Volevo arrivare a Gambela in bus (ci vogliono due giorni di viaggio per coprire i quasi 800 km) ma ho preferito prendere un volo. Sono all’inizio del mio settimo mese di viaggio e le energie incominciano a mancare. Circa un’ora di volo e si arriva nell’estremo Ovest del paese, molto vicino al confine col Sud Sudan da dove arrivano centinaia di migliaia di profughi. Sulla pista dell’aeroporto un solo aereo: un cargo del World Food Program. I bagagli vengono consegnati direttamente dai carrelli, esco e non vedo taxi o altri mezzi, ci sono solo i fuoristrada bianchi dell’ONU e del UNHCR. All’ombra di una pianta vedo un mini-bus ormai pieno, è l’unico mezzo che arriva in città. No problem. Lungo la strada veniamo fermati da una mandria di bovini dalle lunghe corna. Arrivo in città e trovo una camera dove soggiornano anche i funzionari ONU e delle diverse organizzazioni umanitarie. Poco fuori dalla città c’è un enorme campo profughi dove oltre 250.000 persone vivono in condizioni disumane. Vorrei andare a visitarlo ma è praticamente impossibile. Esco a fare due passi e vado verso il fiume attraversato da un lungo ponte. Sui due lati centinaia di persone si stanno lavando e fanno il bucato. In acqua ci sono anche auto, bajaj (i tuk tuk locali) camion e furgoni. L’olio e lo sporco dei mezzi si mescola con l’acqua fluviale, poco a valle altre persone si stanno lavando. La mattina seguente voglio andarmene un pò in giro ad esplorare l’ambiente. Arrivo in prossimità di una chiesa di culto ortodosso etiopico. Rotonda, come usa in Etiopia, colorata con i colori nazionali: verde, giallo e rosso. Un altoparlante trasmette la funzione, i fedeli sono tutti all’esterno, tutti molto concentrati, pregano, rispondono al prete, si inginocchiano fino a toccare terra col capo come fanno i musulmani. L’interno è praticamente vuoto, giro attorno alla chiesa e attraverso un’altra porta vedo cinque preti in abiti rossi tradizionali ed un aiutante che regge un ombrello, anch’esso rosso. Sto per scattare una foto, l’immagine è molto interessante, ma un prete mi vede e molto scocciato mi fa un chiaro cenno con la mano chiedendomi di allontanarmi. Rispetto sempre queste richieste e lascio la chiesa. Arrivo in centro dove c’è una rotonda, tutto attorno un traffico di bajaj, auto e carri trainati da asini. Vado verso il mercato dove frutta e verdura e mercanzie di ogni tipo sono stese per terra. Dopo oltre un’ora di passeggiata debbo cedere, il caldo è eccessivo, all’ombra ci sono 42 gradi e al sole ? Rientro in albergo dove mi mangio una fondina di spaghetti al pomodoro, non male. Nel secondo pomeriggio, quando il sole è meno forte, vado alla scuola Don Bosco. Incontro il direttore, brother Giancarlo, di Brescia. Ha poco tempo da dedicarmi perchè è in riunione ma mi conferma che domani ci sarà l’auto per Abobo. Nel bar del cortile incontro due maestri, uno insegna matematica, l’altro l’amarico, la lingua locale. Dopo qualche minuto si lasciano andare, si lamentano che il loro stipendio è troppo basso: 2.500 birr al mese che corrispondono a circa 100 €. Poco più di quanto spendo io in albergo, pasti inclusi, in due giorni. Uno dei due, sposato, mi chiede di fargli da sponsor e di aiutarlo a venire in Italia. Gli spiego quanto è difficile entrare nel nostro paese e sopravvivere da immigrati, forse è meglio rimanere a Gambela ed insegnare.