Verso Sud

Lasciamo il lago e si ritorna a Moron. Andiamo verso Sud-Ovest e subito fuori città iniziano le piste della steppa. Le tracce si intersecano, ogni autista sceglie la propria e le auto si incrociano. Pranzo al sacco su un prato verde vicino a dei boschetti. E’ caldo ma il vento ci rinfresca. Uzlii ha organizzato tutto curando ogni particolare: bottigliette d’acqua, khuushuur una specie di “panzerotto” fritto ripieno di carne o verdure, dolcetti. Di nuovo nella steppa, montagne dai dolci profili, grandi branchi di ovini pascolano tranquillamente e spesso attraversano le piste rallentando la nostra velocità. Superiamo due passi con i monumenti che segnano il confine delle diverse provincie. Il cielo è coperto, la terra molto secca, le auto alzano delle lunghe scie di polvere, i finestrini debbono restare rigorosamente chiusi. Ci fermiamo in prossimità di un cimitero di circa 2.500 anni fa. Le pietre inserite verticalmente nella terra sono tombe di guerrieri. Inizia a piovere, ci infiliamo in una stretta valle dove superiamo molti guadi, la strada è molto dissestata, la velocità diminuisce ed i sobbalzi aumentano. Dall’alto vediamo un grosso villaggio molto colorato adagiato in una verde vallata. Entriamo a Jargal, le case sono tutte in legno, di diverso colore, con il tetto spiovente. Qui l’inverno è molto freddo, i – 25° sono la normalità. Superato il villaggio, verso le 18, dopo circa dieci ore di viaggio, arriviamo al ger camp. Ci sono anche le sorgenti calde, dietro le docce c’è una piscina in pietra con una parete in legno di colore azzurro. Da una parte i maschi, dall’altra le femmine. Il cielo si sta aprendo e arriva qualche squarcio di azzurro, poi rapidamente ritorna grigio. Cade qualche goccia di pioggia e appare un arcobaleno che si estende a 180° dal bosco dietro il campo ger fin sul lato opposto per terminare tra le vette di due montagne. Da Nord torna il sereno ed il cielo si colora di rosa sia ad Est che a Ovest, un raro fenomeno. La mattina è fredda, il cielo coperto, si riparte sempre verso Sud. Sosta presso un branco di yak bianchi e neri, condividono il pascolo con mucche e vitellini dal pelo marrone chiaro. Gli animali appartengono ad una famiglia di nomadi che ha la propria ger sul versante opposto della vallata. La madre indossa un deel, l’abito tradizionale mongolo, di colore verde scuro, ed osserva gli animali. Poco più tardi arriva anche il marito con una bimba di circa tre anni. Uzlii ci informa che in Mongolia la tradizione vuole che siano le donne a mungere le vacche e le capre mentre gli uomini si occupano dei cavalli. Superiamo due ponti in legno, gli altri sono guadi. Quando la valle si fa stretta la pista è unica ed i quattro fuoristrada proseguono allineati, sempre la bianca nr. 1 davanti a fare strada. Ma appena si entra in una vallata le piste si moltiplicano, si aprono a ventaglio ed ogni autista sceglie il proprio percorso. Il cielo è grigio ed a tratti piove. Superiamo un valico e di fronte a noi si apre l’ennesima vallata ed appare il lago Tsagaan Nuur, una lunga distesa grigia. Oltre il lago si vedono alcune case in legno e le ger per turisti. Ci fermiamo per qualche acquisto in un semplice store ed arriviamo al Khorgo Ger Camp posto in mezzo alla vallata. Yak, ovini e cavalli pascolano liberi, l’erba qui è piuttosto verde. Per pranzo ci viene servita un’ottima zuppa di verze e carote. A volte le cose semplici sono le migliori. Segue carne di yak in umido con riso bollito e patate fritte. Nel pomeriggio scaliamo il vulcano Khorgo Uul, estinto da diversi millenni. Si sale fino all’orlo del cratere e lo percorriamo lungo il suo bordo. Panorami fantastici si aprono davanti ai nostri occhi: verdi vallate, un piccolo paese e il lago che spunta dietro le montagne. Dopocena il cielo si riapre, mi ricorda il cielo d’Irlanda che “si apre e si chiude con il ritmo della musica” (parole di Bubola), il verde della vallata ora è intenso , il cielo blu. Esco per una passeggiata solitaria e lascio che gli occhi si perdano tra terra e cielo. Nel frattempo un pastore a cavallo avvicina gli yak alla sua ger ed un branco di cavalli corre incustodito. Rientro al ger camp quando inizia a diventare buio ed il vento è molto freddo. Incontro i miei compagni di ger, Trevor e Arturo e decidiamo di farci accendere la stufa. Arriva un addetto del campo con legnetti e fiammiferi, in due minuti la temperatura è piacevole. Ci ritroviamo sorridenti indossando solo una T-Shirt mentre si sente il vento che fischia. La mattina ci risvegliamo al freddo ma il cielo è completamente terso ed il sole fa il suo dovere: ci riscalda. Dopo colazione andiamo a fare una strana esperienza: ci infiliamo attraverso una stretta apertura tra le rocce di lava. Io, ma non solo io, passo strisciando schiena e pancia. All’interno una buia grotta lavica dove troviamo anche un piccolo altarino di roccia con qualche donazione. Alcuni monaci vengono qui per fare della meditazione. All’uscita sembra di essere partoriti da Madre Terra e ogni volta che un corpo fuoriesce si sente un wow o un yea. Andiamo verso un paio di siti dove la lava è collassata e ha creato degli enormi buchi rocciosi e caverne. Ritorniamo sul lago. Oggi, grazie al cielo azzurro, il suo colore è blu intenso. Facciamo un giro in barca a motore mentre piccoli stormi di uccelli prendono il volo lasciando scie nell’acqua. Il pomeriggio si divide tra forti piogge e sole, la fisarmonica del cielo è sempre attiva. Verso sera mi faccio una passeggiata solitaria, verso le rocce vulcaniche del fondovalle. Cammino sull’erba ed un terreno morbido, il silenzio è totale, rotto solo dal vento che colpisce il mio corpo e da qualche uccello che prende il volo. Rientrando verso il campo ger, un pastore a bordo di una moto spinge il gregge verso il recinto. Due giovani donne, allegre e sorridenti, sul bordo del torrente lavano pentole e contenitori per il latte. La mattina successiva lasciamo la zona del lago in direzione Sud-Est. Mentre siamo fermi per il rifornimento delle auto un grosso branco di cavalli attraversa la strada. Un cavallo grigio “inciampa” e cade a terra a gambe levate, dopo tre tentativi riesce a rimettersi in piedi e raggiunge il branco. Sul lato opposto una mandria di yak attraversa la strada in senso contrario. Facciamo sosta al canyon Chuluut creatosi a causa di movimenti tellurici, sul fondo scorre un fiume. Dopo circa un’ora sosta alla roccia Taikhar, un blocco di roccia che si erge solitario nella vallata. Alcuni compagni di viaggio ne approfittano per cavalcare degli yak. Finalmente ritroviamo l’asfalto, anche se a tratti interrotto. Sosta per il pranzo e per la prima volta troviamo del pesce fritto, non è un gran che ma ne approfitto. A Tsetserleg visitiamo il monastero ora trasformato in museo. L’edificio principale, l’unico rimasto dopo la distruzione eseguita dalle truppe russe, ha un porticato e tre tetti verdi tipo pagoda. All’interno un originale ger del XIX secolo in feltro grigio, quadri che rappresentano la vita di alcuni secoli fa, armi, strumenti, ecc. Sulla collina a lato si vede una serie di case perfettamente allineate con tetti colorati. Di nuovo in auto mentre inizia a piovere. Percorriamo una verde vallata che a tratti si restringe. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Tsenher con le sue hot springs. Ci tuffiamo immediatamente nelle piscine di acqua calda, molto calda. Finalmente un momento di relax. La mattina seguente salutiamo l’autista dell’auto nr. 1, deve rientrare in città per un problema famigliare. L’auto nr. 2 prende il nr. 1 ed arriva un nuovo autista. Un’ora di pista sconnessa prima di ritrovare l’asfalto in direzione Sud-Est. Arriviamo a Kharkhorin, chiamata anche Karakorum. Chinggis Khan nel XIII secolo vi stabilì una base logistica, suo figlio Ogdei costruì una vera e propria capitale, attiva, importante anche a livello internazionale. Tutto ciò durò solo 40 anni fino a quando il fratello più giovane Kublai trasferì la capitale dell’impero mongolo in una località all’epoca modesta chiamata Khanbalik, denominata poi Beijing, l’attuale Pechino. Della capitale Kharkhorin non è rimasta traccia anche se un plastico sito nel Museo cittadino ne mostra la grandezza. Da notare come già allora il regime fosse di grande apertura culturale e religiosa, al contrario di quanto sta succedendo nei tempi odierni in Europa e non solo. Oltre ai templi buddhisti in città si trovavano una chiesa cristiana ed una moschea e la tolleranza era considerata un bene comune. Nel 1586 fu fondato il grande monastero buddhista Erdene Zuu (cento tesori). Dopo periodi di alti e bassi fu quasi completamente distrutto dalle truppe staliniane nel 1936, rimane ignoto il numero di monaci deportati o uccisi nei gulag sovietici. Ora rimane una lunga cinta di mura costellata da 108 (numero sacro) stupa bianchi. All’interno un enorme spazio vuoto, sulla sinistra tre templi con un tetti a pagoda verdi. I tre templi sono dedicati alle tre fasi della vita del Buddha: infanzia, adolescenza e vita adulta. All’interno statue del Buddha e dei protettori, tutto è dipinto con dovizia di particolari, il colore prevalente è sempre il rosso. Più avanti in una ger alcuni monaci pregano su richiesta dei fedeli mentre in fondo al complesso si trova un bianco monastero in stile tibetano: il Lavrin Sum. All’interno una decina di monaci prega, canta e suona i tipici piatti, ognuno ha di fronte a sé il libretto delle preghiere. Riprendiamo il cammino in direzione Est. Appena lasciamo la città il panorama cambia repentinamente. Steppa, arbusti e assenza totale di piante. La strada è asfaltata quindi bisogna pagare il pedaggio. In Mongolia si guida a destra ma la quasi totalità delle vetture ha anche la guida a destra. Io sono seduto sul sedile anteriore dell’auto diventata la nr. 1. Seduto sul sedile posteriore Ulzii prepara 4.000 t e me li passa, porgo le quattro banconote al casellante che mi ritorna una ricevuta, l’importo copre il pedaggio di tutte le quattro auto. Arriviamo al Piccolo Gobi dove tra i prati spuntano dune di sabbia finissima. Alcuni compagni di viaggio montano i cammelli, io preferisco una passeggiata sulle dune. Imbocchiamo una pista e poco dopo le cinque arriviamo all’ultimo nostro campo ger. Un piccolo complesso di tende con una costruzione in cemento, il ristorante, posti all’interno di un arco di rocce. Posizione straordinaria, molto panoramica. Aspettiamo il buio, il cielo è parzialmente coperto ma tra una nuvola e l’altra spuntano la Via Lattea ed il Grande Carro. Alcune stelle cadenti sfrecciano attraversando il cielo. Il giorno seguente rientriamo a Ulan Bataar ed il gruppo si scioglie.

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