Un viaggio in pullman

Meglio mangiare un boccone prima di lasciare Tokyo. Di fronte all’albergo c’è Pentolino 092, ristorante italiano. Un’insalata mista con una fetta di mortadella di Bologna, spaghetti in bianco con verdure simili alle nostre cime di rapa e bianchetti, bianchissimi ma con due occhioni neri ! Tutto molto buono accompagnato da un calice di greco molto fresco. La stazione dei Nohi Bus è di fronte alla gigantesca stazione ferroviaria di Shinjuku, al terzo piano di un enorme edificio. Caricati i bagagli si parte puntualmente. L’autista in guanti bianchi e berretto con visiera. Appena mi siedo il mio vicino, un trentenne, mi offre una bottiglietta di acqua gelata. Un gesto molto cordiale ma non dirà più una parola per tutto il viaggio. Si esce dalla città e si viaggia in autostrada, tutti con le cinture di sicurezza allacciate, silenzio assoluto, c’è chi legge, chi gioca col cellulare, qualcuno dormicchia. Dopo circa un’ora e mezza prima sosta ad un autogrill. Il bimbo seduto dietro di me non scende, ha le cuffiette infilate nelle orecchie, lo fotografo, mi sorride e fa una V con le dita. Come se fosse un famoso artista. Contraccambio con un cinque. Nel frattempo l’autista mette dei ceppi di legno sotto una ruota anteriore (!) ed espone un cartello con orologio: si riparte alle 15,50. Piove leggermente, una rossa Ferrari sfreccia davanti a me. Si riparte attraversando un’area di verdi montagne con una fitta vegetazione. Usciti da una lunga galleria risplende il sole e percorriamo una valle con molti frutteti. Sulla destra appare un lago ed una grande città. Seconda sosta in autogrill, in fondo a sinistra la High-Way Spa Suwago. Nel mercato invece trovo un nuovo acronimo: SPQR = Superiore Precisione Qualità Riservato. Incredibile. Si riparte in direzione di Nagano e lasciamo l’autostrada. La strada tutta curve infila una valle molto stretta, sulla destra un fiume verde ed in fondo una diga. La percorriamo per entrare in una serie di lunghe gallerie, strettissime, il pullman fatica a rimanere entro la riga bianca e quando incrocia un altro mezzo si deve anche fermare. Si fa buio, le montagne diventano scure e sopra i loro profili si scorge un cielo sereno con l’ultima luce della giornata. Di nuovo una sosta ma l’autogrill è già chiuso. Scendo per sgranchirmi le gambe e per la prima volta dopo tanti giorni sento finalmente un po’ di fresco. La strada riprende a salire mentre il traffico si fa scarso. Arrivo a Takayama verso le otto e trenta, mi fiondo in albergo. Ho prenotato una stanza presso il Takayama Station Hostel, per prima cosa bisogna lasciare le scarpe prima di entrare, si prosegue solo in ciabatte messe a disposizione su una lunga scarpiera. Mi viene assegnata una stanza al quarto piano. Entro e trovo una piccola anticamera dove lasciare le ciabatte, la stanza è una camera 4 x 4 metri completamente vuota, un tatami di stuoie, su un lato un futon tutto piegato su se stesso, sul lato opposto pareti fiorate scorrevoli racchiudono un armadio. Prima di mettermi a letto, o per meglio dire, sul futon, vado nel ristorante a fianco: zuppa di miso e oca arrosto avvolta in foglie d’insalata. E come sempre il primo senso da soddisfare è la vista.

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