Ricordo il mio arrivo a Nairobi quarant’anni fa, per la precisione sono quasi quarantuno. Volo diretto da Roma, battesimo dell’aria e prima esperienza africana per Luisa. E infatti se ne innamorò. Arrivammo in un mondo per noi completamente nuovo, tutto da scoprire. Erano le prime ore del mattino e giusto per superare lo choc ordinammo due the. Le guardie keniote indossavano una divisa color cachi (marrone chiaro) con i pantaloncini corti e tenevano tra le loro mani un lungo bastone di colore nero, a mò di sfollagente. La città era abbastanza accogliente, soprattutto di giorno, di notte bastava prestare attenzione. Oggigiorno tutto è più pericoloso. George, la guida che ci accompagnerà nei prossimi giorni, sconsiglia vivamente di uscire a piedi, meglio usare il taxi, e per la notte, tanto per essere chiaro, dice NO mentre col dito indice disegna un grande NO sul tavolo. Ok, la sera non usciamo. L’albergo è praticamente una fortezza. Circondato da alte mura, filo spinato e filo elettrico, dà la sensazione d’essere prigionieri. Le auto vengono controllate con attenzione (incluso lo specchio sotto il fondo) ed ogni ospite viene controllato come in aeroporto. Tutto ciò mi fa vivere una situazione spiacevole, di segregazione, solo la compagnia dei miei compagni di viaggio e di George mi far star bene e mi rilassa.