Quando venni qui per la prima volta quarant’anni fa, l’Amboseli era considerato una grande riserva, il Masai Amboseli Game Reserve. Da molti anni questo territorio è stato promosso al ruolo di National Park. Bravi i kenioti ! Perché ? Semplicemente perché il National Park ha delle regole più restrittive nei confronti dell’attività umana e di conseguenza viene rafforzata la protezione nei confronti di tutto l’eco-sistema. Fondato nel 1948 con lo scopo di frenare la caccia grossa che aveva messo gli elefanti a rischio d’estinzione a causa dell’alta richiesta d’avorio, la riserva era gestita dai masai che però con le loro mandrie di bovini entravano in competizione con gli animali selvatici. In seguito i masai sono stati convinti dal governo nazionale a vivere in altre aree adiacenti ed il controllo del territorio è passato, non senza difficoltà, sotto l’egida del governo di Nairobi. Oggi il parco si estende per circa 400 km quadrati ed arriva fino alle famose “falde del Kilimangiaro”, sul confine con la Tanzania. Posto su un altopiano tra i 1.100 ed i 1.300 metri slm è ricoperto da savane, canneti e paludi verdeggianti. Il parco è ora stato inserito negli elenchi dell’UNESCO come riserva della Biosfera Terrestre. Noi ci arriviamo nel tardo pomeriggio dopo una lunga giornata di viaggio attraverso villaggi e verdi montagne. In lontananza si scorge una vetta vulcanica, mentre a destra, il più esteso e più alto Kilimangiaro è completamente ricoperto dalle nubi. Arriviamo al lodge quando ormai il cielo si fa grigio, il sole al tramonto lascia qualche traccia rosa tra le nuvole. Il bungalow è straordinariamente bello: una elegantissima camera con scrivania ed una zona soggiorno. Il bagno, enorme, con una vasca vintage al centro. Anche qui, come negli altri lodge, colazioni pranzi e cene a buffet, abbondanti, ricchi di specialità, anche italiane. Come sempre siamo in auto di prima mattina, superiamo il gate del parco e via col tetto rialzato per la savana. Incontriamo tantissimi elefanti, solitari ma anche grossi branchi che attraversano le piste da padroni. E chi li ferma ! I gruppi hanno con loro molti piccoli di due o tre anni. C’è in atto una vera e propria migrazione perché i branchi vanno tutti in direzione sud-ovest, cioè verso la Tanzania, e quando si muovono alzano un bel polverone. That’s Amboseli, afferma Joseph. Ed infatti Amboseli significa polvere. Due zebre, scocciate degli insetti, si rotolano per terra tra la polvere. Incontriamo anche gnu, struzzi e tanti altri uccelli. Savana dall’erba giallastra, acacie verdi, nuvoloni bianchi e squarci di cielo azzurro per poi arrivare in una zona paludosa. Fango ed erba verde con elefanti circondati dai bianchissimi ibis. Gli elefanti adulti, alti, grossi, con le lunghe zanne e le larghe orecchie sempre in movimento, entrano nelle paludi e affondano con tutta la gamba ma i più piccoli scivolano e perdono il passo dei loro genitori. Emoziona il passaggio di una famiglia: prima il maschio, più grosso, nel mezzo il piccolino di qualche anno e dietro la madre sicuramente meno possente del padre. Arriviamo nella zona lagunare e lì incontriamo centinaia di fenicotteri rosa. Rimangono retti, fermi, solo qualche raro passo, si abbeverano e nessuno spicca il volo. Poi incontriamo un po’ di scimmie con i loro piccolini che giocano, saltano, si infilano sotto la pancia della mamma. Nel pomeriggio Tina urla “Il Kilimangiaro”. Tra le nubi, verso Sud, si apre uno squarcio ed appare la cresta innevata del monte più alto dell’Africa. Purtroppo la vista è fugace e le nubi tornano a ricoprire la montagna. Rientrando verso il lodge incontriamo ancora elefanti e gnu, Il sole incomincia a tramontare, scende verso l’orizzonte ed incontra due larghe nubi, due linee grigie che fanno filtrare i raggi del sole. L’ennesimo spettacolo della natura.
Il lago Nakuru
Il trasferimento dal Masai Mara al lago Nakuru è piuttosto lungo. Sosta per il pranzo all’Ubuntu Cafè, una moderna costruzione in mezzo al verde e ai fiori. Nella palazzina in fianco al bar-ristorante un’altra attività al femminile sostenuta da GAdventures. Una giovane ragazza ci racconta la sua esperienza di orfana e ci mostra le attività delle altre signore: taglio e cucito, abiti, sciarpe e produzione di scarpe tipo espadrillas, tutte di colore diverso, prima puntate con gli spilli e poi cucite a mano sulla suola in gomma. Su una lavagna sono riportati gli ordini dei clienti, tipologia e quantitativo dei prodotti, la data di consegna. Leggo: Kicksbosler, shoes, 344 pairs, date: ASAP. Un bell’ordinativo ! Arriviamo al lago verso sera, il cielo è coperto, non vedo volare un uccello. Cerco il gate d’ingresso dove quarant’anni fa ho passato inutilmente una giornata in attesa di un passaggio, non lo trovo. Vengo poi informato che qualche anno fa si è verificata una forte pioggia che è durata alcuni giorni e che ha causato un’alluvione. Si è portata via il gate ma anche i fenicotteri. Il lago Nakuru era famoso per i suoi fenicotteri rosa, ne risiedevano circa due milioni e veniva chiamato “the bird sanctuary”. In seguito all’alluvione il livello dell’acqua si è alzato di molti metri e la salinità è scesa di molto. Così i fenicotteri si sono trasferiti in altri luoghi ed oggi il lago Nakuru è considerato solo una riserva. Incontriamo qualche rinoceronte, bufali e gazzelle ed una infinità di scimmie.
Masai Mara National Reserve
La mattina incontriamo Joseph, il nostro autista, nei prossimi giorni si rivelerà simpatico e soprattutto bravissimo nella ricerca di animali. Caricati i bagagli si parte, destinazione Masai Mara National Reserve. Il nome già chiarisce che la riserva si trova in territorio Masai, nel Kenia sud-occidentale. Istituita nel 1961 la riserva vanta moltissime specie animali, si estende per un territorio di 320 km quadrati ricoperti da prateria e savana dove l’acacia la fa da padrona. La riserva fa parte di un grande eco-sistema africano e confina col Parco Nazionale del Serengeti in Tanzania. Questo vasto territorio consente la Grande Migrazione di gnu e zebre lungo corridoi ormai ben definiti dagli stessi animali. Lasciato il traffico della capitale la strada attraversa aree verdi e colline, il cielo è coperto. Prima sosta al Milano Restaurant, una baracca in legno con animali dipinti sui muri. E’ un punto panoramico straordinario, dalla balconata si gode la vista della Rift Valley. Seconda sosta presso il nuovissimo Mall di Narok, praticamente la capitale Masai. Il centro commerciale fa a pugni con quanto accade fuori dal suo recinto ben protetto, ma questa è la modernità. Si incontrano i primi masai, tutti indossano coperte colorate, rosse, arancioni, a quadri. Nel Mall una pizzeria: Pizza O’, Authentic Italian Pizza. Io entro solo per un caffè e trovo tanti sorrisi. Finalmente un buon espresso preparato con una macchina italiana. Lo sorseggio ammirando un poster in bianco e nero con Robert Redford e Meryl Streep tratto dal film “La mia Africa”. Una foto incantevole, dolce, romantica, che fa sognare. Finisce l’asfalto ed affrontiamo un interminabile cantiere, un’impresa cinese sta ristrutturando la strada. Arriviamo al gate della riserva e siamo presi d’assalto da donne masai che ci vogliono vendere ogni tipo di souvenir. Appena entrati la riserva ci accoglie con nutriti gruppi di zebre e giraffe. Arrivati al lodge ci vengono assegnati i bungalows. Struttura in legno e tende, tetto in paglia, il bagno però è in muratura e ceramica. Un piccolo porticato in legno dà sul fiume. Nel pomeriggio, tetto alzato, e via nella savana. Kudu, zebre e poi poco più in là notiamo un assembramento di auto. Ci avviciniamo lentamente mentre cinque leopardi ci vengono incontro, camminano in fianco alla nostra auto e proseguono per la loro strada. Tutte le auto si incolonnano e li seguono. Un grosso branco di gnu, appena avverte il pericolo, corre lontano attraversando l’erba gialla della savana. Ancora zebre e gnu e poi spuntano le iene che attente scrutano la situazione. Si avvicina l’ora del tramonto, le nubi cambiano colore in continuazione. Alcune giraffe ormai in ombra contrastano col cielo diventato rosso. Il sole tramonta con due linee orizzontali create dalle nubi. In pochi minuti il cielo diventa scuro e noi rientriamo rapidamente al lodge. La mattina seguente di nuovo fuori, oggi il cielo è sereno. Qualche elefante e molte gazzelle, due si sfidano con forza scambiandosi testate. Su una pianta stazionano tre avvoltoi, a qualche decina di metri c’è il corpo di un animale da spolpare. Le giraffe fanno spuntare le loro teste tra i rami di acacie mentre alcuni leopardi sono a caccia, lì vicino stazionano molti gnu. Dopo qualche ora passata girovagando usciamo dal gate e raggiungiamo un villaggio masai. Mi assicuro che sia un villaggio reale e non una finzione turistica, anche se le danze saranno eseguite solo per noi di National Geografic. Alcuni uomini ci vengono incontro e ci accolgono fuori dal recinto. Jumbo, Jumbo e ci invitano ad entrare. Chinandoci superiamo l’arco di legna secca che delimita l’ingresso. Un ampio spiazzo di terra rossa e tutt’intorno capanne costruite col fango ed un telaio di legno, il tetto è piano e ricoperto di terra dove cresce anche un po’ d’erba. L’interno è molto buio, a destra la cucina con le pentole sul fuoco, a sinistra la camera degli ospiti e qualche passo più avanti la camera da letto, si fa per dire. Gli uomini intonano un ritmo ed incominciano a ballare saltando verso l’alto. Mi invitano a danzare con loro e allora … forza coi salti. Sul lato opposto dello spiazzo le donne si sono allineate ed intonano un canto tradizionale. Loro indossano abiti variopinti, grandi collane e orecchini. Alcuni bambini giocano davanti all’ingresso delle loro capanne, le bambine più grandi si occupano dei più piccoli. Un masai ci chiama e ci invita a disporci in cerchio attorno a lui, ci vuole dimostrare come un masai accende il fuoco. Con le mani fa ruotare rapidamente un bastoncino, una estremità è a contatto con un altro pezzo di legno più scuro e più duro. L’attrito genera calore, il masai avvicina dell’erba secca ed ecco che magicamente esce del fumo. Basta soffiare ancora un poco e appaiono le fiamme. Le donne hanno organizzato un piccolo mercato, la merce viene esposta su alcuni semplici banchetti di legno. Braccialetti, orecchini e collane, vasetti e piattini tutti ben dipinti, oggetti in legno, sono la mercanzia offerta. E’ il momento dei saluti, un ragazzo mi accompagna verso l’auto mano nella mano, una bianca ed una nera, unite. Mi ricorda la famosa foto di Oliviero Toscani che all’epoca sembrava rivoluzionaria ma che ancora oggi ha un potente significato di solidarietà tra etnie diverse. Ho anch’io il mio scatto, un po’ mosso perché stavo camminando. Si rientra al lodge per il pranzo e per un breve “nap” (pisolino). Alle quattro tutte le auto sono di nuovo sulle piste fino al tramonto. Incontriamo diversi ippopotami stesi nell’acqua di un fiume mentre due leonesse se ne stanno sdraiate all’ombra di un’acacia. Sopra le nostre teste, tra l’azzurro del cielo ed il bianco delle nubi, volano alcuni avvoltoi. Poco più avanti una ventina di esemplari si sta divorando la carcassa di un animale. Sono affamati, si spingono, si azzuffano, sbattono le ali, poi volano su un albero cercando altro cibo fresco. Alcune iene perlustrano la zona mentre passano delle giraffe. Tre leopardi si muovono in direzione di un branco di zebre che, appena comprendono il potenziale pericolo, corrono in direzione opposta alzando molta polvere. Inseguendo i tre leopardi incrociamo un’auto all’interno della quale una ricercatrice è intenta a registrare suoni e immagini della savana. Urla dal suo fuoristrada bianco e si incazza con noi per averla disturbata. Joseph risponde per le rime in modo molto risoluto, più tardi George ci chiederà scusa per l’accaduto. Nel frattempo i leopardi hanno proseguito il loro cammino. Joseph, da guida esperta, fa un giro largo e ritroviamo i leopardi che vengono verso di noi con molta calma. Passano lentamente accanto alla nostra auto, ce li abbiamo sotto le nostre teste, sotto le nostre braccia. Silenzio assoluto ed una grande emozione. I tre felini vanno verso Ovest, verso il sole che ormai sta tramontando e colora di rosso tutto il cielo . La mattina di nuovo in auto verso l’uscita della riserva. Il Masai Mara ci regala ancora una scena speciale: cinque leonesse stanno consumando la loro colazione: un animale appena cacciato. Con le zampe tengono fermo il corpo del malcapitato e strappano la carne fresca con i denti. Si condividono pacificamente la loro preda e, tanta è la loro concentrazione, che non ci degnano neanche di uno sguardo.
Nairobi quarant’anni dopo
Ricordo il mio arrivo a Nairobi quarant’anni fa, per la precisione sono quasi quarantuno. Volo diretto da Roma, battesimo dell’aria e prima esperienza africana per Luisa. E infatti se ne innamorò. Arrivammo in un mondo per noi completamente nuovo, tutto da scoprire. Erano le prime ore del mattino e giusto per superare lo choc ordinammo due the. Le guardie keniote indossavano una divisa color cachi (marrone chiaro) con i pantaloncini corti e tenevano tra le loro mani un lungo bastone di colore nero, a mò di sfollagente. La città era abbastanza accogliente, soprattutto di giorno, di notte bastava prestare attenzione. Oggigiorno tutto è più pericoloso. George, la guida che ci accompagnerà nei prossimi giorni, sconsiglia vivamente di uscire a piedi, meglio usare il taxi, e per la notte, tanto per essere chiaro, dice NO mentre col dito indice disegna un grande NO sul tavolo. Ok, la sera non usciamo. L’albergo è praticamente una fortezza. Circondato da alte mura, filo spinato e filo elettrico, dà la sensazione d’essere prigionieri. Le auto vengono controllate con attenzione (incluso lo specchio sotto il fondo) ed ogni ospite viene controllato come in aeroporto. Tutto ciò mi fa vivere una situazione spiacevole, di segregazione, solo la compagnia dei miei compagni di viaggio e di George mi far star bene e mi rilassa.
Entebbe
Nella mia memoria Entebbe ha sempre rappresentato il luogo del dirottamento di un aereo israeliano e della successiva liberazione degli ostaggi. Sembra incredibile come tutto ciò sia potuto accadere. Era il 1976, lo FPLP (formazione estremista che entrò in contrasto con l’OLP di Arafat) dirotta un aereo dell’Air France diretto a Parigi. Dopo una breve sosta a Bengasi (Libia) l’aereo atterra ad Entebbe. Dopo aver liberato 140 passeggeri i dirottatori trattengono 105 cittadini israeliani. Dopo alcuni giorni quattro aerei tipo C130 dell’Aeronautica Militare Israeliana atterrano ad Entebbe in piena notte. Fu fatta scendere un’auto di colore nero fingendo la visita del dittatore Amin. L’auto era una specie di “cavallo di Troia” perché in effetti trasportava militari israeliani che, entrati nel terminal dell’aeroporto, liberano gli ostaggi ed uccidono i sei dirottatori (fonte: Wikipedia). Una storia incredibile che non ha nulla a che fare con la mia !
Partiamo la mattina presto dall’Enganzi Lodge, la strada per Entebbe è lunga e c’è l’incognita traffico. La qualità del fondo è buona e riusciamo a tenere una buona media. Attraversiamo villaggi dove possiamo vedere la vita quotidiana: chioschetti e cibo di strada, banane, case dal tetto piatto colorate con colori molto vivaci, camion e motociclette stracariche. Per pranzo ci fermiamo all’Aid Child’s Equation Cafe (shop, bar e ristorante, sostenuto da GAdventures) che ha lo scopo di aiutare i bambini orfani della zona. Un buffet molto semplice tutto composto da prodotti locali: riso, carne in umido e verdure. Mentre pranziamo un gruppo di percussionisti ci raggiunge e al suono ritmato dei loro tamburi un paio di ragazzi improvvisano dei balli tradizionali. Passeggio lungo il bordo della strada e davanti ad un chiosco di chapati incontro due bambine meravigliose, una in tutina rosa, l’altra in gonnellina nera e magliettina rosa, diventano l’attrazione per chiunque passi di lì. Quella in tutina riceve dalla mamma una bottiglietta di Coca Cola e si diverte bevendola diventando un meraviglioso soggetto fotografico. E dopo aver posato per tutti noi si getta nelle braccia del papà seduto accanto. Qualche passo e di nuovo incontriamo l’Equatore, ai lati della strada due cerchi in cemento con la scritta Uganda come avevamo già visto. Qui però c’è qualcosa in più, uno strano gioco, o meglio, una prova scientifica. Sulla linea dell’Equatore c’è una vaschetta gialla con un buco in centro, tre metri verso il versante Nord ce ne è una seconda con una spirale nera e nel centro lo scarico, sul lato opposto una terza sempre con la spirale nera e lo scarico centrale. Ecco l’esperimento: un addetto riempie d’acqua la vaschetta che sta a Nord e ci aggiunge un fiorellino, l’acqua scende in senso orario. La cosa si ripete nella vaschetta posta sul versante Sud, l’acqua però scende in senso antiorario. E quando l’acqua si scarica dalla vaschetta posta sulla linea dell’Equatore il fiorellino scende direttamente nello scarico senza girare nella vaschetta. Incredibile ! Tutto ciò ha un chiaro senso scientifico ma quello che mi colpisce è vedere questi tre effetti nel giro di pochissimi metri. Si riparte, di nuovo asfalto ed una buona media, poi Everest ci informa che imbocchiamo uno short cut per evitare il traffico di Kampala che ci farebbe perdere almeno due ore. Svolta a destra e via lungo una pista di terra rossa, piuttosto sconnessa e molto polverosa. Lo spettacolo della vita dei villaggi che attraversiamo lungo il percorso ci ripaga di tutto. Riprendiamo l’asfalto ed eccoci a Entebbe. Questa sera salutiamo Everest. Ceniamo sulla terrazza dell’albergo con vista sul palazzo presidenziale, ben illuminato e circondato da un vasto parco. Io mangio una pessima “pasta arrabbiata”, mi manca quella di Mario del Vecchio Aratro, mentre Matt sceglie una “carbonara”, sicuramente più decente, lui l’apprezza molto. Siamo ai saluti, Matt improvvisa un breve discorso di ringraziamento e Guma Guma Guma, il divertente tormentone che ci ha accompagnato attraverso il Ruanda e l’Uganda. La mattina seguente non voglio perdermi la vista del lago Vittoria. Il Vittoria è il più grande lago del continente. Suddiviso tra Uganda, Tanzania e in piccola parte dal Kenia, si estende sull’altipiano della Rift Valley. L’emissario è il Nilo Bianco che scendendo verso Nord incontra il Nilo Azzurro a Khartoum. Per una rapida sbirciatina mi affido ad un taxista al quale chiedo di accompagnarmi in un punto panoramico. Il lago è vastissimo e si perde all’orizzonte. Alcune donne vendono pesce fresco e grigliato mentre alcuni pesci già privati della lisca sono stesi al sole ad esiccare, sulla riva del lago qualche ibis bianchissimo ed alti fenicotteri neri, un ragazzo che indossa una maglietta azzurra con la scritta ITALIA ed il tricolore mi sorride mostrandomi una V alla Churchill. Ed ora in navetta verso l’aeroporto. Oggi tutto è tranquillo, nessun dirottamento in corso. Destinazione Kenia.
The Queen Elisabeth National Park – I Big Five
Circa duemila chilometri quadrati di superfice, i “Big Five” e migliaia di specie animali. Tutto ciò ed una incomparabile bellezza dei panorami ci descrivono il Queen Elisabeth National Park. Siamo nel Sud-Ovest ugandese, tra foreste e savana. Istituito nel 1952 come Kazinga National Park, cambiò nome un paio d’anni più tardi in onore della visita dell’allora giovane regina Elisabetta. Il vasto territorio include il lago George, il lago Edward, ed il canale Kazinga che li unisce. Durante le nostre scorribande in fuoristrada ed una gita in battello riusciamo ad incontrare i Big Five e tanto altro ancora. Incominciamo da loro. Tra l’erba giallastra della savana incontriamo alcune leonesse e a poca distanza, più vicino a delle acacie, se ne sta guardingo un leopardo. Elefanti africani … tantissimi, sia nella savana che lungo il lago, qualche rinoceronte e bufali ovunque. E poi ancora scimmie e babbuini, facoceri, giraffe, gazzelle e impala, kudu dalle lunghe corna, ippopotami che passano le loro giornate nelle acque dei laghi. E poi uccelli di tutti i tipi, piccoli e grandi, spesso con colori bellissimi. Gli ibis, i pellicani col loro gigantesco becco e perché no, struzzi. Insomma, per semplificare, una enciclopedia della natura. La cosa che mi colpisce è che in questo parco, nonostante la fauna selvaggia, troviamo diversi villaggi dove vivono alcune migliaia di persone. Una sera, rientrando al lodge, vediamo un ippopotamo sulla destra della pista, sul lato opposto un signore anziano che, spaventato, corre verso casa con la sua borsa in mano. Everest mette l’auto tra l’animale e l’uomo, per proteggerlo, e noi, con le teste fuori dal tetto panoramico, che lo incitiamo: corri, corri. Solo qualche giorno prima avevamo avuto notizia di un uomo ucciso da un ippopotamo. Avete presente i suoi denti ? E qui si apre un capitolo importante. Quale livello di coesistenza è possibile tra la razza umana e la natura selvaggia ? Good question, ma proseguiamo. Nel parco ci sono lodge e punti di ristoro. A metà mattina sosta vicino al lago dove in semplici baracche di legno si vendono souvenir e prodotti artigianali, bellissime le statue e le maschere in legno, mentre presso un banchetto alcune signore offrono delle crepes cucinate al momento. Per pranzo siamo al lussuoso Mweya Safari Lodge. Una moderna struttura costruita su una collina che domina il lago. Insalata fresca ed un ottimo pesce mentre ci godiamo la vista di elefanti ed ippopotami in acqua e sulla riva. Pessimo il servizio ma cibo di qualità, straordinario il panorama. E dopo pranzo via di corsa per la gita in battello. Costeggiamo molto lentamente le rive del lago osservando da vicino elefanti, bufali ed ippopotami. Una femmina se ne sta tranquilla in acqua con un ibis bianco sul dorso ed un piccolo lungo si e no mezzo metro al suo fianco. Sulle rive vivono comunità di uccelli che di tanto in tanto spiccano il volo mentre canoe a motore sfrecciano sull’acqua cariche di persone. Il parco è attraversato dalla linea dell’Equatore, un doppio anello in cemento con la scritta Uganda ne segna il passaggio.
La Kalinzu Forest e lo Chimpanzee Trekking
La mattina è ancora fredda e umida, percorriamo qualche chilometro d’auto per raggiungere il Kalinzu Forest Eco-Tourism Centre. Ci accoglie una signora bella e gentile col suo bambino carino e simpatico, tutto intorno scimmiette. Questa volta il gruppo di visitatori è piuttosto nutrito. Entriamo nella foresta con piante ad alto fusto, il sottobosco è composto da grandi felci e piante a foglie larghe. La notte precedente ha piovuto per cui tutta la vegetazione è ancora bagnata ed il sentiero è molto scivoloso. Dopo una buona mezz’ora troviamo un gruppo di scimpanzé, sono circa una trentina. Peccato che restino tutti sulle parti alte degli alberi e noi ci dobbiamo accontentare di vederli dal basso. Saltano da un ramo all’altro e riusciamo a vedere i loro corpi solo dove le foglie sono un po’ più rade. Solo un paio di esemplari si fidano a scendere fino a metà tronco d’albero. Usciamo dal parco per rientrare al lodge, lungo la strada incontriamo tanti venditori di banane. Banane, banane, solo banane. Sono così abbondanti che quasi non hanno prezzo. I caschi di banane sono accatastati sul ciglio della carreggiata e, per motivi che mi rimangono ancora ignoti, mi viene proibito di fotografarli !
Destinazione Uganda
La mattina il cielo è sereno, il vulcano oggi è ben visibile ed ha una bella nuvola bianca sulla vetta a forma di cappello a larghe tese. Un’ora di viaggio ed arriviamo al confine, doppio controllo ruandese in uscita e poi si arriva alla barriera ugandese, bianca, arrugginita con la scritta UGANDA in rosso. La superiamo ed iniziano i controlli dei visti e dei passaporti. Ce la caviamo abbastanza rapidamente, un’ora circa, un doganiere alza manualmente un lungo e leggero tronco d’albero (!) e ci dà il segnale per proseguire. La strada attraversa dolci colline verdi, piccoli appezzamenti coltivati e gruppi d’alberi, banani un po’ ovunque, in lontananza si vedono ancora i vulcani. Nei pressi di un villaggio un gruppo di donne offre pannocchie di mais grigliate, l’auto viene completamente presa d’assalto, Everest si ferma e ne compra un paio che poi distribuisce. Si supera un piccolo passo dove si vendono sacchi bianchi di patate dolci. Per un tratto di strada siamo circondati da simpatiche scimmiette, ai lati qualche casa costruita con tronchi e terra, il tetto di ondulato metallico. Superata una curva, tutto d’un tratto, le colline diventano verdi e di forma regolare, sono coltivazioni di the. Per qualche decina di kilometri solo the, poi riprende la foresta. Il cielo si è rannuvolato e tra le colline si infilano le nubi creando un piacevole effetto. Piove a tratti e verso sera arriviamo davanti ad una grande pianura verde, è l’area del Queen Elisabeth National Park. Le nubi in cielo all’ora del tramonto disegnano raggi rosati. Prendiamo possesso dei nostri bungalow c/o il Lodge Enganzi costruito sul bordo di una lunga roccia a strapiombo sulla pianura. Un panorama mozzafiato. I bungalw hanno muri in cemento, tetto di canne, zanzariere alle finestre e sul letto. Fuori un terrazzino dal quale di notte si ammirano le stelle e la Via Lattea che passa proprio sopra il bungalow. Il silenzio notturno è totale, gli insetti danno la base musicale che gli uccelli completano col loro canto.
Gorilla Day
Si parte sempre dal centro del Volcaneos National Park dove ci uniamo ad altre quattro persone. Un cartello, una statua di gorilla, una linea gialla, indicano che la minima distanza tra i visitatori ed i gorilla dovrà essere di almeno 7 metri. Partiamo in auto andando in direzione opposta rispetto a quella di ieri. Il cielo è coperto, le nuvole coprono la vetta del vulcano. Lasciamo l’asfalto e ci dirigiamo verso le montagne. Arriviamo al punto di incontro dove troviamo le guide, i ranger ed i portatori. Uno staff di 15 persone per 8 visitatori ! Superiamo un piccolo villaggio con i bambini infreddoliti che ci salutano. Attraversiamo campi coltivati e raggiungiamo l’inizio dell’Akago Trekking Trail. Il gruppo di gorilla che ci è stato assegnato si chiama Agashy che significa “speciale” perché qualche tempo fa ha vissuto una strana storia con il silverback, il maschio dominante: per un breve periodo di tempo il gruppo ne è stato privo e questo è un fatto assolutamente raro, speciale appunto. Percorriamo un instabile ponticello in legno per immergerci nella foresta tropicale. Il terreno, le piante, le foglie sono molto umide e tutto è molto scivoloso. Oggi infatti indosso i guanti che abbiamo in dotazione perché ad ogni passo è meglio assicurarsi ad un tronco, un ramo, una liana. Il sentiero si fa sempre più stretto, le canne restringono il passaggio. Incontriamo i tre rangers che ci avevano proceduto e ci danno la buona notizia: i gorilla sono solo a venti minuti di cammino. Proseguiamo col cuore in gola a causa dell’emozione ma l’attenzione verso i nostri passi va mantenuta ferma. Arriviamo in un punto in cui la vegetazione si apre, dal verde delle foglie spunta il primo animale che se ne sta sdraiato in panciolle. Un ranger controlla se è tutto tranquillo e ci dà l’ok all’avvicinamento. Il silverback si batte il petto per comunicare ai componenti del gruppo di gorilla che è tutto tranquillo. Qualche animale viene verso di noi mentre altri si sdraiano sulle foglie umide. Il gruppo ci ha visti ed accettati, questo accade una volta al giorno per circa un’ora. Altro che sette metri, siamo quasi a contatto, solo qualche decina di centimetri . Ogni animale si mette a suo agio ed incomincia a farsi gli affari propri. Uno si sdraia ed appoggia la mano sul petto, un altro si sdraia sul fianco, il terzo si sfrega le mani. Il siverback mangia bastoncini verdi, al suo fianco un cucciolo sta mangiando foglie. Uno si mette la mano sulla testa e sembra che stia pensando alla legge di Heinstein. Dei cuccioli mangiucchiano vicino alla mamma. Un maschio se ne sta a braccia conserte. Un cucciolo continua a girare attorno alla mamma che però sembra non essere molto interessata. E chissà per quale ragione un maschio spalanca la bocca e ci mostra tutti i sui denti forti e appuntiti. Un altro, occhi marroni, continua a pensare… chissà a che cosa. Poi incomincia a grattarsi il pelo, si stacca qualcosa di fastidioso e se lo mette in bocca. Uno si addormenta in un cespuglio e un altro un po’ più piccolo si sdraia sul fianco destro. Da sopra ne arrivano altri due che si mettono a mangiare foglie. Uno si sdraia con la mano sulla bocca e mi guarda con due occhioni marroni poi incomincia a togliersi delle spine dai piedi e le ingoia, si pulisce il naso e si porta in bocca ciò che ha trovato, lo stesso fa con gli occhi. Poi forse annoiato sbadiglia e mi mostra tutti i suoi denti e la lingua nera. Due cuccioli giocano tra di loro e poi la mamma si prende cura di uno di loro, gli pulisce un po’ il pelo e lo abbraccia portandolo al seno. Gli bacia il collo, il petto e le mani. Un altro si sdraia coprendosi le testa col braccio mentre un piccolino raggiunge la sua mamma. Non avrei mai immaginato in vita mia di vivere una simile esperienza. E quando l’ora finisce abbandoniamo il gruppo che si sdraia tranquillo tra le foglie. Rientriamo attraversando la foresta, il cielo si sta aprendo e la temperatura si fa più mite. Nel pomeriggio, grazie a National Geografic, visitiamo il Dian Fossey Gorilla Fund, il centro studi dei gorilla di montagna intitolato appunto alla Fossey che ha passato l’intera vita a contatto con questi animali studiando le loro abitudini. Dian Fossey è stata uccisa nella sua capanna nel dicembre del 1985 probabilmente da bracconieri locali. Io la ricordo magistralmente interpretata da Sigourney Weaver nel film “Gorilla nella Nebbia”. Nell’atrio della fondazione sono esposti due scheletri: uno umano ed uno di un gorilla di montagna. Mamma mia quanto siamo simili ! La somiglianza è impressionante. Gli umani sono un po’ più alti ma meno possenti, hanno un cranio più voluminoso mentre il gorilla ha un osso sulla testa, simile ad una cresta, per ospitare dei muscoli che noi umani non abbiamo, le mani hanno movimenti molto simili ma quelle dei gorilla sono fatte anche per camminare. Nelle sale successive testi, mappe, fotografie e la scrivania originale della Fossey. La sera il vulcano davanti alla mia casetta è quasi sgombro di nubi, quelle poche rimaste si colorano di rosa, come ogni sera l’addetto viene ad accendermi il camino, un calice di merlot sudafricano sorseggiato davanti alla finestra panoramica completa il quadro. Nicola, anche un bicchiere di vino rosso ti fa sentire a casa 🙂
Cercopitechi, trovati !
A Kinigi, 2.400 metri slm, nord ovest ruandese, al confine con la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda, si trova il centro per le visite al Volcaneos National Park. Oggi è la volta delle Golden Monkeys, golden perché sembrano dorate. In italiano, simile al nome scentifico in latino, cercopitechi. Primati, scimmie, vegetariani, vivono sugli alberi. Col Land Cruiser lungo strade dissestate ci portiamo in un piccolo villaggio dove scambio qualche battuta e qualche sorriso con alcune signore che vendono frutta e verdura: zucche, pomodori, banane, ananas, aglio e cipolle rosse. Si parte zaino in spalla, qualcuno si fa aiutare da un portatore che sarà utile anche nei passaggi più difficili. Il sentiero attraversa campi coltivati molto puliti e ordinati, prevale la patata dolce che è la base, assieme alla banana, della dieta quotidiana dei ruandesi. Imbocchiamo il Kabatwa Trekking Trail. Superiamo un muretto a secco ed un fossato che impediscono il passaggio dei bufali che potrebbero arrecare danni alle coltivazioni e rappresentano un pericolo per la popolazione. Apre la colonna una guida armata che serve proprio a scoraggiare qualche bufalo inferocito, seguono altre guide che col machete che ci aprono la strada. Siamo circa una trentina di visitatori più le guide e i portatori in tuta blu. Attraversiamo la foresta tra bambù, alte piante e liane. Alcuni passaggi sono angusti, completamente piegati in due attraversiamo dei tunnel naturali. La temperatura è ancora bassa mentre l’ambiente è molto umido, tutta la vegetazione è bagnata, coi guanti alle mani ci si fa equilibrio con piante e liane. Dopo circa un’ora di cammino avvistiamo il gruppo di cercopitechi, in tutto saranno almeno una cinquantina. La schiena marrone chiara, quasi dorata, il resto del corpo marrone scuro/nero, una lunga coda. Il muso è molto particolare: la fronte è ricoperta da un folto pelo bianco, guance gonfie grigio chiaro, attorno alla bocca e sotto il naso il pelo è bianco. Saltano da un ramo all’altro, corrono veloci e con agilità mentre a terra camminano tranquilli anche tra i nostri piedi. Mangiano in continuazione foglie e bastoncini. Si arrampicano, si guardano in giro, due esemplari si accoppiano. Il maschio rimane praticamente sospeso, appoggiato solo sul dorso della femmina e sulla propria coda. Riprendiamo il cammino del ritorno, esce qualche raggio di sole, le nuvole ora ci concedono una meravigliosa vista dei vulcano