Arrivo in stazione con mezzora di anticipo sull’orario di partenza ed il treno è già lì, pronto, al binario 1. Carrozza 8, condivido lo scompartimento con due polacchi, zio e nipote, ed un ragazzo di Parigi che però sta spesso con le sue amiche nello scompartimento accanto. Questo treno è più moderno del precedente: ampie finestre sigillate, aria condizionata, sedili ricoperti di stoffa ricamata, tappeti lungo i corridoi e negli scompartimenti. Lasciata Ulan Bataar si attraversano le vallate dell’altopiano ma proseguendo verso Sud il panorama si fa piatto, più arido, il verde viene sostituito dal giallo ocra. Dopo le 11 sosta a Choyr e la steppa è sempre più arida, si percorrono chilometri di piatto assoluto. Di tanto in tanto si scorge una tenda ger o dei cavalli che corrono solitari. Vado alla carrozza ristorante per il pranzo. Alle pareti legno lavorato, panche ricoperte di tessuti colorati, un’atmosfera un po’ vintage. Insalata mista, zuppa, manzo con verdure e riso. Molto ben presentato e ben cucinato. Una seconda sosta nel pomeriggio e la Cina si avvicina. Verso le sette di sera arriviamo a Dzamynude, posto di frontiera mongola. La stazione è deserta se si escludono le guardie di frontiera, le porte del vagone sono chiuse, non possiamo scendere. Una agente ritira i passaporti che ci verranno consegnati dopo circa un’ora col timbro d’uscita sul visto. Il treno riparte mentre incomincia a far buio, appare una luna sottile sottile. Circa venti minuti ed arriviamo in Cina. Una bella stazione, ben illuminata, e si intuisce che stiamo entrando nel nuovo impero economico mondiale. Sul marciapiede solo agenti e doganieri, le porte rimangono chiuse. Sale un’agente che ci richiede i passaporti in un buon inglese, controlla se i nostri visi corrispondono alle fotografie, saluta e se ne va col plico di documenti in mano. Inizia la inusuale sostituzione dei carrelli, in Cina lo scartamento è ridotto rispetto a quello russo-mongolo, scelta voluta dai cinesi proprio per evitare “l’invasione” russa. Il treno fa retromarcia ed imbocca una officina dove sono depositati i carrelli cinesi. Mi affaccio al finestrino di fine vagone e con mia sorpresa dietro di noi non c’è più nulla. Allora mi porto sul lato opposto dove vedo l’altro vagone staccato di qualche metro. Tutti i vagoni vengono staccati dagli altri. Ogni vagone viene posizionato in corrispondenza di quattro martinetti rossi. Partono i motori, si avverte qualche piccolo scricchiolio della struttura metallica ed impercettibilmente veniamo sollevati dai carrelli. I vagoni rimangono sospesi a circa un metro e mezzo da terra. Vedo sfilare sotto il mio vagone un trenino di carrelli che vengono poi posizionati nella posizione corretta. Impercettibilmente il vagone viene fatto scendere e quando si appoggia sui carrelli si risente lo scricchiolio metallico. Raggiungiamo la stazione di Erlian e finalmente possiamo scendere. Siamo stati bloccati sul treno per oltre sei ore e per due ore, niente AC e niente ricambio d’aria, bagni chiusi. Finalmente possiamo andare alle toilette della stazione ma è tutto chiuso, non un bar, non un negozio, neanche un chiosco sui binari. Almeno possiamo prendere un po’ d’aria fresca e sgranchirci le gambe. Dopo l’una si riparte e ci stendiamo sulle cuccette. La notte passa tranquillamente. La mattina quando apro gli occhi tutti dormono ancora, guardo fuori dal finestrino e vedo un mondo completamente diverso da quello che avevo lasciato. Verdi colline terrazzate, campi perfettamente coltivati, tutto allineato secondo una logica molto geometrica. Superiamo molti tunnel, tunnel ? Che stranezza ! Breve sosta a Zhangjiakounan, una città moderna con tanti palazzi nuovissimi, solo otto minuti e si riparte. Mentre ancora molti passeggeri dormono vado a fare colazione: te cinese finalmente senza bustina, marmellata ed una frittata che naviga nell’olio. Va bene lo stesso, ieri sera non ho cenato. La carrozza ristorante è molto anonima, moderna, tutto bianco e grigio chiaro. Arrivano le montagne i cui profili si confondono nel grigiore del cielo. Vedo strade moderne, ponti e viadotti, gallerie, qualche fabbrica. Il paesaggio si fa sempre più bello: montagne scoscese, fiumi e laghi. All’uscita di ogni tunnel una vista panoramica diversa dalla precedente. Sono le undici ed arrivano le fabbriche, alte ciminiere e grosse torri di raffreddamento, tralicci ed elettrodotti e nel grigiore del cielo spuntano i primi palazzi. Il treno rallenta ed entra nella stazione.
Il sogno Mosca – Pechino via terra, vecchio ormai di quarant’anni, si è realizzato !