa, la cui costruzione fu terminata nel 1660, si trova ai lati delle due già descritte. Il suo nome è Tillakari che significa rivestita d’oro ma riprende stile e colori delle altre due medresse. All’interno del fresco cortile si trova una moschea con decorazioni in blu e d’oro. Purtroppo le sale del cortile attiguo che erano destinate a dormitori sono state trasformate in negozi di souvenir. Molto suggestiva è la vista notturna del complesso, ben illuminato con giochi di luce gradevoli. Poco oltre, su una collina, incontriamo la moschea di Hazrat-Hizr. Data alle fiamme da Gengis Ghan fu ricostruita nel 1854 e restaurata grazie ad un facoltoso cittadino di Bukhara. All’interno trovo gruppi di fedeli in preghiera condotti da un imam mentre tre donne pregano in una angusta saletta sulla destra dell’edificio. Dalla terrazza si gode il panorama della città dove svettano moschee e madrasse. In fianco alla moschea si trova la tomba del primo presidente della repubblica uzbeka Islom Karimov. Una tomba in marmo bianco con in fianco un mazzo di fiori rossi. Arrivo così al complesso Shah-i-Zinda che significa “tomba del re vivente”. Si accede superando un portale, sulla sinistra un imam sta pregando. Una ripida scalinata di mattoni porta verso una arcata bianca oltre la quale si trovano le cappelle con le tombe. Le cappelle si susseguono sui due lati, la più bella è sicuramente il mausoleo di Shodi Mulk Oko dove riposano una sorella e una nipote di Tamerlano. Poco oltre vi è il mausoleo ottagonale del XIV secolo ed alcune tombe di sconosciuti. Tutte le porte delle tombe sono in legno inciso mentre la maggior parte dei mosaici e delle piastrelle di maiolica non sono più le originali ma opera di restauro. All’interno di una sala trovo una donna che prega assieme ad un giovane imam, al termine della preghiera gli offre una banconota. Verso il fondo incontro il mausoleo di Khodja Aham con all’interno maioliche verdi e notevoli arcate. Andando verso la città russa si visita il mausoleo di Gur-e-Amir che si presenta con un bellissimo frontale ed una cupola azzurra. Qui riposa Amir Temur (Tamerlano, 1.336 – 1.405 ) insieme a due figli e due nipoti. Nel 1941 un antropologo sovietico aprì le cripte, scoprì così che Tamerlano era alto circa 1,70 m, menomato ad una gamba e con vecchie ferite al braccio destro. E per una serata piacevole c’è El Merosi Teatr dove si tiene uno spettacolo di danze storiche in costume. Il primo ballo si riferisce alle antiche civiltà e lo spettacolo si svolge attraversando le diverse epoche storiche. Due uomini fanno le loro apparizioni quasi statiche mentre le ballerine in costumi tradizionali rasentano la perfezione nei movimenti e nel ritmo. 

Il Registan, icona della città
A sinistra l’ingresso della moschea Hazrat-Hizr, a destra il mausoleo del primo presidente della Repubblica
Nel complesso Shah-i-Zinda il mausoleo di Shodi Mulk Oko dove riposano una sorella e una nipote di Tamerlano
La tomba di Tamerlano
Danze in abiti tradizionali al El Merosi Teatr

MARGILON, DOVE NACQUE LA SETA

Se ci si chiede: dove nacque la seta ? Probabilmente la risposta esatta è qui, a Margilon. La città fu probabilmente fondata già nel I° secolo a.c. e per un lungo periodo fu gestita dalle corporazioni dei commercianti della seta. La più importante attrattiva della città sarà quindi la Yodgorlik Silk Factory. Lo show room e il negozio sono situati in una ex moschea. E’ domenica, la fabbrica è praticamente vuota ma visitabile grazie all’aiuto di una giovane guida. Si inizia col trattamento dei bozzoli (riesco ad averne uno), bollitura, trattamento al vapore e dipanamento. Segue la tintura e la tessitura. Ci sono molte macchine meccaniche ma oggi il reparto è vuoto e non attivo. Nel reparto tessitura manuale un paio di donne ci mostrano il procedimento. Sui telai di legno le tessitrici muovono alternativamente i due piedi mentre con la mano destra comandano la navicella che corre veloce tra le trame. Il risultato è a dir poco straordinario. Queste tele di seta colorata che si compongono molto lentamente hanno colori vivaci e disegni di fantasia. Inoltre la domenica, al di fuori del centro cittadino, si tiene il Bazar Kumtepa. Il “bozor”, così viene chiamato localmente, è raggiungibile grazie a moltissimi taxi collettivi chiamati “marshrutka”. Migliaia di uomini e donne, soprattutto donne che si dedicano alla spesa famigliare, si muovono in qualsiasi direzione. Qui si vende di tutto, abiti e biancheria, frutta fresca e secca, verdure, uova con ceci e carne, sempre appesa a sul bancone. Molti sono i chioschi che offrono spiedini cotti sulla carbonella e panzerotti fritti in un grande wok alimentato a legna. Sono spesso investito da queste folate di fumo e di odore di griglia così fermo a scattare qualche foto davanti ad uno di questi chioschi. Nonostante mi trovo in paese musulmano qui non è un problema fotografare, anzi ne sono felici e sono proprio loro a chiedermi di farlo. Un ragazzo impasta e dà forma ai panzerotti, li imbottisce e un cuoco li frigge nell’olio. Il titolare, con una bella faccia asiatica e pizzetto, mi invita a sedermi ad un tavolo. Un signore anziano mi pone domande aiutandosi molto con i gesti, in qualche modo ci capiamo. Prima mi viene servito un panzerotto col ripieno di carne e poi un secondo col ripieno di purè. Almeno così sembra. Un po’ unti ma piacevoli. Prima di mangiarli vanno intinti in un sughetto leggermente piccante e come bevanda le teiere sono sempre disponibili. Quando chiedo “quant’è” la risposta è “vai” mimata con le mani. Insomma lo spuntino mi è stato offerto, non è per l’importo che sarà una sciocchezza ma ho molto apprezzato il gesto. Aneddoti del genere sono ancora possibili. Anche qui vedo molte donne sedute allo stesso tavolo che conversano bevendo del the durante una pausa della spesa. Nel tardo pomeriggio sono in stazione in attesa del treno per la capitale. Un’addetta mi invita ad accomodarmi nella sala d’aspetto VIP. Accende le luci e la tv che dà storielle e balli di “Bollivud” e mi serve del the. Seduto su comodi divani della ferrovia dell’O’zbekiston (così lo chiamano) attendo l’arrivo del treno. E’ lo stesso che ho preso ieri ma oggi non ho il biglietto perché la biglietteria è chiusa. Un addetto mi fa sedere nella sua carrozza, chiama una ragazza che parla inglese (poi scoprirò che è una guida turistica) che fa da interprete. Così riesco pagare e sorseggiare un the mentre si viaggia. La linea ferroviaria attraversa una vasta pianura coltivata, è la valle di Fergana. In tempi piuttosto rapidi riappare il deserto ma in un affossamento della vallata vedo un lungo e stretto villaggio con orti e piante. Il sole tramonta, il cielo diventa rosa e le montagne disegnano il loro profilo scuro. Sono le 19 ed è già arrivato il buio. Lungo la strada, che in alcuni tratti corre parallela alla linea ferroviaria, si vedono le luci delle auto, i ristoranti e le stazioni di servizio illuminate con lunghi tubi colorati al neon. Verso le 22 arrivo a Tashkent, o meglio, come vedo scritto in stazione Toshkent.     

Bozzoli durante le lavorazione
Il bazar Kumtepa

PASSAGGIO IN UZBEKISTAN

La frontiera con L’Uzbekistan è praticamente alla estrema periferia di Osh. Il taxista mi lascia proprio alla fermata dei mini-bus là diretti. In due minuti faccio il biglietto e si parte. Sul pullmino ci sono una dozzina di persone: donne velate ma anche col foulard russo, uomini col tipico copricapo locale ed un viaggiatore basco di Bilbao. In un attimo siamo alla frontiera kirghisa, tutti giù dal mini-bus per un controllo passaporti piuttosto rapido, raggi X per i bagagli. A duecento metri c’è la frontiera uzbeca. Anche qui controllo facciale e passaporto molto rapidi. In due ore complessive mi trovo ad Andijon, la più grande città della valle di Fergana.  Il solo nome della città quì in Uzbekistan evoca massacri e scenari drammatici. Tutto è dovuto alla rivolta e ai successivi fatti di sangue avvenuti il 13 maggio del 2005. Saluto l’amico basco che prenderà un bus io invece mi preoccupo di comprare il biglietto del treno per Margilon. E’ già passata l’ora di pranzo e incomincio a sentire un certo appetito. Normalmente attorno alle stazioni ferroviarie si incontrano diversi punti di ristoro. Cammino lungo un largo viale ma non trovo ristoranti nè fast food. Chiedo ad un gruppo di persone che staziona davanti ad un market e si fanno avanti due ragazzi con un buon inglese. Due medici specializzandi che gentilmente si offrono di accompagnarmi presso un ristorante. Si chiacchera e scattiamo una foto ricordo. Al ristorante, un self service molto frequentato, un ragazzo mi tiene la valigia e il tavolo mentre l’altro mi accompagna per la scelta dei piatti. Scelgo un raviolo rotondo ripieno di carote mentre il ragazzo mi consiglia un piatto di manzo stufato con cipolle e patate in umido, tutto immerso in un brodo, the ed un panino. Il pane qui ha forma circolare, un alto bordo che può ricordare quello delle pizze napoletane ed un affossamento nel centro. Ai tavoli vedo una nonna con una nipotina, coppie, tre amiche che chiacchierano. Etnie diverse, velo islamico e foulard russo, ma sedute allo stesso tavolo con molta armonia. Di fronte al ristorante un monumento con un viandante seguito da tre cammelli ci ricorda che da sempre la città è stata una tappa importante della Via della Seta in quanto luogo d’accesso alla valle di Osh. Il treno parte verso le cinque del pomeriggio, in meno di un’ora mi trovo a Margilon, centro della fertile piana di Fergana.      

OSH E IL SULEIMAN TOO

Osh, la seconda città del Kirghizistan, è dominata da un rilievo montuoso a cinque punte: il Suleiman Too. Per secoli è stato un importante centro di pellegrinaggio per i musulmani, pare che ci passò perfino Maometto. Nella roccia è stato scavato il Museo delle Grotte al cui interno troviamo vecchie fotografie, simboli religiosi, una minuscola grotta che dovrebbe favorire la fertilità delle giovani donne, alcune ricostruzioni di ambienti preistorici ed una esposizione di animali imbalsamati. Un’aquila, lupi, cinghiali, un ibex identico ai nostri stambecchi ed un camoscio che sembra quelli che incontro a Cogne. Dalla terrazza esterna si gode il panorama della città circondata da monti. Poco sotto una moschea con cupola verde e minareti con cupole dorate. Evito di entrare perché è venerdì ed è in corso la preghiera. Al suo fianco un vecchio cimitero. All’interno di un parco è stata allestita una yurta a tre piani. E’ assolutamente una rarità, forse è l’unica al mondo. La porta d’ingresso è chiusa ma credo di non perdere nulla in quanto all’interno ci sono un ufficio turistico e qualche negozietto. Al margine del Parco Petrovsky si può ammirare una delle poche statue di Lenin dell’Asia centrale. Imponente, eretta su una grossa base geometrica mostra lo storico rivoluzionario con una mano appoggiata al bordo del giaccone e l’altra rivolta verso il mondo. Posta a circa 950 metri d’altezza Osh ha un clima mite. La gente del posto ritiene che la città sia più antica di Roma, dichiarazione che avevo già incontrato ad Erevan, capitale dell’Armenia. La fondazione viene attribuita a re Salomone (Suleyman) oppure ad Alessandro Magno. Questa diatriba non mi interessa, quel che è vero è che la città per secoli fu uno dei centri nevralgici della Via della Seta.

La yurta a tre piani
Bianco e nero