L’enogastronomia cognentze

Non esiste Regione italiana che non abbia le sue specialità. Anche la Valle d’Aosta non fa eccezione. Attraverso i gusti, i sapori, i profumi dei suoi prodotti tipici e dei suoi piatti tradizionali ci racconta la storia e le caratteristiche del suo territorio di montagna. Molte sono le specialità uniche e imperdibili, tra le tante citerei quelle che hanno ottenuto il riconoscimento DOP “Denominazione di Origine Protetta”: la Fontina, il Valle d’Aosta Fromadzo, il Jambon de Bosses e il Vallée d’Aoste Lard d’Arnad. Prodotti di qualità che vanno gustati in abbinamento con i migliori vini DOC regionali, tutti riuniti sotto un’unica Denominazione di Origine Controllata: “Valle d’Aosta – Vallée d’Aoste”, declinata in 7 sottodenominazioni di area e 15 di vitigno (fonte: lovevda.it, sito ufficiale del turismo in Valle d’Aosta). Si trovano vini bianchi secchi, fruttati o aromatici, vini rossi armonici o secchi ma sempre di corpo, vini da meditazione. Sono tutti vini di qualità che spesso richiedono un lavoro difficile e faticoso in quanto i vigneti si trovano su ripide pareti che raggiungono anche i 1.200 metri d’altezza.

Il territorio comunale di Cogne è tutto al di sopra dei 1.500 m quindi la produzione di vini non è possibile, è però il luogo ideale per la produzione della Fontina DOP. La fontina è un formaggio d’alpeggio prodotto con latte crudo di mucche valdostane e stagionato almeno tre mesi. Sembra che le prime tracce scritte che riguardino la fontina risalgono alla fine del Medioevo, si deve però arrivare fino al 1957 per poter registrare il “consorzio di tutela”. Durante il periodo estivo è normale sentire i campanacci delle mucche al pascolo. L’erba particolarmente grassa è l’ideale per la loro alimentazione ma anche d’inverno, quando si utilizza il fieno ricavato dai prati locali, è praticamente perfetta.

Oltre alla cucina regionale, e perché no anche un po’ francese e piemontese, vanno evidenziate le specialità tipiche di Cogne. Il primo posto viene sicuramente assegnato alla “Seupetta”: una zuppa molto densa a base di riso e fontina, super calorica, quasi un piatto unico. E’ un piatto di antica tradizione valdostana, un piatto povero della gastronomia di alta montagna che utilizza il prodotto locale e il riso che certo locale non è. Il riso veniva e viene prodotto nel vercellese ed era merce di scambio con i prodotti degli alpeggi. Il riso inoltre aveva il grosso vantaggio di essere un alimento a lunga conservazione e quindi particolarmente adatto a costituire una riserva alimentare per il lungo e rigido inverno. La trota di Lillaz, allevata nei due laghetti della frazione, si trova nei menù di tutti i ristoranti. Cucinata in modo diverso, grigliata o al cartoccio, coi broccoli o alle erbe, alle mandorle, tutti basati sulle tendenze dei diversi chef. E poi ci sono i dolci: il “Mécoulin”, una sorta di panettone con uvetta e insaporito con scorza di limone e rhum; la crema di Cogne: dessert al cucchiaio a base di panna, zucchero, cioccolato fondente, e un goccio di rhum, viene sempre accompagnata dalle “Tegole”: biscotti rotondi, molto fini e croccanti, a base di zucchero, farina bianca, mandorle e nocciole tostate, burro e albume d’uovo. Faccio notare che nonostante sia il génépy il liquore tipico della Valle d’Aosta, i dolci invece sono tutti a base di rhum. E’ interessante evidenziare che il primo distillato di canna da zucchero sia stato prodotto da un frate francese, tale Jean Baptiste Labat, utilizzando particolari alambicchi prodotti nella zona del Cognac. Già nel 1.700 la zona di Cogne intratteneva scambi commerciali col Piemonte e con la Francia. Non ci deve quindi meravigliare la presenza del rhum nelle ricette valdostane. Solo in seguito il distillato si diffuse nei Caraibi e nelle colonie d’America (fonte: lovevda.it).

Ed ora passiamo ad analizzare enoteche e ristoranti di Cogne, quì il terreno si fa più paludoso perchè i giudizi si fanno più personali, rischio di farmi dei nemici anche se non è assolutamente nelle mie intenzioni. Quando sono a Cogne o in Vallée ho l’abitudine di bere solo vini valdostani, potrei fare eccezione con un “carema” doc, un nebbiolo la cui produzione è consentita solo nel comune omonimo. Carema è il primo paese del Piemonte dopo Pont Saint Martin, il versante soleggiato è tutto ricoperto da antichi vigneti, il vino di assoluta qualità. I vini regionali più comuni della Cave de Onze Communes, Grosjean, Lo Triolet, Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle, si trovano un po’ ovunque. Per qualcosa di speciale consiglierei La Cave de Cogne (Veulla, rue Bourgeois 50) che è l’unica vera enoteca del paese. La selezione dei vini è ottima, accompagnata da un buon servizio, speciali gli aperitivi, si può anche pasteggiare. Non vorrei spendere troppe parole riguardo le cucine degli alberghi. Alcune di loro però sono di assoluta qualità: Bellevue, La Madonnina del Gran Paradiso e Miramonti a Cogne Veulla, il Notre Maison in frazione Cretaz, il Petit Dahu in frazione Valnontey e il Belvedere in frazione Gimillan dal quale si può godere un panorama mozzafiato su tutta la valle di Cogne e il Gran Paradiso. Veniamo ai ristoranti. Inizierei con Lou Ressignon (Veulla, via Des Mines 22) che ha più di cinquant’anni di storia e che tutt’ora mantiene la tradizione dello storico locale fondato dal padre degli attuali gestori. L’icona di sempre è la “seupetta à la cogneintze” seguita dalla carbonada (spezzatino di manzo cotto nel vino rosso) con polenta rustica oppure una sella d’agnello al forno in crosta di pane con salsa al vino rosso. Da non perdere anche la trota di Lillaz e per finire la crema di Cogne. Segue Les Pertzes (Veulla, Rue Dr. Grappein 93) brasserie-enoteca. Per iniziare una bella “assiette cogneintze” con mocetta (carne insaporita con erbe, salata e lasciata riposare in luogo fresco, può ricordare la più famosa bresaola), lardo d’Arnad, salsicce, crudo di Bosses e castagne. A seguire una polenta concia preparata con burro e fontina oppure fonduta con crostini di pane o zuppa di cipolle gratinata. Per secondo “guancetta di vitello brasata” o carbonada con polenta. Ottima la cantina.  Vicino al Municipio troviamo la Brasserie du Bon Bec (Veulla, Rue Bourgeois 72), un locale con arredamento in legno e staff in abiti tradizionali. Oltre ai piatti tradizionali offre proposte conviviali da condividere in famiglia o con gli amici come la “pierrade” (carni servite crude e cotte sulla pietra secondo i gusti del commensale), la “fondue chinoise” e la fonduta di toma stagionata. Di fronte ai prati di Sant’Orso troviamo il Bar à Fromage (Veulla, Rue Grand Paradis 21), un ristorante suggestivo con una ampia vetrata panoramica ed un arredamento di montagna molto curato che si articola attorno ad un vero focolare. Il menù affonda le sue radici nella tradizione valdostana e di Cogne con una particolare attenzione rivolta ai formaggi. Si può iniziare con “l’orto croccante in salsa d’acciughe”, proseguire con una raclette di formaggi di capra e concludere con uno zabajone al moscato d’Alba. E per finire saliamo a Lillaz dove troviamo Lou Tchappe, un termine in patois locale che significa “la pietraia” e in effetti alle sue spalle si trovano molti massi che costituiscono un’antica frana. Un locale moderno ma con tono rustico, cameriere in abito tradizionale, un bel dehor dove è possibile pranzare e prendere il sole. Anche qui troviamo i piatti della cucina tradizionale ma in particolare segnalerei la”soca” (zuppa con carne salada, cavoli e fontina) e i due piatti tipici di questo locale: i “malfatti du Tcappé” e cioè maltagliati di sfoglia fresca con prosciutto crudo, panna e un accenno di pomodoro; l’orzotto ai funghi porcini servito in un bellissimo cestino di parmigiano reggiano. Immancabile la trota di Lillaz che viene allevata nei vicini laghetti e in stagione funghi porcini fritti oppure ovuli in insalata con scaglie di grana. E prima di dire arrivederci restate in attesa del casalingo genepy che vi sarà offerto con un sorriso e tanta simpatia.                             

Un aperitivo presso La Cave de Cogne
Insalata di ovuli
Malfatti du Lou Tchappe
Polenta e salsiccetta
Polenta valdostana con lumache

La Valnontey, il Sella e il Parco Nazionale del Gran Paradiso

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso fu istituito il 3 dicembre del 1922 e per questo motivo è il più antico Parco Nazionale d’Italia. Gestito dall’Ente Parco omonimo è situato a cavallo delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta, comprende e circonda il massiccio del Gran Paradiso. Oltre 71.000 ettari di estensione che, assieme al confinante Parco Nazionale della Valoise, in territorio francese, rappresenta una delle più vaste aree naturali protette d’Europa. Simbolo del parco è lo stambecco (Capra Ibex) che 100.000 anni fa viveva in tutte le regioni rocciose dell’Europa centrale. Fino al XV secolo era presente in tutto l’arco alpino ma lo sviluppo delle armi da fuoco ne decretarono la sua fine. Inoltre fu vittima della superstizione e della medicina di quei tempi. Le bellissime corna ridotte in polvere erano considerate un rimedio contro l’impotenza, il sangue si riteneva potesse curare i calcoli renali, lo stomaco serviva per superare la depressione. E così nel XIX secolo la specie era scomparsa in Svizzera mentre si contavano poche centinaia di esemplari sulle Alpi italiane e francesi. La sopravvivenza della specie si deve solo alla famiglia reale italiana. Fu infatti il re Vittorio Emanuele II che nel 1856 decise di proteggere gli ultimi esemplari per la propria riserva di caccia situata in Valsavarenche dove un gruppo di guardiacaccia li proteggeva dai bracconieri. Ora vivono circa 30.000 esemplari distribuiti in tutto l’arco alpino (fonte Wikipedia). Questa è una bellissima e anomala storia dove il potere, la ricchezza e l’egoismo si sono trasformati in una grande operazione di protezione e di sviluppo delle biodiversità. Dopo quasi cent’anni di accurato lavoro dei guardia parco oggi sono presenti, oltre allo stambecco, camosci, caprioli, marmotte, volpi, e recentemente hanno fatto ritorno circa una decina di volpi. Tra quei cieli bellissimi, sopra quei boschi e tra le vette imbiancate, volano aquile reali, gipeti, fagiani, pernici bianche e tante altre specie di uccelli. Nel complesso dell’area protetta si contano 168 specie di vertebrati di cui 52 mammiferi e 101 uccelli nidificanti (fonte Ente Parco). “Rallenta il ritmo, rimani nel Parco” è lo slogan coniato dall’Ente Parco per i suoi 90 anni di attività. E noi, cittadini frettolosi e stressati, sentiamo la necessità di abbandonare i nostri normali ritmi, le nostre abitudini, i nostri difetti, e ci lasciamo travolgere dalle bellezze naturali di quest’area meravigliosa. La Valnontey porta il visitatore verso il centro di questo territorio. Metti il Gran Paradiso nel tuo mirino e sali, ti rimarrà nei tuoi ricordi per sempre. Puoi salire a piedi percorrendo un facile sentiero che parte dai Prati di Sant’Orso di Cogne oppure d’inverno puoi salire con gli sci lungo la pista di fondo. Si può salire anche in auto: si imbocca la strada dietro il Municipio di Cogne e appena si esce dal paese si entra nella stretta valle scavata dal torrente Valnontey, affluente della Grand Eyvia che incontra tra Cogne Veulla e la frazione Cretaz. Usciti dalla valletta tutto un tratto il panorama si allarga, la strada si interrompe e le auto si debbono fermare nell’ampio parcheggio. Con un po’ di fortuna, nei mesi di maggio e giugno, si possono vedere camosci o stambecchi che brucano l’erba sul prato adiacente al parcheggio. In primavera questi prati posti a basse altitudini (1.700 m circa) si liberano per primi dalla neve e l’erba fresca è un cibo utile e prelibato per questi animali. Quest’anno è molto particolare, l’inverno è stato lungo e piuttosto nevoso, la primavera è arrivata registrando la totale assenza di esseri umani. In questo modo gli animali si sono sentiti liberi di occupare tutti gli spazi. E così mi capita che, appena lasciato il parcheggio, mi trovo di fronte una quarantina di camosci che “pascolano” come semplici caprette. Appena avvertono la mia presenza fanno tutti uno scatto e indietreggiano di una decina di metri, mentre il più vicino mi guarda con sospetto gli altri riprendono a brucare l’erba. Poco più avanti inizia il breve sentiero che porta al Giardino Botanico Alpino Paradisia. Si è facilmente portati a credere che il nome derivi dal massiccio del Gran Paradiso mentre in realtà deriva dal “Giglio di Monte” (Paradisia liliastrum, liliacea), una pianta spontanea dai delicati fiori bianchi. Sorto nel 1955 per volere del CdA del Parco Nazionale del G.P. ospita più di mille specie di piante di diverse origini e tipologie. Si possono ammirare piante tipiche delle Alpi e degli Appennini, piante esotiche e officinali. Lasciando il Paradisia si imbocca il sentiero che porta al famoso rifugio Vittorio Sella del CAI di Biella. Il percorso è agevole ma richiede un certo sforzo fisico in quanto si tratta di superare un dislivello di circa 900 metri. Il sentiero si inerpica nel bosco, salite e tornanti si susseguono fino a raggiungere una cascata. Al termine del bosco si compie una lunga traversata in diagonale per portarsi a ridosso degli ultimi pendii seguiti da alcuni tornanti, tutti sotto il sole, dove la fatica si fa sentire. E finalmente il sentiero si spiana, si entra nella conca, si raggiungono le case del Parco e finalmente eccolo, il Sella. Posto sull’Alpe del Lauson a 2.588 metri slm è un ottimo punto di partenza per escursioni e trekking mentre la sera è un perfetto luogo per incontrare gruppi di stambecchi.  Fu Vittorio Emanuele II a scrivere la storia del rifugio. Arrivò in visita in questi luoghi la prima volta, solo trentenne, nel 1850 e quattro anni più tardi vi passò un lungo periodo. La caccia diventò la sua grande passione, fece così realizzare 300 km di mulattiere e 5 “case di caccia”. Una di queste fu costruita proprio sulla conca del Lauson. Umberto I continuò la tradizione del padre e fu così che grazie all’attività dei guardiacaccia il numero degli stambecchi e dei camosci crebbe notevolmente. Le battute di caccia furono riservate solo ai Savoia portando così alla scomparsa del bracconaggio. Nel 1913 il Re effettuò la sua ultima battuta di caccia, sette anni più tardi donò la riserva allo Stato Italiano che nel 1922 istituì il Parco. Nello stesso anno Emilio Gallo, all’epoca presidente del CAI di Biella, acquistò la “casa di caccia” del Lauson per trasformarla in rifugio alpino. In seguito il Gallo la donò alla propria sezione del CAI. Il rifugio fu così dedicato a Vittorio Sella, fotografo e alpinista biellese, nipote del famoso Quintino, Ministro delle Finanze e fondatore del Club Alpino Italiano (fonte: rifugiosella.com). Ora il rifugio può ospitare fino a 150 escursionisti e offre una cucina di montagna in due sale ristorante molto suggestive. Ricordo la mia prima visita, eravamo alla fine degli anni ’70, sempre con l’amico Giorgio. Ci ritornai vent’anni più tardi con mia figlia. Ogni volta che ricordiamo l’aneddoto finiamo con una bella risata. Arrivammo al rifugio particolarmente affamati e non lesinammo ad ordinare piatti con polenta e quant’altro. Quando mi presentarono il conto dissi qualcosa del tipo: a però, adesso anche i rifugi del CAI sono ben cari. La signora mi rispose gentilmente con queste precise parole: si ma erano cinque secondi ! Ebbene si, cinque secondi in due. Ci sono ritornato lo scorso anno, da solo, con questi ricordi che frullavano nella mia mente … e sorridevo tra me e me sotto i baffi. Ho ordinato solo un piatto: polenta con la salsiccetta in umido e un po’ di vino rosso. Bando ai ricordi e ritorniamo in Valnontey durante la quarantena da coronavirus. Dopo l’incontro con quella quarantina di camosci imbocco il largo sentiero che porta verso l’alta valle. Si costeggia il torrente Valnontey lasciandolo sulla destra fino a quando si arriva ad un  ponte di legno. Il cielo è terso, di colore blu intenso, che contrasta col bianco del Gran Paradiso. Imbocco il sentiero che porta verso il versante opposto della valle perché so di poter incontrare qualche animale. E difatti appena arrivo sul prato in prossimità del bosco vedo una marmotta che corre veloce e subito dopo incontro un paio di camosci. Su un masso trovo un teschio di un animale, credo sia di un camoscio. Da quella posizione il panorama è splendido: si domina la vallata, i boschetti di abeti, la testata della valle. Ma quello che mi emoziona di più è sempre il prato che tra maggio e giugno è uno splendore grazie alla miriade di fiori di tutti i colori. Sono l’unico essere umano che passeggia, il silenzio è totale, il verde dell’erba è molto intenso. Tu chiamale se vuoi, emozioniii.      

Una quarantina di camosci al “pascolo” in Valnontey – 4 maggio 2020
La Valnontey e il Gran Paradiso – 4 maggio 2020
Il Rifugio Sella – Luglio 2019

La Valleile, un ambiente naturale incontaminato

Quando voglio uscire da casa per immergermi tra la natura incontaminata, dove non ci sono tracce umane, dove posso rimanere solo e lasciare che la mia mente possa essere libera di vagare sopra ogni cosa, una sorta di meditazione, salgo in Valleile.

Da Lillaz si esce verso Sud, sulla sinistra una chiesetta e i prati mentre a destra si costeggiano due campeggi. Al termine dell’asfalto un sentiero con una staccionata di legno ci porta verso il bosco. Dopo la prima rampa, sulla destra, si può ammirare una bella cascata. La sosta è imperdibile, la vista molto suggestiva. Il Torrent de Valleile è costretto a infilarsi tra le rocce che ha eroso nel corso dei millenni, scende grazie a qualche balzo e finisce in una piccola pozza dall’acqua cristallina. Ho l’abitudine di fermarmi ad ammirare questa meraviglia naturale perchè d’inverno è un tripudio di neve e ghiaccio mentre in primavera ed in estate, grazie al disgelo, la portata dell’acqua aumenta ed è ancora più impressionante. Cento metri scarsi e ci si può fermare ad ammirare il panorama di Lillaz. Sotto i piedi appare il prato e sul fondo le case del borgo, tutt’intorno una corolla di montagne e, quando è sereno, là in fondo, sulla sinistra, appare il Monte Bianco. Si riprende a salire e si imbocca il largo sentiero che sale verso destra. Questo lungo tratto d’inverno si trasforma in pista di fondo. E’ un tratto in continua discesa, abbastanza pericoloso perché è piuttosto ripido, stretto, spesso ghiacciato. E in effetti, proprio per questi motivi, non sempre è aperto. E’ parte della famosa Marcia del Gran Paradiso che si tiene normalmente ai primi di febbraio e che accoglie sportivi e appassionati da tutta Italia, e perché no anche qualche straniero. Ma riprendiamo la salita, sulla destra un altro luogo magico dove amo fermarmi. E’ una sorte di radura dai profili morbidi, al centro del prato un piccolo altare costituito da sassi ed una croce in legno. Qui mi fermo sempre a pensare, il luogo mi trasmette una sorte di sacralità. Per i credenti la pace del luogo e la croce possono far pensare all’Onnipotente mentre ai non credenti può stimolare il pensiero della Madre Natura, non tanto come Ente Supremo che tutto comanda e controlla, ma come bellezza assoluta. Una visione laica ma altrettanto forte. Qui si trovano anche dei piccoli ricordi di persone decedute. Io mi soffermo sempre a guardare le due targhe che ricordano la morte e la vita dei due gemelli norvegesi Rijven, nati a Gravenhage il 22-9-1943. Hein deceduto sulla Grivola a soli 32 anni e Loek deceduto lo 01-11-2014 che ha voluto raggiungere il gemello in questo luogo magico. Ma riprendiamo a salire, il sentiero di terra e sassi è ricoperto da aghi di pino che ammorbidiscono il passo dell’escursionista e rende il mix di colori un’opera d’arte naturale. D’estate bastano un paio di scarponcini da montagna ma d’inverno, quando la neve è fresca ed abbondante, sono consigliabili le ciaspole mentre quando ci sono tratti ghiacciati è meglio calzare i ramponcini. Si supera un ruscello saltellando su un paio di sassi e si arriva sul ponte di legno che attraversa il torrente. E’ sufficiente voltare lo sguardo verso sinistra che si rimane estasiati nel vedere questa valle di sicura origine glaciale. Un fondo piano percorso dal torrente, un’atmosfera d’alta montagna anche se siamo solo a 1700 m. La vista verso la testata della valle riesce sempre a emozionarmi. Percorro il sentiero, a sinistra un prato dove un paio d’anni fa si era installato un pastore biellese con una piccola roulotte e le sue pecore al pascolo. Ho avuto la fortuna di conoscerlo lo scorso anno scendendo dal rifugio Sella. Un vero pastore aiutato da un cane tanto bello quanto intelligente. Perché un vero pastore ? Io non sono un esperto ma questo signore mi raccontava che non vendeva il latte, lo lasciava agli agnellini, evidentemente era interessato solo all’allevamento, alla lana. Proseguendo si arriva in prossimità di un enorme masso erratico probabilmente trasportato a valle dal ghiacciaio. Questo masso mi suscita sempre molti pensieri ed un vecchio ricordo. Più di quarant’anni fa ero a Lillaz con l’amico Giorgio, all’epoca eravamo compagni di cordata. Un giorno ci portammo tutte le attrezzature e provammo un sesto grado con le scalette. Era solo qualche metro, ma che esperienza ! Ora quando ci ripenso, sorrido tra me e me. Ciao Giorgio, so che mi leggi. In prossimità del masso un paio d’anni fa sono scese due slavine che hanno travolto e abbattuto centinaia di abeti. Un vero e proprio scempio naturale. I tronchi spogli e le radici estirpate dal terreno sono rimaste così come sono cadute. C’è voluto un anno intero per rimuoverne una piccolissima parte per liberare il passaggio del sentiero. Prosieguo e vedo correre sulla mia destra un camoscio. E’ molto veloce e solitario, probabilmente sarà un maschio perché le femmine in questo periodo dell’anno sono alle prese con i loro cuccioli appena nati. I versanti della valle sono costellate da numerose cascate, bellissime da vedere e molto amate dai cascatisti che in inverno le sfidano scalandole.

La Valleile rimane un ambiente naturale incontaminato, dove domina la pace e regna il silenzio assoluto rotto soltanto dallo scorrere del torrente e dal canto degli uccelli che volano in cielo. E se vi capita di veder volare un gipeto fatevi venire il torcicollo e seguitelo coi vostri occhi.         

Il Torrent de Valleile, qualche balzo e una piccola pozza d’acqua cristallina – 12 marzo 2020
Il sentiero che d’inverno si trasforma in pista di fondo – 3 maggio 2020
Un luogo incantato pieno di sacralità
Gregge del biellese – 9 luglio 2018
Il Torrent de Valleile e in fondo il masso erratico
La Valleile
Ciaspolata – 2 marzo 2020

La mia Lillaz, un presepino

“La mia Lillaz” usava dire mia moglie, “un presepino” aggiungeva. E in effetti d’inverno, quando tutto è innevato, quando tutto è illuminato dagli antichi lampioni dalla luce gialla, sembra davvero di essere entrati in quei micro-villaggi che si costruiscono tra il muschio finto dei presepi.

Famosa per le sue cascate, Lillaz, che andrebbe pronunciato evitando la zeta finale, si trova a 1630 metri d’altezza slm, 75 residenti, sorge tra il Torrent de Valleile e il Torrent d’Urtier. Attraversato l’Urtier si entra nel borgo costituito per lo più da case antiche costruite con l’utilizzo di pietre e legno secondo la tradizione locale. Molte sono già state ben ristrutturate mantenendo i canoni architettonici della valle, alcune sono in fase di restauro proprio in questi mesi. Si percorre la via principale per arrivare nella piazzetta a forma triangolare che rappresenta il centro del borgo: Place du Fo, la piazza del fuoco. Fino a circa quarant’anni fa, in luogo della piazzetta, c’era il forno a legna presso il quale le famiglie portavano le loro pagnotte per cuocerle. Una tradizione antica che si tramandava in tutte le comunità valdostane. La piazzetta era anche un luogo d’incontro, qui si tenevano le assemblee della comunità, qui si arrivava con le scodelle (“tass”) colme di calde zuppe di riso insaporite con erbe di campo. E a maggio, mese mariano, all’ora del tramonto sulle panche di legno si recitava il rosario. Sull’angolo a sinistra si incontra il bar Anais. Un bar “letterario” dove libri, giornali e riviste sono a disposizione della clientela composta da turisti del mordi e fuggi ma soprattutto da escursionisti, fondisti e cascatisti. In un angolo una pendola antica scocca le ore con precisione, sulle pareti decine di quadri in stile valdostano. Il bar ha origini antiche: negli stessi locali la nonna dell’attuale proprietario, dal 1880 al 1912, gestiva il “Café du bon vin”. Dalla piazzetta, proseguendo per la medesima direzione, si incontra l’antica chiesetta e superati i campeggi si sale verso la Valleile. Se invece dalla piazzetta si imbocca la strada sulla sinistra andiamo in direzione delle famose cascate. Appena usciti dal borgo una fontana in pietra ed un crocefisso ligneo segnano l’inizio del sentiero. Si accede immediatamente in un museo di geologia all’aperto dove si possono ammirare una ventina di massi provenienti dalle diverse aree geologiche di Cogne. Si trovano magnetite, quarzite, marmo impuro … ogni masso racconta l’interessante storia geologica e tettonica che ha costituito l’attuale catena delle Alpi. In particolare un pannello mostra come il versante di roccia che vediamo sulla destra del torrente era di origine oceanica. Queste rocce si erano originate sul fondo di un oceano, oggi completamente scomparso, che costituiva la placca oceanica della Tetide. Il “contatto tettonico” della placca oceanica contro le rocce continentali avvenne in modo “brutale” e questo fenomeno, risalente a diverse decine di milioni di anni fa, ha dato origine alle Alpi. Nel bel mezzo di tutto ciò, seguendo il percorso del torrente, arriviamo a scorgere le cascate. Qualche roccetta (attenzione d’inverno sono ghiacciate e quindi molto pericolose) e si arriva ai punti panoramici. Tre salti d’acqua per 150 metri d’altezza complessivi alimentati dal Torrente Urtier. Le cascate sono una grande meraviglia della natura. D’inverno il torrente è ricoperto dalla neve, i sassi distribuiti sul letto si trasformano in morbidi panettoni di neve. La cascata si trasforma in una meravigliosa struttura di ghiaccio, una perfetta palestra per cascatisti che accorrono numerosi tutti gli anni. Con gli inizi della primavera il ghiaccio si scioglie e la portata dell’acqua aumenta per raggiungere il suo massimo attorno a luglio. I numerosi getti scorrono e si infrangono tra le rocce creando uno spray che si diffonde tutto intorno e spesso, verso il basso, dei bellissimi arcobaleni. Ed è così, che quando vieni a Lillaz, in qualsiasi stagione dell’anno, te ne innamori….. per sempre.        

Un tramonto su Lillaz
Lillaz d’inverno
Sula pista di fondo –
Le nubi incombono sul borgo – 21 aprile 2020
Le cascate di Lillaz d’estate
Le cascate ghiacciate

Cogne, il Paradiso col Gran Paradiso

Se dici Gran Paradiso dici Cogne e se dici Cogne pensi alla natura, allo sci di fondo, all’enogastronomia.  

1544 metri slm, circa 1.360 abitanti suddivisi fra le otto frazioni e lo Veulla (il borgo principale, le chef-lieu), tutto distribuito su ben 213 kmq, il più vasto comune di tutta la Regione. Sant’Orso, vissuto tra il VII e l’VIII secolo, è il patrono del paese.

Una sola strada porta a Cogne. Lasciata Aosta si supera la Dora Baltea per attraversare Aymavilles. Sull’alto di una roccia morenica spicca il castello degli Challant le cui origini risalgono al XIII secolo. Quattro imponenti torri circolari coronate da merlature sono poste agli angoli dell’edificio centrale, quasi per proteggerlo. La strada inizia subito a salire rapidamente e si infila nella stretta valle scavata dal torrente Grand Eyvia. Superate le frazioni Epinel e Cretaz la strada si spiana. Si apre un’ampia valle e così si presenta Cogne, un gioiello racchiuso in uno scrigno di bellissime montagne. E anche se è una vista già conosciuta, ogni volta si rimane impressionati dalla sua bellezza. Sulla destra i prati di Sant’Orso, o meglio i Pré de Saint-Ours, dedicati al patrono del paese. Un’ampia distesa verde o bianca (dipende dalla stagione) di forma triangolare. Insigniti del riconoscimento “Meraviglie d’Italia” i prati ospitano la famosa ”bataille de reine”, il tradizionale incontro/scontro tra le vacche originarie della vallata. I prati sono stati fortunatamente protetti dallo Statuto Comunale che impone il divieto di edificazione. Al centro, lungo i sentieri o tra le piste di fondo, si erge una grande croce incastonata in una roccia solitaria. Una piccola targa ricorda la celebrazione di una messa da parte di Giovanni Paolo II, all’epoca Papa, il 21 agosto del 1994. Se dal sentiero dei prati si ritorna in paese, di fronte a noi incontriamo la Rue Dott. Grappein che sbocca in una piccola piazzetta: la Grandze Place Commune. Era il luogo nel quale, all’uscita dalla messa cantata domenicale, i cittadini ascoltavano “le créye, le gride, les cries générales”, cioè gli annunci comunicati da un addetto del comune. L’usanza ebbe inizio verso la metà del XVIII secolo e in seguito venne trasferita presso l’attuale Place Chanoux dopo la costruzione del nuovo Municipio o Maire. Sulla Grandze Place Commune si affaccia La Boutique de L’Artisanà, un emporio voluto e gestito dalla Regione Autonoma dove vengono offerti i tipici prodotti dell’artigianato locale. Si possono trovare utensili e sculture in legno, ceramiche, pizzi e simpatici souvenir. Lasciando la piazzetta la rue svolta verso sinistra ma lo sguardo si indirizza sul lato opposto dove si incontra la parrocchiale, anch’essa dedicata a Sant’Orso. Consacrata nel 1202 venne ricostruita nel 1642 dopo una disastrosa alluvione. Il campanile è stato riedificato nel 1840. In quell’epoca l’antico cimitero si estendeva sul fronte e sui fianchi della chiesa. In seguito è stato trasferito nell’attuale posizione, fuori dal borgo, di fronte ai prati di Sant’Orso. Il frontale della chiesa è caratterizzato da tre affreschi e da un portico. Il portico non è un semplice abbellimento, in passato aveva una precisa funzione liturgica. Nelle antiche chiese valdostane il portico veniva chiamato “porche de mariage” poiché al suo riparo si svolgevano i riti che precedevano il matrimonio ed inoltre veniva utilizzato per l’insegnamento della catechesi. Ogni volta che entro in questa chiesa a unica navata è per me una forte emozione. L’assito del pavimento mi trasmette la sensazione di entrare in una chiesa di alta montagna dove d’inverno si accede con gli scarponi pieni di neve e di ghiaccio. Percorro il corridoio centrale, l’interno è stato ridecorato nel 1960, sui due lati una serie di cappelle. Arrivo di fronte ai cinque altari lignei, intagliati e dipinti, in parte dorati. Un eccesso di barocco, no, non sono di mio gradimento ma ne apprezzo la fattura. Mi avvicino all’altare centrale e vedo un tomo aperto su una pagina dal titolo: “Parola del Signore a Sofonia”. Mi soffermo a leggere il testo: “Si, sopprimerò tutto dalla faccia della Terra ! Oracolo del Signore. Raccoglierò uomini e animali, raccoglierò gli uccelli del cielo e i pesci del mare; farò inciampare gli empi e cancellerò l’uomo dalla faccia della Terra ! Oracolo del signore”. Rimango stupito e in piena pandemia mi fa rabbrividire. Allora mi volto verso l’uscita e dall’ultimo finestrone, in alto a sinistra, filtra un raggio di luce che illumina l’organo posto sopra le porte. Installato nel 1772 venne ampliato più volte, anche grazie al contributo del re Vittorio Emanuele II, fino a raggiungere l’odierno numero di 1.636 canne. Uscito dalla buia chiesa mi ritrovo abbagliato dal sole. Due passi e sulla destra si incontra la “Casa dei Pizzi” sita nell’antica Casa della Comunità di Cogne. L’antico stabile risale al XVIII secolo, fu anche usato come scuola e in seguito divenne caserma dei Carabinieri. Solo verso la metà degli anni ’80 si insediò la Casa dei Pizzi. All’interno una piccola mostra e vecchie foto alle pareti. La Casa dei Pizzi ha lo scopo di mantenere la locale tradizione del tombolo che, arrivata a Cogne nel XVI secolo dai monasteri benedettini, viene ancora oggi tramandata da madre in figlia. Se la tecnica è arrivata da lontano, i punti invece hanno origini locali e sono legati all’ambiente e alla fauna. I punti preferiti dalle merlettaie di Cogne sono, per esempio, “joue de perni” (occhio di pernice) e “pavioula” (farfalla). Lo stabile successivo è la “Torre del Vescovo” o Chateau Royal. L’austero edificio caratterizzato da piccole finestre è nato tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII come Torre del Vescovo di Aosta, signore feudale di Cogne. Attorno al 1870 venne acquistato da Vittorio Emanuele II per essere utilizzato come residenza durante le battute di caccia allo stambecco. Dopo l’ultima ristrutturazione del 2006 è ora trasformato in residence. Ripercorro rue Dott. Grappein nella direzione opposta per imboccare nuovamente la via principale che qui prende il nome di Rue Borgeois. Sulla destra la Sala Congressi nonché cinema cittadino. E’ qui che nel bel mezzo della stagione estiva si tiene il GPFF Gran Paradiso Film Festival che quest’anno dovrebbe tenere la XXIII edizione. Una mostra di documentari provenienti da tutto il mondo aventi per tema la natura. Ancora due passi ed eccoci arrivati in Place Chanoux dove ha sede il Municipio. Basta girarsi verso destra e appare il massiccio del Gran Paradiso con tutta la sua bianca imponenza. Nella piazza si trova la famosa “Fontana di ferro” realizzata dal Dr. Grappein utilizzando la magnetite estratta nelle miniere locali. La forma simboleggia la vita dopo la morte e una croce, sempre in ferro, regge la bocca del getto d’acqua gelida. Sulla destra un piccolo monumento dedicato ai caduti della I e della II guerra mondiale ed un eroe della “Resistenza Partigiana”. Salendo nel borgo si arriva alla “Maison de Cogne Gérard-Dayne”, un’antica casa rurale del XVII secolo che ospita un museo etnografico. Interessante l’architettura tipica della valle basata sull’utilizzo del legno e della pietra. Alzo gli occhi verso il cielo e vedo le “miniere” o meglio i caseggiati di Colonna, posti a quota 2406 m, che per alcuni decenni hanno ospitato i minatori in un isolamento quasi monastico. Ma il mercato cambia, il mondo si evolve, e le miniere di Cogne perdono la loro importanza strategica e la convenienza economica. E così l’ultima miniera viene chiusa nel 1979, e tutto finisce. Ma molte sono le tracce che quella epopea ci ha lasciato: le gallerie delle miniere, ora visitabili, e il Villaggio Minatori che recentemente ristrutturato ospita l’esposizione permanente “La Miniera di Cogne”. Il percorso espositivo illustra la storia, la geologia dell’area e include l’esposizione di attrezzi, utensili e indumenti utilizzati dai minatori. Ora la vita e la caratteristica di Cogne è completamente cambiata: l’industria mineraria ha ceduto il passo al turismo, all’allevamento e alla produzione dei derivati del latte con al centro la fontina.

Place Chanoux, la piazza del municipio, sullo sfondo il Gran Paradiso – 22 aprile 2020
La parrocchiale dedicata a Sant’Orso – 23 aprile 2020
L’organo con le sue 1.636 canne – 23 aprile 2020

Il sogno, l’incubo e il risveglio

Quando il “Viaggiatore Viaggiante” non è all’opera, e cioè non è in viaggio, sogna.

Nella homepage di questo blog si legge: “Alla base di un viaggio c’è un sogno ..…”. E nel bel mezzo di quel sogno, il sogno si è trasformato in incubo. E’ arrivata la pandemia ! Ero giunto ad un buon punto, il progetto era quasi definitivo: la Norvegia in treno, ferry boat e aereo, isole Falkland e Svalbard. Crociera a bordo della Expedition, la stessa nave dell’Antartide, attorno alle Svalbard con sbarchi in banchisa e possibili incontri con orsi polari, navigazione verso la Groenlandia con sbarchi e visita ad un villaggio inuit, termine della crociera in Islanda. Tour dell’isola geotermica e bagni termali. Tutto cancellato, almeno per quest’anno. E fino a quando non ci sarà un vaccino … niente viaggi. Che tristezza, ma va accettata.

E la vita va vissuta, anche di fronte ad eventi imprevisti. Ai primi di marzo avverto che l’epidemia in Lombardia diviene sempre più pericolosa. Mi chiudo in casa un paio di giorni e poi decido di andare a Lillaz, frazione di Cogne, là dove la strada termina e la nostra civiltà lascia che la natura svolga il suo compito. Prati e montagne, torrenti e cascate, animali selvatici, flora di montagna. A marzo c’è ancora molta neve e quest’anno è particolarmente abbondante. Riesco a fare qualche sciata (di fondo) e una bella escursione completamente solitaria in Valleile calzando racchette (ciaspole) nel bel mezzo di una forte nevicata. Ma le autorità regionali anticipano la chiusura delle piste, bar e ristoranti. E così mi trovo solo in una frazione di circa 75 residenti. Qualche giorno più tardi arriva anche il divieto di passeggiare. Non si possono più percorrere sentieri, mi rimane solo la possibilità di fare la spesa nel piccolo supermarket e nei negozi. Vengo subito adottato dalla comunità locale, mi vengono dispensati sorrisi e sconticini. Qualche settimana più tardi mi vengono sottratti anche i sorrisi perché viene introdotto l’obbligo di indossare le mascherine. Ma la simpatia dei residenti rimane, il lei si trasforma in tu, qualcuno incomincia a chiamarmi per nome. Tutto sommato questa quarantena vissuta così non è neanche male. Mi mancano però le mie relazioni con amici e parenti e, prima di ogni cosa, mia figlia e le mie nipotine che nel frattempo affrontano le prime pappe. Il nonnino se le può godere solo con l’aiuto della tecnologia ma mi chiedo: cosa penseranno nel vedere il nonno in un piccolo schermo ?

E così ho voluto dedicare a Cogne, alla frazione Lillaz e a questa meravigliosa comunità alcuni articoli con l’intento di ringraziare tutti gli abitanti per avermi accolto con simpatia e ospitalità durante questi due mesi di isolamento dovuto al Covid-19.

NB.: le foto pubblicate in queste articoli sono state scattate con il cellulare durante i mesi di marzo, aprile e maggio 2020 durante la quarantena per COVID-19

Il parcheggio di Lillaz – domenica 15 marzo 2020
Il centro di Cogne al tramonto – 11 marzo 2020