A Windhoek, a Windhoek, a Windhoek … il leone si è addormentato. Qui bisogna cantarla ed infatti da queste parti va molto di moda: in the jungle, the magic jungle the lion sleeps tonight. Windhoek, capitale della Namibia. Entriamo in città lungo grandi strade asfalate e ritroviamo i semafori. Facciamo sosta al Penduka Village, un centro sostenuto da aziende di tutto il mondo, incluso GAdvetures, dove oltre trenta donne svolgono attività artigianali di ceramica, tessitura, chincaglieria, gestiscono un bar ed un piccolo ristorante. Noi ci accontentiamo di un panino ma la sera ci rifacciamo con un Pinotage, vino rosso sud-africano, e bistecche. Io scelgo una steak habanero, più precisamente 300 g di carne con salsa piccante ed una baked potato avvolta nell’alluminio, come si può mangiare in tutta la Germania. La città non offre nulla di particolare ma qualche esperienza si può sempre fare. E’ domenica mattina e la città è addormentata, i negozi quasi tutti chiusi, il traffico praticamente assente. Cammino verso il centro e incrocio una chiesa, la Universal Church of the Kingdom of God. Assieme ad una bella ragazza nera, camicia rossa e gonna nera, entro nella chiesa. Un grande salone strapieno di fedeli. Un predicatore, praticamente un affabulatore, sta tenendo il suo discorso al microfono. Un addetto in camicia bianca e cravatta ci accompagna in una seconda sala, più piccola dell’altra, dove un megaschermo trasmette la predica. Il predicatore dice che distribuirà un olio santo e una croce. Lo vuoi l’olio ? e tutti in coro Siiii. La vuoi la croce ? e tutti in coro Siiii. Addette e addetti distribuiscono un flaconcino a forma di croce contenente olio d’oliva. Il predicatore afferma che l’olio avrà un effetto positivo per le successive 23 domeniche ! Poi chiede a tutti di bagnare la testa con quest’olio. La ragazza seduta accanto a me mi chiede: non lo vuoi l’olio ? Lei prende qualche goccia e si bagna la fronte. Riprendo la mia camminata e arrivo in centro. Viali con poco traffico e palazzoni nuovissimi. Salendo la collina si arriva alla chiesa luterana Christuskirche che risale ai primi anni del 1900. L’architettura è un ibrido di stile neogotico e art nouveau, molto nordica nel suo insieme. Pietra marrone, tetto rosso molto spiovente ed un campanile. Nel giardino i fedeli stanno chiacchierando con allegria mentre sorseggiano the e caffè, una specie di party dopo la messa domenicale. L’interno è molto freddo, essenziale. Sopra il portone d’ingresso un organo ed una balconata in legno. Le vetrate dipinte illuminate dal sole rappresentano figure sacre. Di fronte alla chiesa il National Museum of Namibia, una modernissima costruzione che ospita foto e cimeli della storia della recente indipendenza. Dalle terrazze si gode il panorama della città circondata da montagne e colline. Lasciato il gruppo che prosegue verso Victoria Falls … volo verso il Ruanda.
Etosha National Park
Appena superato il gate incontriamo una marea di animali: zebre, giraffe, antilopi, ecc. L’inizio è di buon auspicio. Ci accampiamo a Okaukuejo. Prima di cena, mentre il sole tramonta, molti animali vanno ad abbeverarsi al laghetto appena fuori il recinto. Alcuni elefanti si “abbracciano” con le proboscidi mentre arriva dolcemente una femmina. Beve un po’ d’acqua e si avvicina ad un maschio che agita le sue grandi orecchie per rinfrescarsi. Si guardano negli occhi e si accarezzano con le proboscidi. Si spostano lentamente verso l’altro lato del laghetto ed arriva un secondo maschio che viene respinto a testate dalla femmina. Il maschio prescelto si porta dietro di lei, con un balzo pone le sue possenti zampe sul dorso e si accoppia senza grande passione e senza neanche grande pudore. Si perché tutto ciò avviene davanti a un centinaio di turisti divertiti che sorridono e fotografano. Come il sottoscritto, ovviamente. Dopo cena invece, alla luce dei riflettori, trovo una famiglia di elefanti con due piccolini ed un rinoceronte. Ne arriva un secondo, più piccolo, potrebbe essere una femmina. I due si guardano lungamente, bevono un po’ d’acqua, avvicinano le loro labbra come si stessero baciando e poi incrociano le loro corna. Dopo essersi lungamente guardati, il maschio si allontana fino a perdersi nel buio. La mattina seguente escursione a bordo di un fuoristrada. Arrivati al primo punto di osservazione troviamo tre tranquille leonesse che danno l’idea di controllare la situazione. Tutto intorno una vasta varietà di animali molto appetitosi per le loro fauci. Tutto è molto tranquillo. Una leonessa si alza e se ne va camminando lentamente. L’altra invece è adagiata su un blocco di cemento. Appena si muove tutti gli altri animali, zebre, giraffe, gnu, impala, springbok, fanno un immediato balzo all’indietro di una cinquantina di metri. Di nuovo tutti fermi ma gli occhi sono puntati verso il felino che però non attacca. Arriviamo di fronte ad un vastissimo lago salato, il chiarore abbaglia. In fianco a noi diversi kudu dal pelo marrone scuro che contrasta col giallo dell’erba. Zebre che si abbeverano, giraffe che mangiano le foglie guardando le piante dall’alto verso il basso, springbok dalle corna affusolate, elefanti. Insomma un po’ di tutto. Nel pomeriggio poi una scena incredibile. Un leone se ne sta sdraiato all’ombra di una pianta. Noi ci godiamo lo spettacolo in silenzio. Poi si gira, si adagia sul dorso e alza le zampe come per sgranchirsele. Scatto mentre tutto il gruppo ….. ooooh ! Un’altra pozza ed un altro mix notevole, alcune giraffe si abbeverano mentre dietro di loro un gruppo struzzi si muove e apre le ali, quatto quatto arriva un massiccio rinoceronte. La giornata è terminata e rientriamo al campo. Il buffet oggi prevede anche bistecche di kudu, buono il sapore ma risulta un po’ duro. Dopocena l’eclissi di luna. Non ci facciamo mancare niente. Luna piena e stelle, vado verso l’uscita per avere meno luce artificiale. Il fenomeno inizia poco prima delle nove, la luna comincia a coprirsi. Man mano che la luna scompare appaiono miliardi di stelle. La Via Lattea taglia diagonalmente il cielo diventato scuro. Alle 21,35 l’eclissi è totale e il nostro satellite rimane oscurato per oltre un’ora e mezza. Alla pozza si alternano giraffe ed elefanti, un rinoceronte e qualche impala. Che esperienza l’Etosha !
The Namib Desert
L’Orange River è un fiume lungo più di 2.000 km, nasce nel Lesotho e sfocia nell’Atlantico dopo aver attraversato tutto il Sud Africa. Qui in Namibia attraversa un’area desertica ma quando irrigata può essere coltivata con successo. E difatti a sinistra della strada che percorriamo si vedono ettari di vigneti. Niente colline, terreno pianeggiante. Niente grappoli, è inverno. Si vedono solo gli scheletri delle piante. A margine dei vigneti è sorta una township per ospitare chi ci lavora. Povertà, poco lavoro, baracche di legno e ondulati. Vengo fermato da una famiglia che di primo mattino sente la musica e balla. Solo gli uomini però, la donna sta lavando i piatti in un catino. Una grande spianata e due banche, alcuni negozi e un supermarket. Di fronte al bancomat una lunga fila di persone attende il proprio turno mentre un’altra coda attende di ricevere una scodella di nshima (polenta bianca) con carne in umido offerta dal supermercato. Vengo invitato ad assaggiare la specialità locale, accetto volentieri e mi metto in coda. Si, io bianco in coda tra i neri in attesa di una scodella di cibo. Può far sorridere ma è stato divertente, e la polenta col sugo molto buona. Si fa per dire. Siamo nel centro del paese, il deserto si fa sempre più roccioso, la strada sempre sterrata. Arriviamo al Fish River Canyon, secondo per larghezza e profondità solo all’americano Gran Canyon. Sul fondo un piccolo fiume di colore verde. L’origine di tutto ciò è principalmente tettonica. A sera arriviamo ad Ai Ais, albergo e campeggio racchiusi tra alte montagne rocciose. La località è famosa per la sua fonte di acqua termale che sgorga a 65° di temperatura. All’interno dell’albergo una spa, per meglio dire due vasche di acqua calda. E’ comunque piacevole rilassarsi dopo una giornata di viaggio, sole, vento e sabbia. Il giorno successivo ripartiamo, superiamo il Fish River attraversando un ponte in cemento bianchissimo. Sosta per il pranzo in un piccolo villaggio dove troviamo ben 300 metri di asfalto. Riprendiamo lo sterrato percorrendo lunghi rettilinei, il panorama desertico è piatto, solo qualche montagna sullo sfondo. Sosta per un pieno di carburante dove c’è anche un negozio pieno di vecchi cimeli che sembra un museo. Riprendono le montagne, la strada le supera con molte curve, ai fianchi arbusti e piante grasse. Arriviamo a Sossus giusto in tempo per montare le tende prima che faccia buio. Il cielo si fa rosa, poi rosso, il rosso si mischia con il grigio e poi fa buio. La luna sembra un grande faro sopra le nostre teste, un alone la circonda, un cerchio perfetto. Si potrebbe pensare ad un miracolo, o forse lo è. Migliaia di stelle e la Croce del Sud. Nel frattempo Bumbastic, la nostra guida, sta preparando la cena. Lo aiuto mescolando il ragù che cuoce sulla brace. Gli spaghetti bollono mentre Minshen, il cinese, grattuggia del finto parmigiano. Gli altri amici nel frattempo bevono birra e vino attorno al fuoco. Zuppa di zucca secondo la ricetta della nonna di Bumbastic e spaghetti al ragù. La temperatura scende, il vento è freddino, la notte gelida. In tenda, nel mio sacco a pelo, si sta benissimo. La mattina la temperatura è ancora bassa, l’acqua per il caffè è già calda, due bollitori sono pronti sul fuoco. Colazione completa con salsicce e uova. Il sole sorge colorando di rosa intenso le scarse nuvole. Andiamo alle dune di Sossusvlei, siamo nel Namib-Naukluft Park. Il sole non è ancora alto e le dune assumono i colori chiari e scuri in funzione dell’esposizione. Un oryx abituato ad incontrare i turisti se ne sta tranquillo a pochi passi da noi. Mi concede un ritratto. Saliamo la duna di sabbia finissima, si sale un passo e si scivola all’indietro di mezzo passo, ma dall’alto il paesaggio è spettacolare. Proseguiamo con dei fuoristrada per raggiungere una conca tra le dune con il fondo di un lago salato. Una chiazza bianca tra le dune rossastre. Una via di mezzo tra un paesaggio lunare e Marte. Alcune piante rinsecchite e spezzate rompono il chiarore del fondo. Una breve sosta e siamo al Sesriem Canyon, profondo solo una trentina di metri. Scendiamo e passeggiamo tra i fianchi rocciosi composti da sassi scuri e rocce marroni. Ritorniamo al campeggio dove ritroviamo le nostre tende e la cucina. Stasera salcicce di oryx grigliate e bistecche di manzo. Vino e birra non mancano mai. Il cielo è completamente terso, la luna è sempre troppo luminosa ma le stelle non mancano. La mattina sembra di vedere della nebbia alla base delle montagne, in lontananza. Colazione mentre sorge il sole, si smonta il campo e si riparte. Dopo circa un’ora di viaggio sosta alla stazione di servizio Solitaire dove abbondano carcasse di vecchie auto. Peter, l’autista, ne approfitta per riparare un piccolo guasto al pullman, da un paio di giorni perdiamo la pressione sul retro ma non ho ben capito da dove. In fianco, sotto una grande capanna, si trova la Mc Gregor’s Bakery, famosa in tutto il paese. Biscotti, torte dolci e salate, e una lunga coda per farsi servire. La strada sterrata prosegue fino ad arrivare al Tropico del Capricorno, sosta e foto di rito. Riprendono le montagne, rocce stratificate e paesaggi lunari. La strada sale e scende tra strette curve per poi ritrovare il piatto assoluto fatto di niente. Un niente colorato di giallo che incontra l’azzurro del cielo. Riprende l’asfalto e incrociamo paludi con molti fenicotteri, sterpaglie verdi e piccole dune di sabbia. Siamo di nuovo arrrivati sull’Atlantico. Walvin Bay, una città col lungomare verdissimo perfettamente tenuto. Da un lato case moderne e di lusso, sul lato opposto l’oceano con i fenicotteri. Percorriamo una trentina di kilometri verso Nord, sempre lungo il mare, ed arriviamo a Swakopmund, seconda città per importanza della Namibia. Strade diritte e perpendicolari che si incrociano, qualche semaforo e case in stile tedesco. Anche il nostro albergo, Europa Hof, in perfetto stile bavarese. Già il nome è una presentazione ma non manca l’insegna della birra. Un giorno fermi, finalmente. Ne approfitto per una visita guidata nella township di Mondesa. Fino al 1994 era il luogo della segregazione dei neri dovuta alla apartheid. Oggi c’è la citta per i bianchi, moderna e pulita, efficiente, e la township dei neri, più povera, ma almeno ora ognuno è libero di muoversi come crede. Questa mattina sono solo con la simpatica coppia cinese, lui ingegnere, lei medico, grandi viaggiatori. Sosta al mercatino che si tiene sulla strada. Arance, un po’ di verdure e pesce esiccato. Entriamo nel cortiletto di una semplice casa, solo piano terra, tetto in ondulato metallico. Una ragazza herero ci accoglie con un bel sorriso e un abito tradizionale di colore bianco e nero con disegni fantasia, una sciarpetta rossa ed un cappello tradizionale, anch’esso rosso. Ci racconta la storia della sua comunità, le loro abitudini, lo stile di vita. Ci viene raccontato del genocidio portato a termine dai tedeschi all’inizio del ‘900 durante la loro occupazione coloniale. 75.000 morti tra la popolazione Herero e la Nana. Poi ci parla dei bambini. In una specie di casetta sita nel cortile vivono alcuni bambini che vengono aiutati dalla collettività. Una specie di asilo e orfanotrofio per bambini di due / tre anni. Naturalmente uno più bello dell’altro. Due minuti d’auto e raggiungiamo una baracca dove un pittore naif mostra i suoi quadri, uno stile molto semplice dalle tinte molto forti. L’ultima sosta è presso lo Hafeni Cultural Centre and Traditional Restaurant. Ci fanno accomodare ed una signora dalle forme abbondanti ci fa sciacquare le mani in un elegante catino. Ci viene servito un vassoio per dei semplici assaggi: nshima (polenta bianca), spinaci, manzo al sugo ed un passato di fagioli. Delizioso. La visita si conclude con un piccolo coro di canti tradizionali ed un omaggio a Bob Marley. Ma Swakopmund è anche città di mare. Non si può perdere la passeggiata sul lungomare con aiole verdi annaffiate in continuazione. Poi sulla battigia a piedi nudi tra le onde di acqua gelida, ma che piacere ! Visita all’Acquario ma tutto si conclude con qualche gambero grigliato ed un buon bicchiere di vino bianco. La mattina seguente lasciamo la città in direzione Nord. Lunghi rettilinei che seguono la linea ferroviaria, la terra è giallo ocra, arbusti e piante grasse. Si cambia direzione, ora viaggiamo verso Est e incontriamo migliaia di termitai. Sosta a Outjo dove incontro delle simpatiche signore che offrono braccialetti e collanine. Entro nella Guest House , un ambiente fresco, pulito, tovaglie bianchissime con strisce leopardate. Mi preparano un bellissimo piatto di tagliatelle agli spinaci e formaggio, gradevolissimo alla vista ed anche al palato.
Verso la Namibia
Si lascia Città del Capo in direzione Nord, la Table Mountain alle spalle. La strada segue la costa dell’oceano, spiagge bianche e belle case, moderne, tutto è ben tenuto, pulito. Si attraversano verdi colline alternate a pianure. E’ inverno, la natura è rigogliosa ed ha appena approfittato di una setttimana di forti piogge. Sosta a !Khwa TtuSan Centre, un centro culturale ed agricolo del popolo San sostenuto da GAdventures. Una guida ci racconta la storia e la cultura di questo popolo distribuito in diversi paesi dell’Africa Australe. Ci viene spiegato lo strano linguaggio che è costituito da suoni che vanno dallo schiocco della lingua ad uno “smac”, identico al bacio. Ci viene offerta una tisana di erbe locali addolcita con del miele, molto piacevole al palato. Ora si attraversa una steppa verde per arrivare a Lambert’s Bay. Qualche fabbrica alimentare, nel porto barche per la raccolta dei diamanti in mare ! Visitiamo la Bird island, un luogo dove vengono preservati uccelli marini ed un punto di osservazioni dei gannet (in italiano sula), uccelli bianchi simili ai gabbiani col bordo delle ali nero. Per cena siamo a bordo oceano, la temperatura è mite ma il vento è sempre molto fresco. Un tramonto infuocato, spuntano le prime stelle e una mezza luna. Mentre sul fuoco si cuociono cozze e paella noi facciamo degli assaggi di vino. Due bianchi e due rossi, il primo è il migliore: Chardonnay sud-africano. La mattina seguente si riparte abbandonando l’oceano verso Nord, pianure verdi e morbide colline. Proseguendo il terreno si fa più argilloso, poi semi-desertico, brullo ma ancora con arbusti verdi e fiori. Arriviamo alla frontiera sud-africana, ce la caviamo con una quarantina di minuti. A Noordoewer posto di frontiera della Namibia, le procedure di ingresso sono abbastanza rapide ma Peter, il nostro autista, ha con sè il visto di un suo collega. Dobbiamo aspettare un’ora perchè l’ufficio riesca ad inviare la documentazione corretta. Arriviamo all’Orange River, mentre il sole tramonta e colora di rosso il fiume. Ho una bellissima camera in una capanna extra-lusso, tetto in canne. La notte è piuttosto fredda ma sotto le coperte si sta benissimo.
Robben Island
Un moderno catamarano bianco e azzurro trasporta i visitatori dal Nelson Mandela Gateway del Waterfront verso la Robben Island. Una quarantina di minuti e si raggiunge l’isola dove per molti anni sono stati rinchiusi carcerati e oppositori politici in condizioni di vita quasi disumane. L’ingresso ricorda quello dei lager ma la scritta che sovrasta il porto di ingresso dichiara che “Noi serviamo con orgoglio”. Anche qui come in altri luoghi simili, la storia ha dato loro torto. Per i carcerati la vita era dura, bagni comuni, cibo scarso, colloqui controllati e una forte censura della corrispondenza. In una cava i carcerati erano costretti a scavare sotto il sole cocente, senza cappelli, senza occhiali, senza bere. Oggi si trasportano i sassi in un luogo e domani si riportano indietro, così si arriva alla morte fisica e quella mentale. L’area per i carcerati politici è ancora peggiore. Era vietato parlare, comunicare , avre contatti con il modo. Un lungo corridoio con le celle allineate, pochi metri quadri.Una coperta per terra, niente letti, una panca ed una scodella metallica. Un cortile racchiuso da un alto muro. Così ha vissuto Nelson Mandela per diciannove lunghi anni, assieme ad tanti altri deportati. Grazie a loro oggi il Sud Africa è un paese libero e moderno. Anche se la strada da percorrere per il continente africano è ancora lunga, molto lunga, forse interminabile.
Cape Town, la Città del Capo
Città del Capo colpisce per la sua posizione geografica, racchiusa tra la Table Mountain, la Lion’s Head ed il mare. Una città che lascia al visitatore un ricordo profondo. C’è un pò di Africa e un pò di Europa, modernità e township, la città costruita e la natura.
Inizio la mia visita dalla Table MOuntain, alta oltre 1.000 metri e piatta, piatta come un tavolo che domina la città. Si sale in funivia con la cabina rotante, una rossa e l’altra gialla. Dall’alto si domina il panorama, cielo azzurro e vento freddo. Si cammina lungo le rocce e verso Sud lo spettacolo del Capo di Buona Speranza. La sera ceno di fronte ad un caminetto acceso, una buona bistecca ed un buon shiraz. La mattina a piedi lungo la Long Street, la via principale che va verso il porto. Case coloniali di fine ottocento si alternano a stabili più moderni. Davanti al Palazzo di giustizia trovo una manifestazione per la casa, brevi comizi, donne colorate danzano, urla e mani che si incontrano. Si arriva nel quartiere direzionale con i grattacieli delle grandi multinazionali e poi il porto, il Waterfront. La Clock House col vecchio orologio, case antiche e magazzini del porto trasformati in negozi e locali modernissimi. Una grande Ruota consente a turisti e visitatori di goderne il panorama. Mangio un’ottima zuppa di pesce su una moderna terrazza con panorama sul Waterfront. Alle sei incomincia ad imbrunire, si accendono le luci e in un attimo è notte. Mentre sorseggio il mio Sauvignon Bianco sento arrivare le musiche dei gruppi di strada coi loro ritmi africani , percussioni e grida. La mattina successiva percorro i giardini che costeggiano il Palazzo del Governo. La vita scorre lentamente, chi passeggia, chi si sdraia sull’erba verde. Entro nella cattedrale anglicana, sembra di essere nel Nord Europa, nella women chapel una signora sistema dei fiori colorati sull’altare, esce chiudendo il cancelletto e mi saluta con un sorriso. Il sole attraversa le vetrate colorate. Un enorme organo con migliaia di canne è sistemato sotto tre arcate sopra l’altare principale. Il suono mi avvolge con grande potenza, la musica penetra attraverso i pori della pelle, il ritmo è travolgente. Arrivo alla Nelson Mandela Tower dove si sta allestando la festa per il centesimo anniversario della nascita di Nelson Mandela, per tutti Madiba. Un gruppo giovani scolari sta colorando con pastelli i ritratti del presidente, una mostra di quadri che lo ritraggono, stand culturali e di associazioni, panini e vino. Tutto in onore di chi ha cambiato le sorti di questo Paese trasformandolo da stato della Appartheid a stato moderno e multirazziale. Grazie Nelson Mandela
Il Capo di Buona Speranza
Salgo sul mini-bus e Daniel, l’autista, annuncia: ci ha raggiunto Oscar, il secondo driver, ma lui oggi non guiderà. Diciamo che è sempre un piacere viaggiare sul sedile anteriore. Lasciata la città alle spalle, andando in direzione Sud costeggiamo la Table Mountain e le cime dei 12 Apostoli, una serie di montagne verdi e rocciose che si susseguono lungo l’oceano. Percorriamo la strada che segue la costa occidentale del Capo di Buona Speranza. Una prima sosta lungo una bella piaggia bianca e rocce. Si arriva a Hout Bay circondata da montagne. Un piccolo porto turistico dal quale ci imbarchiamo per raggiungere degli isolotti dove vivono centinaia di foche. Si imbocca la Chapman’s Peak Drive, panorami bellissimi, e si arriva al Capo di Buona Speranza. Le rocce si tuffano in mare dividendo le correnti fredde che arrivano dall’Antartico da quelle molto più calde provenienti dall’Oceano Indiano. Con una breve teleferica si raggiunge il punto più alto del Capo dove il vento freddo scorre in continuazione. Tutto attorno l’oceano e coste si colorano di azzurro, di grigio e di blu. Il cielo rimane parzialmente coperto. Segue una sosta per ammirare i pinguini sulla spiaggia bianca. Gli adulti camminano, rimangono a coprire le tane dove vivono i cuccioli, offrono loro del cibo. Arriviamo a Boulders, Parco Nazionale con piante e fiori di ogni tipo: i fiori del paradiso, fiori di ogni possibile colore. Si percorre la canopy, un sentiero in legno sospeso, che consente di visitare il bosco da una prospettiva aerea.
Crossing Africa
Apro gli occhi dopo un breve pisolino e mi affaccio al finestrino. Rimango senza fiato. Sotto di me la Table Bay. Da un lato una lunga spiaggia sull’Atlantico e dall’altro il porto con il suo Waterfront. Un’alta collina, the Lion’s Head, e più sotto la Table Mounting, una lunga roccia, piatta, inconfondibile. E tutto ciò circonda una grande città con i suoi palazzi e le townships con i tetti di latta. Città del Capo o Cape Town, come preferite.
Crossing Africa sta per avere inizio.