Sono le 10 del mattino ed il fuoristrada della missione di Abobo è già alla scuola Don Bosco di Gambela. Saluto Brother Giancarlo e partiamo. Con me l’autista, un ragazzo molto utile in ospedale. Prima di lasciare la città ci fermiamo all’ospedale pubblico. Un viavai di persone, un mezzo di MSF. Imbocchiamo una nuova striscia d’asfalto che attraversa la savana. Dopo una decina di chilometri inizia lo sterrato ma riusciamo a tenere una buona velocità. Dopo circa un’ora arriviamo ad Abobo. La strada principale attraversa il villaggio che ha circa tremila abitanti, ai lati negozi e qualche bar, tutti molto “africani”. In fondo al villaggio a sinistra la chiesa e la missione cattolica, a destra l’ospedale, l’Abobo Health Center. Appena arriviamo ci aprono subito il cancello ed entriamo. Vengo accompagnato in ufficio dove incontro Maria, infermiera ed ostetrica, di Saragoza (Spagna) da tre anni ad Abobo. E’ alle prese con un PC che sta facendo le bizze ma interrompe la sua attività per salutarmi e darmi un sorridente benvenuto. Con un chiaro accento spagnolo si presenta e mi accompagna da Maria Teresa Reale di Sesto, fondatrice e direttrice dell’ospedale. Medico, laureata alla Statale di Milano, specializzata in malattie infettive al Sacco ed in malattie tropicali ad Anversa, Belgio. Capelli grigi, stetoscopio al collo, sta visitando i pazienti. Mi saluta in modo molto caloroso e capisco che la mia visita è cosa gradita. Mi viene presentato l’ospedale. La struttura iniziale e stata messa a disposizione dallo stato etiopico ma in seguito la missione, il grande lavoro e la passione di Teresa, gli aiuti delle parrocchie di Sesto, i contributi ricevuti dal Gruppo Sportivo Alpini, i Lions, ed altri ancora, hanno reso possibile l’ampliamento e la costruzione di una nuova ala. Ora, oltre agli ambulatori ed al pronto soccorso, ci sono 40 posti letto, una sala parto, un piccolo centro analisi ed un ecografo fuori servizio. Visito l’area dei degenti, mamme con bambini appena nati o in cura perchè malati o malnutriti, adulti malati o feriti. Un panorama di sofferenza profonda, di indigenza, al limite dell’umana comprensione per chi come me vive in un paese moderno ed organizzato. Solo il lavoro e la passione di Teresa e Maria, e di tutti i loro locali collaboratori, rendono possibile la speranza di vita di queste persone. Prendo alloggio in una semplice ma pulita camera della missione dove incontro anche due volontarie inglesi. Colazione, pranzo e cena si tengono nel grande soggiorno che ha anche delle poltrone ed una TV. Il giorno successivo riesco a documentare la straordinaria attività dell’ospedale. Ore 8,00, entro con Teresa e Maria, sul cancello un cartello vieta la introduzione di armi. Per prima cosa visita alla camera post parto. Durante la notte c’è stato un parto, l’addetta alla lavanderia ha dato alla luce un bel maschietto di 3,5 kg. Nelle ultime 24 ore ci sono state ben tre nascite. In un altro letto una mamma fa ascoltare della musica alla sua bimba nata prematura di 1,4 kg che però ha già raggiunto gli 1,7 kg. E’ avvolta in una coperta colorata ed in fianco c’è perfino un calorifero elettrico. A queste temperature ! Poi con Maria andiamo nella camera pediatrica dove sono ricoverati alcuni bambini malnutriti. Un paio vengono alimentati con sondini e siringhe. Maria ha per tutti grande attenzioni ed un sorriso. Nel cortile alcuni malati hanno steso dei teli e se ne stanno sdraiati, altri sono nei loro letti. Verso le dieci con una infermiera, le volontarie inglesi ed un paio comunicatori, vado verso un villaggio dove si terrà un incontro per l’igiene e la prevenzione. Mezz’ora d’auto per percorre i 18 km tra la boscaglia e raggiungere il villaggio di Bedpul, un piccolo agglomerato di capanne in paglia a base circolare. Bambini sporchi praticamente nudi, donne con abiti molto colorati, tutti con molte collanine al collo e sulla vita. Alcune donne sono sedute per terra e mentre ci aspettano chiaccherano, bevono una bevanda leggermente alcoolica ricavata dalla fermentazione del mais, fumano una lunga pipa che termina con una corteccia di zucca esiccata. All’ombra di una grande pianta si forma una platea di donne e bambini, arriva anche qualche uomo, gli altri sono fuori a lavorare. Il comunicatore incomincia a spiegare le primarie norme igieniche. Qui praticamente tutti hanno la malaria, la TBC, infezioni intestinali e per prima cosa si cerca di evitare lo scambio di tazze (ricavate dalle zucche o da scatole d’alluminio) e delle pipe. Le donne fanno presente che queste sono le loro abitudini a cui non possono rinunciare. L’attenzione da parte di adulti e bambini è alta. Al termine delle comunicazioni le donne fanno presente i loro problemi ai quali infermiera e comunicatore cercano di dare risposta. Inizia poi la distribuzione dei disinfettanti intestinali. Ai bambini fino ai due anni si somministra sotto forma di sciroppo dolce ma nonostante ciò alcuni piangono e non vogliono berlo. A tutti una pastiglia bianca ed un sorso d’acqua pulita. Bambini e adulti accettano la medicina con piacere. Segue la distribuzione di bianche e profumate saponette, donne e bambine apprezzano la cosa e passano minuti a sentire il profumo portandosi la saponetta sotto il naso e sorridendo contente. Terminato l’incontro ci si scambiano saluti molto cordiali e sorrisi molto amichevoli. Di nuovo sul fuoristrada, percorriamo circa cinque kilometri ed arriviamo presso una scuola frequentata dai bambini di una vasta area che copre diversi villaggi. La costruzione è in legno, canne e paglia, la suddivisione in classi è virtuale. Quattro lavagne appese e quattro insegnanti gestiscono quattro classi con alunni di età diverse. I più piccoli imparano l’alfabeto ripetendo le lettere con una cantilena, altri scrivono sulla lavagna, la classe dei più grandi invece sta toccando il tema giustizia, molti prendono appunti sui loro quaderni. Facciamo il giro delle classi partendo dai più piccoli, ad ogni studente, ma anche agli insegnanti, viene dato il disifettante intestinale con un bicchiere d’acqua. Si rientra in ospedale e ritrovo i sorrisi di Teresa e Maria. Una breve pausa pranzo e di nuovo al lavoro, io invece vado ad esplorare cosa succede nel villaggio. In fianco alla missione c’è una pompa a mano per l’acqua, donne, ragazze e bambine si alternano alla pompa. L’acqua viene immessa in taniche di plastica gialla e poi via col carico sulla testa verso casa. Passeggiando la gente mi sorride, mi saluta con un “salam”. Dei bambini di due e tre anni giocano con un mucchio di terra, appena mi vedono mi vengono incontro e mi tendono la mano per salutarmi. Per rendere tutto più agevole mi abbasso alla loro altezza e dopo avermi stretto la mano il primo con grande coraggio mi tocca i capelli. E’ per loro una grande novità, capelli lisci e bianchi. E dopo aver esplorato la capigliatura uno prova a toccare la barba. E’ fatta, tutti con le mani tra barba. La infinita curiosità dei bambini. Ad Abobo la novità di oggi si chiama zucchero. E’ arrivato un camion che ha consegnato sacchi di zucchero. Prima arriva l’auto dell’ospedale che se ne porta via un sacco per i degenti e per il personale, più tardi inizia la distribuzione. Si crea una fila molto paziente ed educata e tutti si comprano un kilo di zucchero pesato su una bilancia manuale. Arriva sera e chiedo a Teresa: dimmi cosa ti serve, cosa ti manca, dammi una idea sulla quale poter lavorare. La risposta non si fa attendere: un nuovo ecografo ! Serve per visite ginecologiche, epatiche ed all’apparato urinario. Bene, appena torno in Italia partirà una raccolta fondi. Entro giugno l’Abobo Health Center avrà un ecografo. Promesso ! E con questo obbiettivo il gorno seguente lascio Abobo con l’intenzione di tornarci presto per fotografare il nuovo ecografo.