GLI ICEBERG

“Tutte le cose grandi nascono piccole”. Così si intitola la descrizione che trovo nello Icefjord Centre di Ilulissat che prosegue: “Un iceberg inizia da un fiocco di neve … Una gocciolina d’acqua evaporata, proveniente da chissà dove, viene portata dal vento fino in Groenlandia. Nelle fredde nuvole artiche l’acqua diventa un cristallo di ghiaccio. Il cristallo di ghiaccio si lega con altri cristalli e diventa così pesante che cade su uno strato ghiacciato … E, come parte di una grande massa di ghiaccio inizia il suo lungo viaggio nel ghiacciaio che in seguito si spezza. Prende così forma l’iceberg. L’iceberg galleggia, naviga e si fonde. E così la gocciolina ritorna a far parte della grande massa d’acqua. Il ciclo continua ininterrottamente. Il ghiacciaio Sermeg Kujalleq, posto alla fine dell’Ilulissat Icefjord, e i tanti iceberg … creano le condizioni ideali per lo sviluppo della fauna marina. Quando un iceberg si stacca dal ghiacciaio e rovina in mare crea una turbolenza che muove l’acqua dal basso verso la superfice. Questo movimento favorisce lo sviluppo del plancton e delle alghe marine che attraggono i crostacei che a loro volta diventano cibo per pesci, foche e balene.” E le balene hanno attratto cacciatori, commercianti, esploratori, ricercatori… Veniamo al centro espositivo. Lo Icefjord Centre è costituito da un grande e bellissimo stabile tutto legno, ferro e grandi vetrate. Progettato da una architetta danese venne inaugurato nel 2019. L’edificio ricorda le ali di un uccello distese sul terreno e le vetrate consentono uno scambio continuo tra il visitatore e la natura circostante. Il Centro ospita la mostra permanente della “storia del ghiaccio” ed una sala dove viene proiettato un interessante documentario scientifico. Teche in vetro soffiato a forme irregolari mostrano reperti archeologici e la formazione degli iceberg. Al centro della sala sono esposti sei carotaggi di ghiaccio mantenuti ad una temperatura adeguata. Dopo una passeggiata sul tetto in legno si imbocca una lunga passerella che conduce i visitatori fino al bordo del fiordo. Dopo un centinaio di metri vi è posta una piastra metallica che segnala l’entrata nell’area protetta dall’Unesco. La passerella attraversa un’area verde con pozze d’acqua ed una flora molto nordica. Una scala in legno porta sulle rocce dalle quali si possono ammirare decine di enormi iceberg, alcuni alti più di 150 metri. La vista è immensa, lo spettacolo è da mozzafiato. Il ritiro del ghiacciaio è in atto dal 1850 ma è altrettanto evidente che la formazione di iceberg è continua. Da questo punto gli iceberg iniziano un lungo percorso attraverso la baia di Baffin, il Mar del Labrador, per finire nell’Oceano Atlantico Settentrionale. Questi iceberg si possono trovare dalla Norvegia fino al Portogallo. Nel 1921 un iceberg raggiunse le coste delle Azzorre! Ma nell’aprile del 1912 uno di questi blocchi di ghiaccio si trovava tra il Canada e la Francia. Durante una notte stellata una bellissima e velocissima nave stava navigando in questa zona. Gli addetti agli iceberg erano privi di binocoli e videro l’immensa montagna bianca in ritardo. L’allarme arrivò in plancia di comando troppo tardi. Ci fu un errore di manovra e la nave urtò l’iceberg. Il ghiaccio causò un enorme squarcio nella carena che nessun progettista avrebbe mai immaginato. Quella nave si ruppe in due tronconi, precipitò in acqua e si inabissò. Tutto questo si svolse nel giro di un paio d’ore. Quella notte morirono più di 1.500 persone. Quella bellissima e velocissima nave era il transatlantico Titanic.   

La sera invece gli iceberg me li vado a vedere in battello. Si parte alle 21 e appena usciti dal porto il comandante fa lo slalom tra il ghiaccio, il mare è calmissimo, temperatura accettabile, vento moderato. La guida, una giovane danese, dà un po’ di ragguagli storici e scientifici per poi passare alla preparazione di un drink molto particolare. Sdraiata sulla piattaforma posteriore del battello raccoglie dal mare alcuni pezzi di ghiaccio che poi rompe per metterli nei bicchieri. Versa una tisana preparata con erbe locali e ci aggiunge del gin. Il liquore viene prodotto in Danimarca ma utilizzando l’acqua ricavata dai ghiacci di Ilulissat. Il risultato è una bevanda molto piacevole. Il sole illumina ancora bene gli iceberg che si susseguono l’uno dopo l’altro. Le dimensioni e le forme sono le più svariate. Con la fantasia si può immaginare ogni cosa ma uno piccolino aveva la forma di un coniglietto. Alcuni gabbiani volano in cielo o si lasciano galleggiare sul pelo dell’acqua. Si vede in lontananza qualche altro battello che scompare dietro un iceberg per poi riapparire. Il cielo è blu spezzato da qualche nuvola, il sole brilla ancora in cielo, sta per arrivare la mezzanotte. L’ultimo tratto, sgombro dai ghiacci, lo percorriamo ad alta velocità, a circa 25 nodi. Un brusco rallentamento e rientriamo in porto.      

UN BUFFET GROENLANDESE

Per iniziare una bella zuppa: una brodaglia scura con un po’ di riso stracotto e pezzi di foca duri e amari. Direi che la zuppa di foca non è stata una buona esperienza e, a quanto pare, non solo per me. Vedo che non ha avuto un grande successo. Andiamo oltre, trascurando le verdure e la solita insalata di patate “alla tedesca”, affronto pesce e crostacei crudi. Gamberetti, filetti di halibut, granchi. Freschissimi, carni bianche, sapore delicato, chele arancioni lunghissime e colme di polpa. Ottimi. Esposti su dei fili trovo pezzi di halibut esiccato, duro e un po’ insapore. Bis di granchi ma non di halibut. Naturalmente a disposizione c’è una vasta selezione di salse, direi non solo maionese. Sul tavolo successivo patate e trancetti di balena, troppo duri, li evito. In fianco trovo dei pesci impanati e fritti, molto buoni e rifaccio un bis. Segue una specie di paella: riso (troppo cotto), mandorle e uvetta, gamberetti, tranci di halibut grigliato con qualche foglia aromatica. Buono anche se, ovviamente, meglio quella spagnola. Per dessert un po’ di frutta tropicale, forse non troppo locale, ed un dolcetto di cioccolato con crema. Tutto molto ben presentato e servito ma risulta chiaro che la cucina locale era sostanzialmente povera e basata su pesce e crostacei. Bevande? Un calice di vino bianco californiano, uno Zinfadel, forse un po’ troppo fruttato.

ILULISSAT

Illulisat, ovvero Kalaallisut, che in lingua locale significa “icebergs”. Non c’è nome più appropriato ed infatti la baia ne è colma. Non è ancora l’estremo Nord della Groenlandia ma siamo comunque sopra il 69° Lat Nord. Tutti questi imponenti iceberg si staccano dal ghiacciaio di Sermeq Kujalleq, largo 5 km, lungo 60 km, con spessore non ben definito ma sicuramente tra i mille ed i duemila metri. Viene riconosciuto come il più grande al mondo al di fuori dell’Antartide. Il ghiacciaio, nel 2004, è stato riconosciuto “Patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO. In questa zona sono stati trovati reperti archeologici risalenti a 3.500 anni fa che testimoniano la presenza prima degli Saqqaq e poi dei Dorset che vissero sostanzialmente di pesca e di caccia. Faccio davvero fatica a capire come ciò sia potuto accadere. Oggi Ilulissat consta di circa 5.000 abitanti ed è in rapida espansione a causa dello sviluppo del turismo. La cittadina è come sempre costellata di casette dai colori vivaci ma anche qui sono sorti i primi palazzi e alcuni grandi alberghi. Inoltre, sulle rocce dell’insenatura del porto, si impongono gli enormi serbatoi di carburante. E’ una cittadina tranquilla ma, come tutte le altre località, non ha una piazza, una agorà dove la gente si possa ritrovare. Del resto il clima non aiuta. Di fronte al mare, di fronte ai ghiacci, una bella chiesa costruita nel 1779. Questa volta di colore marrone scuro con finestre bianche ed un bel campanile. Due piccoli musei. Il primo dedicato all’esploratore Rasmussen allestito in una casa del 1917. Vi si trovano diverse collezioni di oggetti storici inclusi utensili, coltelli, arpioni, risalenti anche all’epoca quasi-preistorica. Vi si trova la ricostruzione di un vecchio ufficio postale, le immancabili slitte trainate dai cani ed i kayak. Il secondo è invece l’Art Museum dove sono esposti dipinti e stampe con soggetti locali. Le uniche opere che hanno attratto la mia attenzione sono tre acquerelli ai quali sono stati aggiunti, come coloranti, i liquidi provenienti da balene, foche e dal pesce halibut.

Ilulissat vive ciclicamente la notte artica durante l’inverno e le infinite giornate estive. Dal 21 maggio al 23 luglio qui il sole non tramonta mai. E difatti a mezzanotte, dalla mia camera d’albergo, vedo le montagne e le case illuminate dal sole.         

NAVIGANDO SULLA SARFAQ ISSUK

Alle 21, puntuale, senza un colpo di sirena, la Sarfaq Issuk salpa. La nave bianca e rossa imbocca l’uscita del fiordo e lascia alle spalle i palazzi di Nuuk. Mare calmo, cielo blu e vento freddo. Nonostante la temperatura tutti i passeggeri sono sui ponti per godersi lo spettacolo. Ci vuole quasi un’ora per arrivare sul mare aperto, la nave aumenta la velocità, il mare da piatto si fa un poco mosso. La mattina si arriva con venti minuti di anticipo a Maniitsoq, la nave attracca e scendo a far due passi sul molo. È un villaggio con le tipiche case costruite sulla roccia ed un palazzone bianco le sovrasta tutte disturbando la vista. Si riparte puntualmente alle 7,30 per arrivare alle 11 a Kangaamiut. Qui la nave non attracca perché non c’è un molo sufficientemente grande, rimane ferma in mezzo al fiordo. Gli addetti calano un motoscafo arancione. Sei passeggeri ed un bambino, tutti dotati di salvagente, vengono portati a terra assieme a due sacchi di posta. Il villaggio è costruito sulle due sponde di uno stretto golfo. Un secondo trasferimento di passeggeri mentre solo due persone si imbarcano, il motoscafo viene issato a bordo e si riparte. La Sarfaq passa attraverso isole e isolotti, le montagne innevate si riflettono sull’acqua. Il mare si fa più mosso, le onde hanno creste di schiuma, qualche gabbiano ci vola attorno per poi abbassarsi velocemente alla ricerca di cibo. Alle 15,47 l’annuncio del capitano: welcome in the Artic. Abbiamo superato il Circolo Polare Artico (66°33’49” Lat Nord), non è la mia prima volta ma è sempre una emozione. Alle 17 arriviamo a Sisimiut, seconda città della Groenlandia con quasi seimila abitanti. Grazie all’influsso della Corrente del Golfo il porto è sempre libero dai ghiacci ed infatti da qui partivano le baleniere. Sul molo del porto sono impilati decine e decine di container. Almeno una trentina sono dei grandi congelatori. I condizionatori indicano -25°, la catena del freddo è assicurata ma quale consumo di energia! Il panorama della città è quello ricorrente: case abbarbicate sulle rocce tinteggiate dai mille colori. A Sisimiut però si trovano anche alcuni edifici storici: la chiesa in legno più antica dell’isola risalente al 1775 ed un interessante museo sulla cultura dei primi abitanti, gli Saqqaq, già presenti nel 2.500 ac. A quest’ora purtroppo il museo è chiuso ma si può passeggiare attorno ai vecchi stabili. E’ quasi ora di ripartire, gli addetti caricano a bordo il piccolo box metallico adibito a “reception”, si richiude la passerella per lo sbarco, si liberano gli ormeggi e la nave riparte. Cielo azzurro, qualche nuvola leggera, mare calmo. La notte passa tranquilla, verso le 8 del mattino si attracca ad Aasiaat. La nave si ferma una mezz’ora per cui scendo al volo, arrivo sul molo dei pescherecci ma è tutto vuoto, così pure l’adiacente mercato del pesce. Si riparte e cominciano ad apparire i primi iceberg, sempre più grossi, sempre più frequenti. Abbiamo imboccato la baia di Disko, la Sarfaq Issuk naviga quasi zigzagando. Puntualissima, alle tredici, la nave entra nel piccolo porto naturale di Ilulissat.

NUUK – LA CAPITALE

Nonostante i ritardi e le cancellazioni dei voli arrivo a Nuuk, anche se con un giorno di ritardo. Per i danesi il nome della città è Godthab, che significa “buona speranza”, ma venne sostituito nel 1979 dal governo locale con Nuuk che invece significa “capo”. La città è infatti posta al termine del fiordo Nuup Kangerlua ed è circondata da montagne innevate. Siamo nella Groenlandia occidentale che si affaccia al mare del Labrador e quindi al Nord del Canada. Sede del governo locale la città ha recentemente superato i 19.000 abitanti che rappresentano circa un terzo della popolazione dell’isola. I residenti sono in continuo aumento e la necessità di nuove case è confermata dall’enorme numero di gru che si possono vedere ovunque. Città moderna, forse troppo, e un po’ fredda, non solo per il clima. In centro una strada pedonale dove si affacciano molte attività: il Katuaq Culture Centre sito in uno stabile moderno che ricorda un’onda, e il Nuuk Centre, il palazzo più alto e più grande di tutta l’isola che ospita un centro commerciale. Un ambiente molto nordico, pulito e tranquillo fino a quando tutto a un tratto sento urla e canti. Ad infrangere il silenzio sono gli studenti delle superiori che oggi si sono diplomati. Una lunga e festosa catena umana composta da ragazzi con pantaloni neri e camice bianchissime e ragazze in abiti tradizionali dai mille colori con stivali vintage in pelle bianca. Tutti portano un baschetto bianco. Nel “cafè” ,dove famiglie e gruppi di giovani pranzano, il piatto più popolare è la pizza. Di fronte invece c’è il Caffè Pascucci, più sobrio, dove vengono serviti espressi e cappuccini. Poco più avanti la cattedrale luterana, il solito stabile in legno rosso ed una torre che termina con un tetto a piramide. All’interno panche grigie ed un semplice altare. Entra una famiglia con un neonato ed un pastore donna in maglietta tiene una lunga predica. Nel mezzo della navata, di fronte all’altare, una brocca con l’acqua, si tratta di un battesimo celebrato senza molta enfasi. Di fronte alla cattedrale il mare blu, rocce e una piccola spiaggetta. Poco più in là il Museo Nazionale della Groenlandia. All’interno una grande raccolta di reperti storici dell’antica cultura locale: abiti tradizionali, ambientazioni molto ben eseguite e antiche barche con lo scheletro in legno ricoperto da pelli foca. Non può mancare una completa collezione di kayak. Il pezzo forte del museo sono senza dubbio le mummie di Qilakitsoq. Scoperte casualmente nel 1972 da una coppia di fratelli cacciatori, risalgono a circa 500 anni fa. Quattro corpi di cui una mamma col proprio bambino di circa sei mesi. E’ interessante notare come la storia di questo paese sia stata influenzata dall’arrivo degli islandesi, norvegesi e soprattutto dai danesi, ma in modo anche più rilevante dai cambiamenti climatici: prima l’epoca dei cacciatori e del clima mite, poi l’arrivo della piccola glaciazione caratterizzata da una forte riduzione della popolazione, e infine, la deglaciazione che ha favorito l’arrivo dei coloni e la modernità.

TASIILAQ

Duemila abitanti e strade asfaltate, anche se la più lunga è solo di 3 km. Questo è un po’ più di un villaggio, è un bel paesotto affacciato ad una insenatura naturale stretta e profonda: il Kong Oscar (!) Havn. Qui c’è vita, la gente passeggia al sole mentre i bambini giocano a calcio nella piazzetta di fronte la scuola. C’è un centro sociale, un ospedale, un supermarket e una strana chiesa a pianta quadrata. C’è un piccolo porto commerciale dove attraccano anche le navi e sul mare del fiordo galleggia un grande iceberg. L’albergo riprende l’antico nome dell’isola: Angmagssalik, posto in posizione panoramica domina il paese. Qui si può bere del vino o della birra ma, in accordo ad un provvedimento del settembre 2021, è proibita la vendita di alcolici. La decisione fu presa dalle autorità locali per evitare le quotidiane violenze domestiche e i suicidi soprattutto da parte dei più giovani.  

Oggi è il 21 giugno, il giorno del solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno. In accordo ad un sito specializzato qui il sole è sorto alle ore 00,59 e tramonta alle 00,00. Cielo terso la mattina ma completamente coperto la notte.

IN ELICOTTERO

La mia prima esperienza in elicottero si fa sospirare. Qui a Kulusuk splende un bel sole ma tra l’isola omonima e quella di Angmagssalik c’è nebbia. I voli sono bloccati, continuo a ricevere sms dalla compagnia che annunciano un ritardo dietro l’altro ma non arriva nessun volo da Tasiilaq. A metà pomeriggio ricevo l’informazione definitiva: oggi tutti i voli sono cancellati, se ne riparlerà domani. Mi riportano in albergo dove ormai mi sento a casa mia. Verso sera la nebbia arriva anche qui ma le vette più alte riescono a emergere. La mattina successiva di nuovo in aeroporto, ci potrebbero essere delle possibilità. Tutto lo staff si dà da fare ma i voli sono già pieni, è certa la mia partenza entro sera ma dovrei farcela anche prima. Mi viene consegnata l’ultima carta d’imbarco, il nuovo orario di partenza è fissato alle 13,30. E’ la volta buona. Beste, la signora turca al banco del check-in, mi sorride e mi augura buon volo. L’elicottero rosso della Air Greenland è nella sua postazione. Dieci passeggeri in tutto, riesco a prendere un posto accanto al finestrino. Il pilota in tuta nera ci chiede di allacciare le cinture e mi spiega come rimuovere il finestrino in caso di necessità. Bisogna tirare il nastro rosso ma poi aggiunge: non succederà. Il pilota prende posto, si infila il casco mentre noi indossiamo le cuffie contro il rumore. Un paio di minuti con le pale in rotazione e poi lentamente si alza. Una virata e siamo sul mare. Si superano scogli, isolotti, ghiacci e sul fondo montagne innevate. Un panorama mozzafiato, l’altitudine di volo è di circa quattrocento metri. Dieci minuti e siamo sopra Tasiilaq, scendiamo dolcemente e le ruote toccano terra. 

KULUSUK

Groenlandia sud-orientale, arcipelago di Ammassalik. Kulusuk è il nome dell’isola (8 x 11 km di estensione, la più meridionale dell’arcipelago) ma anche del villaggio principale. Un territorio molto esposto ai venti freddi del Nord-Est, affacciato all’oceano Atlantico e all’Islanda. Non ha particolari attrattive se si escludono le vedute particolarmente suggestive sui piccoli golfi e sul braccio di mare che la separa dalla vicina isola. Kulusuk ospita però l’unico aeroporto della zona, o meglio un air-strip: una pista in terra battuta dove possono atterrare piccoli aerei e gli elicotteri da/per Tasiilaq. Quattrocento abitanti complessivi, tutti di origine inuit. Dall’aeroporto una strada sterrata conduce allo hotel, proseguendo nella medesima direzione si sale un dosso al culmine del quale si trova un cimitero. Un centinaio di croci in legno, tutte bianche, tutte uguali. Non un nome, non una data, in accordo alla tradizione inuit. Solo fiori, niente marmi o monumenti, solo qualche sasso bianco che delimita l’area dove il corpo è stato seppellito. Silenzio assoluto, sento solo il vento che sibila tra le croci. Scendo il dosso e sulla sinistra trovo un laghetto che sembra alpino ma è solo a due passi dal mare. Dopo una curva a destra appare un panorama splendido: il villaggio con le sue case colorate affacciate alla baia con un mare blu intenso e tanto, tanto ghiaccio. Un paio di curve e incontro cani da slitta sdraiati beatamente al sole, poco più avanti ancora qualche croce bianca affacciata al mare. Sui bordi della strada slitte in legno per cani e motoslitte, l’antico si mescola col moderno. Casette rosse, gialle, blu, un caleidoscopio di colori. Al numero 92 si trova la chiesa luterana costruita agli inizi del ‘900. Legno tinto di rosso, finestre bianche e tetto grigio. Mi affaccio sull’altro lato dell’isola, il mare si apre, i ghiacci sono meno intensi. Non ci sono luoghi di ritrovo a Kulusuk, niente bar o locali pubblici. Vedo una scuola piuttosto moderna, uno stabile accoglie l’ufficio postale ed un piccolo store. E’ sabato pomeriggio, tutto chiuso fino a lunedì. Incrocio la signora Justine che mi saluta e sfoggia un inglese basico, due ragazzetti girano in bicicletta, incontro un ubriaco, due cuccioli di cane mi fanno una gran festa. Rientrato in albergo all’ora di cena mi siedo vista mare. Un francese trasferito a Nuuk da cinquant’anni mi racconta tutta la sua vita ma anche interessanti dettagli groenlandesi. Attendo la mezzanotte in camera seguendo il movimento del sole che da Ovest si muove verso Nord. Arriva la bassa marea e i blocchi di ghiaccio che prima galleggiavano sull’acqua si arenano sulla terraferma mostrando anche quel 90% che rimane sotto il livello del mare. Verso le undici il sole si nasconde dietro le montagne. Le poche nuvole assumono una leggera colorazione rosa, la luce del sole si sposta sempre lungo la direttiva Ovest-Nord-Est. A mezzanotte i colori sono tutti tenui, le rocce scure, il cielo rimane chiaro, il mare azzurro-grigio. Al risveglio, la mattina seguente, il sole è già alto. Le montagne ancora parzialmente innevate si riflettono nitidamente in mare. Dopo colazione cammino verso Est, in direzione opposta a quella del villaggio. Supero qualche piccolo insediamento industriale, terminano i sentieri tracciati. Il terreno è molto morbido e si alterna a rocce scure. Licheni e cuscinetti di muschio con fiori gialli, azzurri o violetti. Attraverso qualche nevaio e guado rivoli d’acqua che si riversano in mare. Ikasgrtik è il braccio di mare che unisce Tuno all’oceano e che divide Kulusuk dall’isola posta a Nord. L’acqua marina è ghiacciata e di fronte a me vedo alcuni iceberg di grosse dimensioni, alti anche alcune decine di metri. Monumenti di ghiaccio dalle forme più impensabili, bianchi con sfumature d’azzurro, immobili in assenza di correnti. Il cielo è sempre blu, il vento soffia in continuazione ma non provo una sensazione di freddo. Al rientro incrocio il responsabile dell’aeroporto con la collega turca. Mi raccontano che la domenica l’aeroporto è chiuso e che il personale oggi è andato a Tasiilaq per una partita di calcio. Ieri, verso sera, i voli in elicottero sono stati sospesi a causa del forte vento ma loro sono molto fiduciosi per domani. Lo sono anche io.

GROENLANDIA

Kalaallit Nunaat in lingua locale. Groenland, dal danese: terra verde. Dall’inglese: Greenland, medesimo significato. Le origini del nome sono chiare. Non è chiaro invece il periodo esatto in cui si si insediarono i primi “Inuit” ma ancora oggi i nativi rappresentano circa il 90% della popolazione. La storia, e un po’ la leggenda, racconta che i vichinghi vi arrivarono nel XI secolo. Durante il “periodo caldo medievale” le navi scandinave poterono raggiungere le coste groenlandesi senza difficoltà. Si racconta che Erik il Rosso, condottiero ed esploratore normanno, fu esiliato dall’Islanda in quanto accusato di omicidio. Con la sua famiglia ed alcuni schiavi sbarcò sulla punta Sud-Occidentale dell’isola dove la comunità prosperò. La terra era fertile, pesca, agricoltura e pastorizia furono in grado di alimentare la comunità. Ma nella seconda metà del XV secolo le temperature si abbassarono rapidamente, arrivò la “piccola glaciazione” che causò una terribile malnutrizione. Le comunità furono a rischio di estinzione, anche le popolazioni islandesi caddero in difficoltà. Solo dopo il 1720 il Regno di Danimarca – Norvegia incominciò a fondare colonie ed a battezzare gli Inuit. In seguito alla separazione dalla Norvegia, la Groenlandia rimase danese. Col referendum del 2008 il paese ottenne una forte autonomia dallo stato centrale che rimane comunque responsabile della politica estera. Tutt’oggi Margherita II, sovrana del Regno di Danimarca, è considerata il capo di stato della nazione. La moneta in uso è la corona danese. La festa nazionale è il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate.

 La Groenlandia fa parte del continente Nord Americano ed è considerata l’isola più estesa del mondo (escludendo l’Australia che viene considerata “isola continentale”). Vasta circa sette volte l’Italia ha meno di 58.000 abitanti! 0,03 abitanti per km quadrato, una inezia. Il territorio è praticamente tutto ricoperto dai ghiacci che arrivano ad avere uno spessore massimo di 3.000 metri. Gli insediamenti umani sono possibili solo sulle coste, lungo i fiordi e sulle piccole isole che la circondano. Per questo motivo non esistono né strade tantomeno ferrovie. Gli unici mezzi di trasporto sono quindi gli aerei e gli elicotteri, solo lungo la costa occidentale vi è un servizio marittimo: il ferry Sarfaq Ittuk.  

ENJOY GREENLAND

“Enjoy Greenland”, mi augura la giovane hostess di terra al banco del check-in a Keflavik. Lo spero, anzi sono certo che la Groenlandia riuscirà a stupirmi. Sono anche abbastanza fiducioso per il meteo sapendo però che non sempre sarà bello, del resto qualche tormenta non sarà inaspettata a quelle latitudini. Reykjavik mi ha accolto col cielo coperto da uno strato di nubi, un giorno e due notti grigie, stessa luce di giorno e di notte. L’aereo si alza in volo, sembra che le eliche e i turbo se le vogliano ingoiare. Dopo circa un’ora di volo in direzione Nord Ovest il mare diventa blu. Appaiono delle macchioline bianche, piccole e grosse, le ultime briciole di iceberg che vanno a sciogliersi nell’oceano. I blocchi di ghiaccio si fanno sempre più grossi ma da questa altitudine non riesco a valutarne le dimensioni reali. Una distesa immensa di ghiaccio interrompe il blu marino. Di fronte a me vedo un muro di ghiaccio che disegna una vasta insenatura di acqua più chiara, ghiacciata. Ora il bianco prevale decisamente sul blu. Il mare assomiglia a un quadro di puntinismo con intensità variabile. I blocchi di ghiaccio si fanno sempre più grandi, qualche pezzo potrebbe già essere chiamato un piccolo iceberg. Appare più distintamente l’isola, la costa si fa più nitida, montagne innevate, roccia e mare blu. Il bimotore esegue un paio di virate e si appoggia dolcemente su una striscia di terra battuta. Toccato! Ci sono, Groenlandia finalmente. Kulusuk, 65° 34’ Lat Nord. Lo sbarco è molto emozionante, e non solo per me. I pochi passeggeri sono tutti stupiti e sorridenti. I due nativi addetti alla pista ci danno il loro “welcome”. Nella piccola sala degli arrivi e delle partenze mi sento chiamare, Oscar. Sono venuti a prendermi, del resto qui non ci sono mezzi di trasporto. L’albergo è a un passo dall’aeroporto, uno stabile bianco e blu. Camera vista mare e montagne, ghiacci e iceberg. La cena sarà pronta per le 18, e per il pranzo? No, non c’è pranzo! Mi aprono la porta della cucina, lì c’è il pane, in frigorifero trovi salumi e formaggio. Serviti, fai quello che vuoi. Un piccolo sandwich al prosciutto e mezzo con aringa affumicata. Enjoy Greenland!