E’ difficile lasciare il Giappone, per molte ragioni: la pulizia, la puntualità, l’organizzazione, l’ospitalità, la gentilezza (a volte perfino eccessiva) ma soprattutto una profonda cultura accompagnata da antiche tradizioni nonostante la modernità del paese. E poi la cucina così varia e curata, la tradizione dei bagni caldi e tanto altro ancora. Senza ombra di dubbio è stata un’esperienza interessante ma, così come “the show must go on”, il viaggio deve proseguire. Il mio percorso verso Est mi porta ora ad attraversare l’Oceano Pacifico. Ho scelto un volo della Philippine Airlines, via Manila, mi sembrava il giusto compromesso tra un costo contenuto ed un solo scalo. Si sorvolano le isole giapponesi poi il cielo è completamente coperto, questo è periodo di monsoni. Il transfer a Manila è parecchio complicato dovuto alla ristretta normativa canadese. Già al check-in a Tokyo occorre dimostrare di avere l’ETA (il visto canadese corrispondente all’ESTA americano) ed un volo d’uscita dal Canada. Superate tutte le formalità si parte in ritardo di circa 50 minuti. Sono poco più di 11 ore di volo, solo qualche turbolenza. Fino a mezz’ora prima dell’arrivo le hostess hanno tenuto gli oscuranti abbassati, abbiamo visto la luce del sole solo all’inizio della manovra d’atterraggio. Siamo partiti da Manila attorno alle 20 del 22 agosto e, dopo aver attraversato l’Oceano Pacifico, siamo arrivati a Vancouver alle ore 17 dello stesso giorno !!! Tre ore prima della partenza. Fa sempre effetto. Anche quì un’organizzazione perfetta all’arrivo. Ogni passeggero si trova di fronte un grande monitor e per prima cosa deve scegliere la lingua con la quale registrarsi, non le ho contate ma saranno state almeno una quarantina. Praticamente ogni passeggero deve fare una dichiarazione d’entrata nella sua lingua madre. Le domande sono le solite, oltre ai dati anagrafici, il numero del visto ETA, le stupide domande del tipo traporta droga, armi, ecc, è semplicissimo. Alla fine la macchina rilascia uno scontrino e con quello ci si presenta alla guardia di frontiera che praticamente dice thank you very much e dopo un rapido controllo foto / viso dà l’ok a passare. Bene, inizia così una nuova fase di questo viaggio in un paese a me completamente sconosciuto. Mi aspettano un’altra ventina di giorni interessanti.
Sapporo, città dello sci o della birra ?
Per me Sapporo rimane la città dello sci e degli sport della neve. Come non ricordare le XI Oliampiadi invernali del 1972 con un giovanissimo Gustav Thoeni che vince un argento e due ori, “combinata” inclusa. Ma quì non si vedono montagne, neanche in lontananza. Ecco perchè ora Sapporo è per tutti la città della birra, quella con la famosa stella. Ed infatti l’unico vero “monumento” visitabile della città è proprio la vecchia fabbrica della birra Sapporo. Il birrificio nasce nel 1876 dopo che un certo Kihachiro Okura fece visita in Germania. La fabbrica fu avviata proprio per dare un impulso all’economia locale e ora Sapporo è la quinta città del Giappone, moderna, piena di vita. Il centro della movida cittadina è il quartiere Susukino, un conglomerato di bar e ristoranti, di luci e di colori. Un angolo molto particolare è il Ramen Kyowakoku. Praticamente un corridoio anonimo che si imbocca al fianco di un posto di polizia, all’interno una serie di ristorantini specializzati in ramen. E in effetti quì mangio forse il miglior ramen della mia esperienza giapponese, un brodo molto denso, udon, carne di maiale, cipolle, ecc. Un’altra sera mi dedico allo sashimi: tonno rosso e filetti di pesce crudo con noodles freddi. Non è la mia passione ma è stata un’esperienza cenare sul bancone chiaccherando con i vicini. Da Sapporo un’escursione di due giorni al centro dell’isola, di fronte le montagne del parco nazionale del Daisetsuzan dove si trova un vulcano attivo, il Tokachidake. Da un versante si vede uscire del vapore che poi si accumula sulle vette delle montagne circostanti. Al centro di una bellissima valle con terreni coltivati e fitti boschi si trovano Biei e Furano. Tra le montagne si incontra il Blue Pond, un laghetto circondato da abeti e betulle con l’acqua cristallina dove si riflettono le piante e la Lavender Farm, una coltivazione di fiori che si estende su alcune colline. Effetti di colori che ricordano quadri impressionisti. Pernotto al Garden Niji, un alberghetto tutto in legno con vista sui campi di lavanda. Gestiscono l’attività due signore che si siedono a tavola con me e con altri due clienti in modo molto simpatico ed amichevole. Il loro inglese è molto povero, si chiacchera utilizzando l’app di traduzione giapponese/italiano. Sembriamo un pò handicappati, le frasi non sempre sono tradotte nel modo migliore e a volte nascono fraintendimenti. Ma la serata risulta molto divertente. Naturalmente non mancano di farmi trovare la vasca del bagno con l’acqua cadissima, tradizione rispettata. La mattina colazione stra-abbondante con ogni ben di Dio, da segnalare un piatto di vongole con funghi ed aglio davvero buono, ma alle otto del mattino !!!. Comunque me le sono mangiate. A una quarantina di minuti di treno si trova Furano. Questa zona, pur avendo inverni molto rigidi, ha un clima che consente l’allevamento di bovini e la coltivazione dell’uva. Non manco quindi la visita ai due centri di produzione. Furano Chizo Kobò, una sorta di negozio, museo e scuola dedicato al latte e suoi derivati. Nell’area vendita vengono messi a disposizione tre tipologie di formaggi, tutti simili al brie. In particolare ne segnalo uno: il “cuttlefish ink cheese”, al nero di seppia. Un pannello mostra le diverse tipologie di formaggi europei ma uno solo viene messo in evidenza con una forma intera: il Parmigiano Reggiano, il re dei formaggi. Al piano superiore la scuola. Decine di persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, stanno preparando un mascarpone ed una signora sta pensando di preparare un tiramisu. Al piano inferiore, grazie ad un gemellaggio Furano – Napoli del 2007, alcuni pizzaioli giapponesi preparano pizze tipo Napoli con mozzarella locale cotte in un forno a legna. E prima di uscire i gelati dai diversi gusti, ne assaggio uno al pomodoro che però sa praticamente di ketchup. Particolari i coni a sezione quadrata e triangolare. E dopo gli assaggi di formaggio andiamo a berci un pò di vino. Con tre giovani ragazzi milanesi vado al Furano Wine Kojò. Una cantina commerciale per nulla interessante, al piano superiore una degustazione di vini bianchi e rossi ma non di qualità. Le bottiglie vengono vendute anche a 10 o 20 € l’una, andrebbero assaggiate. Rientro in treno a Sapporo per l’ultimo ramen prima di lasciare il giappone: noodles, carne di maiale, mezzo uovo e germogli di soia.
Destinazione Sapporo
Lo Shinkansen dal naso rosso arriva alla stazione di Kakunodate puntualissimo. Si attraversa la campagna e le risaie per poi entrare in una zona boscosa. A Morioka sosta di circa un’ora, giusto il tempo per un caffè e qualche wapp. Un pannello grafico indica con precisione la denominazione dei treni, la loro composizione, l’orario di partenza ed il binario. Non basta, c’è anche un “voi siete quì” per capire meglio quale scala mobile imboccare e dove si fermerà il treno. Vado al binario 14 ed alle 11,46 arriva lo Shinkansen col naso verde. La carrozza 6 si ferma esattamente dove indicato sul marciapiede. Scendono i passeggeri e poi si sale, molto educatamente. Alle 11,48 si parte puntualmente, un carrello offre snack e bevande. Ho sempre il posto assegnato lato finestrino, tra un tunnel e l’altro si alternano piccole città ed aree agricole. Ora la direzione è verso Nord, il cielo rimane sempre coperto. Attorno all’una, senza alcun preavviso, si entra in una lunga galleria, interminabile. In realtà è il tunnel che attraversa il mare e che unisce l’isola principale, Honshù, ad Hokkaido. Un lungo rettilineo a doppio binario, venti minuti sotto l’acqua del mare ed una volta rispuntati all’aperto il capotreno dagli altoparlanti, in giapponese, dà il benvenuto sull’isola di Hokkaido. Mi ritrovo in mezzo ai boschi col cielo sempre coperto. A Hakoidate bisogna cambiare linea. In stazione addetti con cartelli, scritti solo in giapponese, indicano il percorso. Senza nessuna difficoltà mi ritrovo al binario 3 dell’altra linea. Un addetto mi invita ad andare alla posizione G che corrisponde alla carrozza 4. Ora il treno è più normale, anzi quasi vecchiotto, motrice diesel e sbanda parecchio. Dopo aver attraversato una zona agricola si costeggia il mare. La linea ferroviaria segue due golfi poi a Tomakomai si dirige verso l’interno, dopo un tratto soleggiato il cielo si fà completamente grigio. Alle 17,41, non un minuto prima, non un minuto dopo, il treno entra nella stazione di Sapporo.
Un “minshuku” a Kakunodate
Le minshuku sono delle pensioni a conduzione famigliare simili ai nostri B&B. Trovare un minshuku non è cosa semplice per uno straniero. Trovo un elenco nel sito di Akita, il capoluogo della regione. Vengono elencati molti minshuku con una piccola foto, l’indirizzo ed il numero di telefono. Ma come parlare al telefono ? Allora scelgo di contattare quelle poche proposte che hanno anche un indirizzo di posta elettronica. Un paio neanche rispondono, una dice che è occupata, Tadataka è l’unica che mi dà una disponibilità per le notti successive. La mattina, mentre sto per caricare la valigia su un taxi, si avvicina un signore con un foglio di carta in mano. Scritto con un pennarello nero leggo: Dear Oscar. E’ il signor Tadataka che mi è venuto a prendere in auto. Percorro il viale delle residenze dei samurai, tutte in legno nero, e ci dirgiamo verso la periferia della città. Quando ormai prevale il verde l’auto imbocca un vialetto e si ferma di fronte alla casa. Mami Nozomi , la signora, fa gli onori di casa mentre il marito si fa carico della mia valigia. Una serie di inchini di benvenuto e mi fa cenno di entrare. La casa ha una pianta a forma di L, tutta in legno scuro col tetto di paglia dello spessore di almeno mezzo metro. Si entra attraverso la parte più antica della casa vecchia di circa 130 anni. Prima di entrare nell’abitazione occorre lasciare le scarpe e si procede solo scalzi. Superata una sala con un camino al centro la signora mi fa cenno di entrare nella “living room”. Il suo inglese è molto povero ma qualche parola fondamentale riesce a dirla, il resto è solo in giapponese ma i gesti sono chiari. Il soggiorno ha dei bassi tavolini con cuscini a terra per sedersi. E come benvenuto una bella fetta di anguria , rossa, zuccherina, molto buona. Dopo l’anguria la signora pianifica il mio soggiorno: gli orari della colazione (8 AM) e del bagno (6 PM). Mi mostra i depliant con gli orari dei bus per il lago Tazawako e mi prepapra la ricevuta: 10.000 yen per due notti che corrispondono a circa 40 € a notte. Poi mi accompagna nei bagni mostrandomi ogni particolare ed infine ci dirigiamo verso la mia camera: un tatami di stuoia, un tavolino basso con cuscino ed un ripostiglio chiuso da una tenda, al suo interno un futon ripiegato. Un’ampia vetrata con porte in legno scorrevole che dà sul piccolo giardino: piante ed un laghetto d’acqua torbida dove però vivono dei grandi pesci che la signora chiama “carpe” (in giapponese). Dal giardino mi arrivano in camera il canto degli uccelli e lo sciacquio dei pesci che a volte saltano in acqua. Peccato che tutta questa bucolica atmosfera sia rovinata dai rumori che provengono da una strada statale molto vicina. La signora mi accompagna nel giardino di fronte a casa e mi mostra una vasta collezione di piante bonsai, grande passione del marito. Usciti dal vialetto di casa , sul lato opposto, c’è invece il suo orto con molte verdure e fiori colorati. Purtroppo in tutta la casa non c’è una sedia, una poltrona, un posto tranquillo davanti al giardino. Tutto ciò era nelle mie aspettative ma questo è il Giappone. Alle 18,00 arriva Mami Nozomi per informarmi che il bagno è pronto. Un antibagno dove spogliarsi, una sala da bagno con doccia e una vasca di legno, lunga circa un metro e mezzo, ricoperta da assi di legno. Un termometro digitale indica 40°. Dopo essermi docciato rimuovo le assi e mi immergo nell’acqua calda, troppo calda. Riesco a rimanerci per non più di dieci minuti e quando esco mi sento la testa leggera e molto rilassato. Esco per cena ed al mio rientro trovo il il futon steso sul tatami, buonanotte. La mattina colazione in soggiorno: tè verde, riso bollito, zuppa di patate verdure e wurstel, insalata di soja, insalata di verze con carote e zucchine alla julienne, una frittata avvolta e tagliata a tranci con asparagi e cornetti, un filetto di pesce grigliato con tre chicchi d’uva e per finire una fetta d’anguria. Non riesco a finire tutto, per me è davvero troppo tutto questo alle otto del mattino. Le mie due giornate al minshuku passano così tra le passeggiate lungo il fiume, al lago e tra le case dei samurai (che sono più di sette !) Quando è ora di partire la macchina è già pronta fuori casa, il marito carica la valigia e la signora mi saluta e mi ringrazia con una serie infinita di inchini. Contraccambio i saluti nello stesso modo, arigatò, sayonara.
Il Nakasendo, da Magome a Tsumago
Il Nakasendo era una delle cinque strade che durante il periodo Edo (1603 – 1868) collegavano l’antica Edo, l’odierna Tokyo, con Kyoto. Lungo la valle del Kiso, nel bel mezzo delle Alpi giapponesi ricoperte di fitti boschi, alcuni tratti di quella strada sono stati recuperati. Secondo Lonely Planet il tratto più suggestivo va da Magome a Tsumago. Circa otto chilometri di percorso, “una delle esperienze più belle che un viaggiatore possa fare in Giappone”. Come potevo rinunciarvi ? Treno più bus da Seto e zainetto in spalla arrivo a Magome. Un strada pedonale acciottolata percorre il vecchio borgo con il mulino, i canali in pietra dove scorre l’acqua fresca, le antiche case in legno, i fiori e le piante. Uscendo dal villaggio il sentiero entra nel bosco. Ogni duecento/trecento metri trovo una campana che va suonata per allontanare gli orsi con tanto di cartello di pericolo. Forse una vecchia realtà ma io ogni tanto la campana la suono. Attraverso i boschi si arriva al passo, 801 metri d’altezza, siamo al km 2,5. Inizia una discesa lungo un largo sentiero in mezzo al bosco. Seguo un fiume che scorre saltellando tra massi e piante dall’alto fusto. Trovo una “room for rest” ma è troppo presto per fermarmi, voglio almeno superare la metà del percorso. E così quando mancano meno di due chilometri a Tsumago mi fermo in una antica casa adibita a bar e ristorante. Si entra a piedi scalzi, una prima sala col fuoco nel mezzo ed una seconda sala coi tavolini bassi ed i cuscini per sedersi. Mangio una zuppa di verdure e spaghetti integrali, tipo grano saraceno. Superando qualche campo di riso dove le verdi piantine vengo mosse da un piacevole venticello entro in Tsumago. Qualche abitazione rurale, vera, poi diventa inevitabile l’area più turistica. Il “viaggiatore viaggiante” ha completato la sua esperienza e … stanchino … rientra in treno a Seto.
Gokayama Ainokura e Shirakawa-gò
La regione di Hida è un territorio montuoso, molto verde, boscoso, rinomato per le sue carni: le Hida-gyu, il manzo di Hida che normalmente si mangia grigliato. Molto buono, di sapore delicato, sempre molto tenero. Siamo tra le Alpi giapponesi, più o meno al centro di Honshuù, l’isola principale, ed il fatto che siano state chiamate proprio così è perché ricordano le nostre montagne. Nei secoli scorsi alcune valli sono rimaste isolate ed hanno potuto mantenere usi e tradizioni. In particolare è rimasto intatto il modo di costruire le case. Un’ampia struttura in legno con un tetto di paglia spiovente al di sotto del quale ci sono due o tre piani. Lo spessore del tetto è di circa mezzo metro ed è fatto in modo di evitare l’accumulo di neve. Le travi in legno che lo sorreggono sono tra loro legate con grosse corde. Normalmente il piano terra è dedicato alla vita quotidiana: un tatami di stuoie come pavimento, un fuoco al centro per riscaldare l’ambiente, pareti di carta scorrevoli, un piccolo altare dove pregare. I piani superiori sono dedicati alle attività, la più tipica è la produzione della seta ed in particolare dei bachi. Ripiani di canne e paglia sono predisposti per ricevere le uova e fare crescere il baco. Tutto ciò mi ricorda Seta, il libro di Baricco, che racconta proprio la storia di un francese che viene da queste parti per procurare le uova dei bachi. Arrivo a Gokayama Ainokura dopo un’ora abbondante di strade che percorrono valli, boschi ma anche campi di riso che in questa stagione è già alto. Il villaggio è composto da 23 case che qui sono state ricostruite, quasi tutte abitate, con i kimono stesi al sole dopo il bucato. Prima di arrivare a Shirakawa-gò è d’obbligo la sosta a Shiroyama Tenbodai, un punto panoramico che consente di vedere l’intera valle, le risaie, il villaggio. Qui si trovano più di cento case, un’area è stata dedicata a museo all’aperto. Case di benestanti con oggetti antichi, un mulino, un magazzino, tutto ricostruito e conservato perfettamente. Per entrare nel villaggio vero e proprio si supera un ponte sospeso e si entra nell’abitato ormai diventato un centro turistico. E perché non approfittarne ? All’interno di uno di questi edifici un vecchio prepara caffè, solo caffè, come ben evidenziato in un cartello posto all’esterno. Lo si può sorseggiare caldo o freddo, accaldato come sono opto per il freddo e me lo sorseggio seduto per terra, al fresco, davanti ad una grande vetrata osservando un campo di riso.
Un viaggio in pullman
Meglio mangiare un boccone prima di lasciare Tokyo. Di fronte all’albergo c’è Pentolino 092, ristorante italiano. Un’insalata mista con una fetta di mortadella di Bologna, spaghetti in bianco con verdure simili alle nostre cime di rapa e bianchetti, bianchissimi ma con due occhioni neri ! Tutto molto buono accompagnato da un calice di greco molto fresco. La stazione dei Nohi Bus è di fronte alla gigantesca stazione ferroviaria di Shinjuku, al terzo piano di un enorme edificio. Caricati i bagagli si parte puntualmente. L’autista in guanti bianchi e berretto con visiera. Appena mi siedo il mio vicino, un trentenne, mi offre una bottiglietta di acqua gelata. Un gesto molto cordiale ma non dirà più una parola per tutto il viaggio. Si esce dalla città e si viaggia in autostrada, tutti con le cinture di sicurezza allacciate, silenzio assoluto, c’è chi legge, chi gioca col cellulare, qualcuno dormicchia. Dopo circa un’ora e mezza prima sosta ad un autogrill. Il bimbo seduto dietro di me non scende, ha le cuffiette infilate nelle orecchie, lo fotografo, mi sorride e fa una V con le dita. Come se fosse un famoso artista. Contraccambio con un cinque. Nel frattempo l’autista mette dei ceppi di legno sotto una ruota anteriore (!) ed espone un cartello con orologio: si riparte alle 15,50. Piove leggermente, una rossa Ferrari sfreccia davanti a me. Si riparte attraversando un’area di verdi montagne con una fitta vegetazione. Usciti da una lunga galleria risplende il sole e percorriamo una valle con molti frutteti. Sulla destra appare un lago ed una grande città. Seconda sosta in autogrill, in fondo a sinistra la High-Way Spa Suwago. Nel mercato invece trovo un nuovo acronimo: SPQR = Superiore Precisione Qualità Riservato. Incredibile. Si riparte in direzione di Nagano e lasciamo l’autostrada. La strada tutta curve infila una valle molto stretta, sulla destra un fiume verde ed in fondo una diga. La percorriamo per entrare in una serie di lunghe gallerie, strettissime, il pullman fatica a rimanere entro la riga bianca e quando incrocia un altro mezzo si deve anche fermare. Si fa buio, le montagne diventano scure e sopra i loro profili si scorge un cielo sereno con l’ultima luce della giornata. Di nuovo una sosta ma l’autogrill è già chiuso. Scendo per sgranchirmi le gambe e per la prima volta dopo tanti giorni sento finalmente un po’ di fresco. La strada riprende a salire mentre il traffico si fa scarso. Arrivo a Takayama verso le otto e trenta, mi fiondo in albergo. Ho prenotato una stanza presso il Takayama Station Hostel, per prima cosa bisogna lasciare le scarpe prima di entrare, si prosegue solo in ciabatte messe a disposizione su una lunga scarpiera. Mi viene assegnata una stanza al quarto piano. Entro e trovo una piccola anticamera dove lasciare le ciabatte, la stanza è una camera 4 x 4 metri completamente vuota, un tatami di stuoie, su un lato un futon tutto piegato su se stesso, sul lato opposto pareti fiorate scorrevoli racchiudono un armadio. Prima di mettermi a letto, o per meglio dire, sul futon, vado nel ristorante a fianco: zuppa di miso e oca arrosto avvolta in foglie d’insalata. E come sempre il primo senso da soddisfare è la vista.
Tokyo
Tokyo è Tokyo ! Tokyo è la capitale. E’ un oceano di luci al neon, di video pubblicitari, di grattacieli, di treni e metropolitane. Tokyo è una marea di persone che si muove in ogni direzione e non si ferma mai. Tokyo sono decine di città in una: Shinjuku, la zona dell’immensa stazione, Shibuya, la zona giovane e dello shopping, Ebisu, molto chic, Roppongi, ricco e sofisticato, Ginza, Ueno e tante altre ancora che non cito per non annoiare. Tokyo è una città da vivere così, passando da una zona all’altra grazie alla sua efficentissima rete di trasporti, qualche piccolo acquisto, buoni ristoranti e la sera in qualche bar, pub o locale notturno. Kumico ha organizzato una cena per i saluti del gruppo. Andiamo in un ristorante che prepara spiedini di ogni tipo, le regaliamo un grande foglio con qualche piccola frase, le nostre firme con i ringraziamenti e alcune foto. Lei è visibilmente commossa e ringrazia tutti. Riprendo così il mio itinerario da “solo traveler” e visito il quartiere Asakusa che conserva un pò dell’antico spirito Edo. Negozi di artigianato ed il tempio buddhista Sensò-ji con un enorme portale, un ampio cortile con un incensiere il cui fumo restituisce la buona salute ed una pagoda a cinque piani. Superato il fiume Sumida-gawa che attraversa tutta la città arrivo allo Sky Tree. Inaugurata solo cinque anni fa è la torre a struttura indipendente più alta al mondo (634 m). La torre è avvolta da una rete di tubi d’acciaio che alla base è triangolare ma che diventa circolare a 300 m d’altezza. La prima piattaforma panoramica è posta a 350 m, in un tratto il pavimento è costituito da pannelli trasparenti attraverso i quali si vede fin giù a terra. Nettamente sconsigliato a chi soffre di vertigini. La piattaforma superiore è posta a 450 m d’altezza, si sale grazie ad un ascensore che ha le pareti di vetro per arrivare fino al corridoio vetrato dal quale si ha il panorama della città a 360°. Quando la visibilità è buona si può anche vedere il Monte Fuji ma questa non è stagione. E per ultimo il mercato del pesce di Tsukiji. Nell’area dedicata alla vendita all’ingrosso il pesce viene conservato e venduto in scatole di polistirolo ma all’esterno ci sono bancarelle di ogni tipo dove si vende pesce ma anche frutta e verdura, carne, e prodotti d’artigianato. Molte bancarelle offrono ostriche fresche, spiedini di pesce grigliato, composizioni di frutta. Un mare di gusti e di colori.
Hakone e gli onsen
Hakone è nota per i suoi “onsen” ma anche per la bellezza della natura che la circonda. Arrivati in treno da Kyoto per prima cosa attraversiamo in battello il lago Ashino-ko, una lunga perla blu circondata dal verde intenso dei boschi. Lasciamo un lungolago con ortensie azzurre ed i torii del tempio per sbarcare a Togendai. Di nuovo in treno fino a Owakudani dove prendiamo una funivia che sale a Soun-zan, una zona vulcanica, dove si possono vedere i fumi che fuoriescono da piccoli crateri. Lungo un versante la montagna ha assunto una colorazione verde chiaro dovuta alle emissioni dei soffioni. L’olfatto avverte quel tipico odore di uova marcie, tipo Larderello. Ad un tratto vengo chiamato da Kumico che mi indica con grande soddisfazione il monte Fuji. In realtà se ne intravede tra le nubi un piccolo triangolo ma in questa stagione non ci si poteva aspettare nulla di più. Il centro turistico offre una specialità che non manchiamo di assaggiare: le uova nere. Si tratta di normali uova di gallina cotte al vapore geotermico e che assumono questa particolare colorazione. Scendiamo sul versante opposto in funicolare ed in treno ritorniamo ad Hakone dove prendiamo posto in un bellissimo albergo con onsen. Gli onsen sono generalmente bagni comuni con acqua termale. Superato lo spogliatoio si entra nell’area coperta solo se nudi. Per prima cosa occorre fare una buona doccia per poi immergersi nell’acqua caldissima (40°), cinque o dieci minuti sono più che sufficienti. Qui c’è anche una vasca esterna bordata di sassi dalla quale si gode il panorama dei boschi. In questo albergo i bagni sono due, uno per gli uomini ed uno per le donne. Nel corso della giornata però i bagni vengono scambiati ed i teli apposti all’esterno delle porte cambiano colore: rosso per le donne, blu per gli uomini. Posso immaginare cosa potrebbe succedere se un uomo, anche solo per sbaglio, entrasse in un bagno femminile. In camera abbiamo a disposizione un kimono beige ed una giacca di un bel verdone. Scendiamo tutti per cena in kimono e troviamo pronti sui tavoli i coperti già preparati: un fornelletto nel quale sta bollendo il riso, un sushi di pesce, sashimi di gambero, una lumacona di mare, tofu, ecc. Poi ci viene servito il piatto principale: filetto di pesce crudo con mele, tonno rosso, polipo con cetriolo ed un fiorellino commestibile che Kumico chiama basilico. Zuppetta con un raviolone, pesce marinato, carne grigliata con soia e verdure al vapore, e per dessert uno yogurth ed un dolcetto al cioccolato. Sakè freddo per accompagnare l’intera cena. Sembrerebbe una “grande abbuffata” alla Ferreri ma in realtà sono tutti dei piccoli assaggini, alla fine però si è sazi.
Kyoto, città simbolo del Sol Levante
Diciassette siti UNESCO, migliaia tra templi, santuari e palazzi storici, fanno di Kyoto una tra le più importanti capitali culturali del mondo. Oggi la città è moderna, viva e trafficata e chi arriva in treno si trova all’interno di un enorme stabile in vetro, calcestruzzo ed acciaio dallo stile quasi avveniristico. Inaugurato ormai vent’anni fa, lungo qualche centinaia di metri, quindici piani, include centri commerciali, alberghi, centinaia tra bar e ristoranti. E uscendo verso Nord ci si trova di fronte alla Kyoto Tower, oltre cento metri d’altezza, terrazza panoramica e ristoranti. Di notte le sue luci bianche e rosse si stagliano nel cielo buio e diventano un preciso punto di riferimento. Visitiamo la città partendo dal santuario shintoista Fushimi-Inari Taisha con le sue impressionanti gallerie di torii arancioni (due pali verticali ed una traversa) con incisi i nomi dei donatori. Queste gallerie si susseguono nella vegetazione ricca di piante lungo le colline dove si trovano cinque santuari. Dopo un pranzo a base di ramen, la tipica zuppa giapponese che include molti ingredienti, ci portiamo ad Arashiyama per passeggiare attraverso un bosco di bambù. Sensazione bellissima, tutta da godere, tra questi fusti dal diametro di una decina di centimetri, alti almeno una trentina di metri, che terminano con foglie verdi che chiudono completamente la vista del cielo. Seguiamo poi il percorso del fiume che attraversa una stretta valle verde per arrivare fino ad un lungo ponte. Rientriamo in città quando le nuvole in cielo disegnano grosse linee gialle e rosa. Per cena andiamo in un sushi restaurant con nastro trasportatore. Piatti di diverso colore rappresentano le molte tipologie di cibo e si differenziano per i prezzi. La scelta è spaziale: gamberi, seppie e pesci, notevole il tonno rosso, straordinaria l’anguilla bollita (piatto molto tipico), verdure e carni. Incluso nel servizio un buon tè verde. E quando ormai fa buio è il momento delle geishe. Si passeggia per il famoso quartiere di Gion che già nel XVIII era diventata la zona dei piaceri. Case antiche, vie buie con poche insegne, porte chiuse, molto discrete, taxi che arrivano e ripartono proteggendo i passeggeri con un po’ di privacy. Ma niente di particolarmente osè, le geishe non sono prostitute, intrattengono gli ospiti dei ristoranti e delle case di tè, sono simbolo di bellezza ed eleganza. Occorrono almeno cinque anni per apprendere tutte le arti tradizionali tra cui la danza ed il canto ma anche il trucco, l’acconciatura, l’abbigliamento e soprattutto la cerimonia del tè. Turisti in stile paparazzi attendono con ansia queste giovani signore. Noi riusciamo ad intravederne una che corre in modo insicuro sui suoi sandali di legno ed un’altra che cammina baldanzosa e che si fa fotografare con totale indifferenza. Non c’è dubbio, è un’esperienza molto giapponese. La mattina successiva è la volta del Kinkaku-ji, il celebre Padiglione D’Oro. L’edificio principale, completamente rivestito da lamine d’oro, si riflette nel laghetto che lo circonda, tutto intorno una vegetazione elegante, quasi perfetta nei particolari. L’edificio risale al XIV secolo ma nel 1950 un giovane monaco per mettere fine ad una sua ossessione diede fuoco al tempio e lo ridusse in cenere. Cinque anni dopo venne completamente ricostruito. Da lì ci portiamo al Daisen-in, un tempio zen al di fuori delle mete turistiche. Una costruzione bassa in legno con un giardino di pietre, curatissimo in ogni particolare, risalente al 1509. Il giardino racconta in modo metaforico lo scorrere della vita secondo l’approccio buddhista: la nascita che viene rappresentata dalla sorgente di un fiume che scorre come la vita e che finisce nel grande oceano. Di nuovo in treno ci troviamo al castello Nijo-jo, simbolo della potenza militare degli shogun della dinastia Tokugawa nel periodo in cui il potere imperiale vacillava. Superato l’imponente portale si entra nel palazzo vero e proprio dove si trovano cinque edifici in legno con meravigliosi paraventi dipinti con soggetti animali (tigri, uccelli) e floreali. Nel pomeriggio ci dedichiamo alla Tea Cerimony. Entriamo scalzi in una piccola casetta di legno con un tatami di stuoie e pareti scorrevoli. Ad accoglierci una cordiale signorina in kimono azzurro che con un buon inglese ci spiega tutta la cerimonia. La dimostrazione viene invece eseguita in perfetto silenzio da una signora in kimono color avorio con un grande fiocco rosso sul retro. A questo punto ognuno di noi si prepara il proprio té. Si manovra la tazza secondo le istruzioni ricevute, si versano due cucchiaini di té verde, acqua calda, e con un oggetto rassomigliante ad un pennello da barba occorre agitare per qualche minuto la soluzione. Alla fine risulta una crema verde piacevole ma niente di che. La cosa più divertente è tutta la cerimonia. La serata me la passo solitaria tra l’enorme stazione e la Tokyo Tower. Salgo fino a raggiungere i cento metri della terrazza panoramica, mi fermo al terzo piano per un buffet di qualità per scendere al –1 dove trovo tanti chioschi di diverso genere. Concludo con un sakè freddo.