Darwin con un pizzico di follia

Un viaggio di questo tipo richiede anche un pò di follia. Ero a Melbourne, e nel soggiorno mi stavo organizzando le tappe successive. Non c’era verso di prenotare un posto sul treno da Adelaide ad Alice Springs, il famoso Ghan Train. Ma tra i miei sogni c’era questo treno e non volevo rinunciare al viaggio.
Dopo aver prenotato l’auto a noleggio da riconsegnare ad Adelaide e gli alberghi per le notti successive, mi son fatto prendere dalla mia follia ed ho preso la decisione. Pur di arrivare col mitico treno ad Alice Springs, nel centro del paese, mi prenoto un volo per Darwin, all’estremo Nord, e da lì The Ghan Train di nuovo in direzione sud. Così, lasciata la macchina in modo rocambolesco all’aeroporto di Adelaide, volo su Darwin (tre ore e mezza), arrivo in albergo a mezzanotte facendo un complicato check-in automatico e la mattina seguente riesco a prendermi il mio Ghan ! Folle … ma fatto

Barossa Valley

La Barossa Valley è situata una cinquantina di kilometri a Nord di Adelaide. I primi immigrati arrivati in zona erano di origine tedesca, prevalentemente dalla Prussia e dalla  Slesia. Qualcuno di loro portò con sè delle talee di uva e così attorno al 1850 iniziò un’attivita che oggi è molto fiorente. In quest’area si produce oltre il 20 % del vino australiano e la zona è diventata famosa anche per la cucina. Insomma, dell’ottima enogastronomia. Le colline hanno dolci profili e sono per lo più ricoperte d’erba secca e da verdi vigneti. Quì siamo in piena estate quindi l’uva è ancora in fase di maturazione ma la vedo già quasi pronta per la vendemmia. I paesi sono un misto di case coloniali nel vecchio stile inglese e chiese luterane coi tetti spioventi ed i campanili a punta. Sembra di essere in Baviera o giù di lì. E difatti lungo la strada principale di Tanunda c’è la Die Barossa Wurst Haus Bakery che offre wurstel viennesi e tedeschi. Nel vecchio ufficio postale ha sede un piccolo museo con vecchie fotografie in bianco e nero, abiti antichi, vecchi utensili, mobili d’epoca. L’ingresso al museo è molto curioso: si passa attraverso un negozio di biciclette con un forte odore di gomma. Fuori dal paese si incontra Le Château, una azienda vinicola antica e molto rinomata, un vero palazzo d’epoca in pietra con grandi cantine piene di botti. Qui ha fatto visita anche Barack Obama così oggi viene proposto un vino a lui dedicato al costo di 49 $, circa 32 € a bottiglia. Io assaggio un sauvignon blanc, molto fresco e di corpo. Per pranzo vado presso l’azienda Pindarie che mi è stata consigliata dalla receptionist dell’albergo. Siamo qualche kilometro fuori dal paese, tutto attorno prati e vigneti. La costruzione esterna non dà l’idea del calore interno, un banco per la degustazione dei vini ed un camino per l’inverno. Oggi invece è una giornata molto calda e tutti i ventilatori sono accesi. Ordino un lamb pie, favoloso. Un tortino molto croccante ripieno di agnello stufato e patate, accompagnato da una fresca insalata ed olive. Lo abbino con un ottimo shiraz. Sulla strada verso Adelaide mi fermo al visitor centre della famosa Jacob’s Creek. Una costruzione molto moderna costruita tra le vigne dove si organizzano degustazioni. Approfitto dell’offerta di un assaggio gratuito e poi via di corsa verso l’aeroporto destinazione Darwin.

Great Ocean Road

Arrivo sulla Great Ocean Road da Woodend, la mia prima sosta è Torquay. Una lunga spiaggia, una scogliera ricoperta d’erba e le lunghe onde dell’oceano. Torqauy è considerata la capitale nazionale del surf, esiste persino un museo. Una bella passeggiata sulla spiaggia col tramonto, cena a base di pesce ed insalata, pernotto in un ostello. La mattina colazione sulla spiaggia mentre le lezioni di surf sono
già incominciate. Mi metto alla guida, la strada si fa subito interessante, panorami mozzafiato sull’oceano,
saliscendi e curve. Si passa per il leggendario “point break”, lungo la Bells Beach, considerato il miglior punto da parte dei surfisti. Arrivo ad Anglesea, deviazione per ammirare un faro di fine ‘800, ben tenuto, tutto bianco con la cupola rossa. E’ un continuo sostare per ammirare i panorami, quando scendo dall’auto non riesco a trattenere gli wow ad alta voce. Arrivo ad Apollo Bay, una bella spiaggia ma il lungomare è troppo costruito ed affollato. Quando decido di ripartire mi accorgo di aver parcheggiato l’auto proprio di fronte a La Bimba, ristorante segnalato da LP. E’ l’una e mezza ed un pranzetto potrebbe starci. Il ristorante è al primo piano, tavolino con vista sull’oceano. Chardonnay con olive ed un ottimo piatto: blue eye, un filettone di pesce con carne bianca, accompagnato da cozze e piselli, molto buono. Riparto e la strada devia nell’entroterra, erba secca, piante, capre e mucche, ed i famosi certelli gialli “attenzione attraversamento canguri”. A metà pomeriggio sosta per un caffè presso una stazione di servizio. Un vecchio distributore e all’interno un bar trasformato in museo. Paul, un tipo molto simpatico che mi prepara il caffè, sembra anche lui appena arrivato dagli anni ’70. Mi saluta con un ciao e sono di nuovo sulla strada. Un’oretta di guida ed arrivo ai Dodici Apostoli. Credo che sia uno dei più belli spettacoli naturali al mondo. Questa volta rimango senza parole, riesco solo a dire noooooooooo. Una scogliera a strapiombio sull’oceano, la spiaggia ed i faraglioni che spezzano le onde. Alcune rocce sono quasi delle torri, altre sono più massicce, tutte hanno la base erosa dalle acque. Una torre si è sgretolata in mare nel 2005 ed un arco naturale è crollato nel 2009, ora le rocce principali sono solo sette. Sul lato opposto del capo ce ne sono altre due. Facciamo un pò di storia sul nome che appare curioso perchè le
rocce non sono dodici. Fino agli anni ’60 le formazioni rocciose erano conosciute come “la scrofa ed i maialini”. In seguito, per attrarre più turisti, vengono chiamate, “apostoli” e poi viene aggiunto il numero di dodici. Le due rocce situate sul lato opposto del capo vengono chiamate Gog e Magong. Io comunque non riesco a lasciare il luogo, sono stupito e decido di pernottare in zona. Vedo una indicazione: Twelve Apostles Motel, lo seguo. Tre kilometri di strada sterrata tra i campi d’erba secca ed arrivo in un luogo piacevole, qualche pianta e costruzioni in legno. La camera è un pò cara ma in ogni caso decido di rimanere. Questo mi consente di vedere i “dodici apostoli” nelle diverse condizioni di luce e mi permette di scattare foto molto diverse tra loro (vedi la galleria). La mattina successiva riparto e trovo lungo la strada altre meraviglie disegnate dalla natura. La prima è il Loch Arge Gorge, una piccola spiaggia racchiusa dalla scogliera che disegna un elisse quasi completo, lo spazio lasciato libero alle onde del mare è molto ristretto. Notevole la vista dall’alto ma è anche possibile arrivare fin sulla spiaggia grazie ad una scala di legno. Anche quì una storia da raccontare. Nel 1878 il veliero Loch Arge naufraga proprio di fronte a questo pericoloso tratto di costa. Cinquantadue persone morirono, solo Eva Carmicheal, 18 anni, che viaggiava con la propria famiglia di immigrati irlandesi e Tom Pearce, giovane marinaio, si salvarono. Dopo alcune ore di nuoto Tom riuscì a raggiungere la riva ed udì Eva piangere e gemere in mare. Tom ha lottato un’ora per strappare Eva dai marosi per poi adagiarla in una grotta. Una volta salvi si addormentarono. Al risveglio Tom si arrampicò sulle rocce e corse in cerca di aiuto. Allora non c’era la Great Ocean Road e la zona era quasi disabitata. Tom, aiutato da un paio di lavoratori della vicina
Glenaple Station, riuscì poi a mettere in salvo Eva. Questa non è una leggenda, come potrebbe sembrare, ma storia vera e mi è piaciuto raccontarla. Proseguo ed arrivo ad un arco naturale di roccia poggiato sulla scogliera. Qualche kilometro più avanti incontro il London Bridge, un altro arco naturale staccato circa una ventina di metri dalla scogliera. Anche quì l’erosione del mare ha recentemente cambiato il panorama. Originariamente gli archi erano due ma nel gennaio del 1990, improvvisamente, l’arco unito alla costa si è frantumato lasciando isolati due turisti che fortunatamente erano sul secondo arco. Un elicottero li ha tratti in salvo ed ora il “bridge” non c’è più. Poco più avanti un’altra sosta: “Il Grotto” un’altro arco naturale frutto dell’erosione marina ma poggiato sulla terraferma. Con tutte queste soste e queste meraviglie la strada non rende. Attraverso una zona agricola ed entrando a Warrnambool vedo una grande fabbrica di latte e latticini, di fronte c’è il Cheese World. Un negozio di prodotti locali, spaccio di formaggi con degustazione gratuita, sala ristorante con affreschi un pò kitsch che riproducono mucche e verdi panorami. Mi ordino un tagliere di carne affettata e prosciutto, assaggi di formaggio, insalata ed un bicchiere di shiraz australiano. Tutto molto buono e appetitoso ma la strada è ancora lunga. Mi rimetto al volante, la Great Ocean Road è terminata ma debbo raggiungere Adelaide. Ora attraverso una
zona piena di boschi coltivati con altissimi pini. Superata Kingston la Princes Highway segue la costa ed attraversa il Coorong National Park, un’area molto verde lungo il mare. Nel frattempo il sole tramonta ed il cielo molto sereno diventa rosso e poi buio. Arrivo a destinazione, la Barossa Valley, che è già mezzanotte.

Picnic at Hanging Rock

Il 14 febbraio del 1900, il giorno di San valentino, una ventina di ragazze ed alcune insegnanti di una scuola privata di Woodend (circa 70 km da Melbourne) organizzano una gita a Hanging Rock per un picnic. Il luogo è stato sempre considerato sacro e magico dagli aborigeni Wurundjeri. Si tratta di rocce di origine vulcanica che hanno subìto un’erosione nel corso dei millenni e che dopo la glaciazione si sono spaccate.
Torniamo al racconto, il gruppo arriva verso l’ora di pranzo e dovrebbe rientrare per le 5 del pomeriggio, prima che faccia buio. Un’ora prima della prevista partenza alcune ragazze propongono una breve passeggiata tra le rocce e così in quattro lasciano il gruppo. Dopo molte ore solo Edith ritorna al punto di partenza. Ha perso la memoria e non ricorda più cosa è successo tra le rocce. Nel frattempo anche una insegnante si allontana e sparisce. Il gruppo rientra ma nonostante le ricerche dei giorni successivi Miranda, Marion, Irma e Miss McCraw non si trovano più. Una settimana più tardi Irma viene ritrovata ferita e senza memoria. Dopo alcuni mesi il “College Mystery” fallisce e un’altra ragazza muore, la direttrice si suicida. Questo in breve è il racconto di “Picnic at Hanging Rock” libro scritto da Joan Lindsay dal quale è stato tratto l’omonimo film diretto da Peter Weir, che ha girato anche il più famoso “The Truman Show” nominato per l’Oscar. Il film non è molto famoso, ha avuto successo a Cannes dove è
stato presentato ma è tuttora considerato un “cult movie”. Io l’ho scoperto casualmente quando L’Unità diretta da Veltroni allegava video-cassette VHS. Per me è un film imperdibile, inizia come una storiella, diventa un thriller ed ha un finale che rimane sospeso. Per arrivare ad Hanging Rock occorre andare verso il Mt. Macedon, un vulcano non più attivo. Io arrivo in auto, col languorino, e prima di incamminarmi sulla montagna non faccio un vero e proprio picnic ma uno spuntino con gli avanzi di casa: Ritz e Grana Padano. Poi salgo lungo il sentiero, mi arrampico tra le rocce, e dall’alto si gode un panorama su
tutta la pianura circostante. Prati secchi color ocra e piante disseminate quì e là. Non ci sono le cicale,
o qualche animale simile, che nel film creano un’atmosfera particolare, si sentono solo le voci dei turisti.

I locali di Melbourne

Melbourne, città di quattro milioni di abitanti, è famosa per l’arte e la moda, lo shopping, la cultura del caffè, i suoi bar e la buona cucina. Ho voluto quindi dedicare un capitolo a parte sull’argomento. La prima sera vengo attratto da “La cà dei vin”, sulla Bourke Street ancora tutta illuminata con campanelle rosse. Un ristorante italiano ricavato tra i muri di due case, una tenda rossa come tetto ed un arredamento in legno molto spartano. Mi serve una ragazza sarda. Il menù ha un’ottima scelta di piatti italiani e di vini australiani. Tanto per cambiare un po’ scelgo ravioli (è mesi che non ne mangio) col ripieno di ricotta (particolarmente buona) e spinaci, conditi con burro fuso di grande sapore. Li accompagno con un ottimo Sangiovese della Barossa Valley (vicino ad Adelaide, è in programma per i prossimi giorni), un vino di corpo, un gran profumo ed un ottimo sapore. Non avrei mai pensato che anche il Sangiovese potesse essere prodotto in Australia e la sorpresa è stata del tutto piacevole. Il secondo giorno sono a St Kilda, un quartiere sul mare con molte case coloniali ben ristrutturate. Non c’è dubbio che qui il ristorante con la giusta atmosfera è il Claypots, il preferito dagli australiani. Due vetrine sulla strada principale ed uno spazio per la musica live. La specialità della casa è il pesce cotto nei tegami di terracotta, i claypots appunto, ma arrivo troppo presto e poi, a causa dei pinguini, a cucina già chiusa. Allora opto per La Roche, LP lo consiglia “a colpo sicuro”. Il piatto del giorno è pollo con prosciutto (?) ma preferisco una pizza (discreta) e birra. Meno di 12 € ! La sera invece scelgo Rococò sulla Esplanade, un viale alberato con palme. Scelgo tagliatelle con cozze, fave, molto aglio e molto piccante. Un buon Pinot Grigio del Veneto. Pessima la professionalità dei camerieri, ordino Pinot Grigio e mi dicono: red wine ? Incredibile per un locale così di tono. Il giorno successivo sono sul versante orientale. Per pranzo mi prendo involtini (vietnamiti) di carta di riso ripieni di verdure e gamberi che consumo “a casa”, sul terrazzo. Molto buoni e freschi. La sera passeggio nella Chinatown strapiena di ristoranti. Vado al Hu Tong Dumpling Bar in una viuzza d’angolo con la Little Bourke Street che è la via principale della Chinatown. Un locale su due piani, calda atmosfera, il personale in divisa nera. Mi fanno accomodare al piano terra, dal mio piccolo tavolino posso vedere la cucina attraverso una grande vetrata. All’interno cuochi in camicia e baschetti neri, con grembiule bianco, preparano centinaia di ravioli , i “dumpling” appunto, che vengono poi cotti al vapore nei cestini di bambù. Se ne vedono decine impilati l’uno sull’altro pronti per essere usati. Il menù è molto vario, io scelgo i ravioli al vapore col ripieno di gamberi. Ottimi. Ordino anche “chinese broccoli” all’aglio. Si tratta di una verdura a foglie larghe, simile agli spinaci, ma il gambo ed una piccola inflorescenza li fa assomigliare ai nostri broccoli. La scelta del vino è interessante. Ci sono i soliti vini australiani, italiani, neozelandesi, ecc. Leggo una frase: “i vini bianchi italiani hanno nomi esotici, ma sono secchi e ben bilanciati. Santa Barbara è stato per lungo tempo il mio vino preferito e si accompagna molto bene con il cibo qui a Hu Tong”. Non potevo che scegliere un Santa Barbara – Le Voglie, Verdicchio delle Marche del 2010. L’ultima giornata è decisamente più europea. Mentre passeggio sulla Hosier Lane, la stradina piena di murales, mi fermo da MoVida. Un locale molto carico di atmosfera, entrando una bellissima collezione di bottiglie San Pellegrino, sala con tavolini ma il bello è stare seduti sugli sgabelli di fronte al bancone. Il nome tradisce l’origine spagnola, qui le specialità sono le tapas. La scelta dei vini molto ampia. Per sciacquarmi la bocca inizio con uno spumante brut spagnolo, Valformosa, fresco e secco. Segue un Saddleback, pinot grigio neozelandese. Un ottimo profumo ed un sapore molto fruttato. I vini accompagnano due tapas, belle da vedere e di ottimo sapore. Un filetto d’acciuga con salsa di pomodoro presentato su un crostino ed un filetto di mackerel che arriva fumante in una piccola terracotta nera. LP lo cita con una grande stella nera, concordo con la segnalazione, MoVida è una emozione che coinvolge almeno tre sensi. La sera The Irish Pub, sopra l’entrata un bandierone irlandese, l’interno tutto legno. Salgo al primo piano dove una coppia di ragazzi suona dell’ottimo rock. Mangio un Guiness Tower Burger, un cheese-burger presentato nel solito panino con una torre di anelloni di cipolle fritte. Patatine fritte ed una Guinness, of course. A casa un buon the aiuta la digestione.

Il soggiorno a Melbourne … col soggiorno

Per il soggiorno a Melbourne scelgo una formula un po’ diversa dal solito. Anziché il solito albergo o B&B mi prenoto un appartamento. Quaranta metri quadri ben arredati, un terrazzo con vista sui grattacieli. Bagno, camera da letto e soggiorno appunto, con cucina a vista. A disposizione tutti gli elettrodomestici, stoviglie e tutto il necessario per le colazioni, incluso latte e cereali, burro e marmellata, ecc. Melbourne è una città molto viva, moderna, tram che sferragliano e persone ben vestite che lavorano negli uffici dei grandi palazzi e dei grattacieli. Il giorno dell’Epifania vado a St. Kilda, un lungomare ventoso con sabbia molto fine. Un antico Luna Park, inaugurato nel 1912, un teatro, la marina ed il famoso St Kilda Pier. Un lungo molo che termina con un ristorante, una antica costruzione in legno, e una passerella in legno su una spiaggetta. Qui vive una colonia composta da circa mille pinguini che si fanno vedere solo dopo il tramonto. E difatti verso sera sulla passerella si raccolgono centinaia di persone. I pinguini si fanno attendere. Il tramonto colora di rosso fuoco il cielo sull’oceano ma loro non si vedono. Cresce un po’ di impazienza da parte degli spettatori ma tutto ad un tratto si vedono arrivare degli animaletti che spuntano dal pelo dell’acqua. Arrivano una decina di pinguini, attraversano la spiaggetta e salgono goffamente sugli scogli. Si avvicinano alle persone senza paura, uno parte sparato e corre sul molo inseguito da grandi e piccini con telefonini e macchine fotografiche. Ormai è buio, il vento è freddo, mi avvio verso casa. Per la visita della città seguo il percorso consigliato dalla Lonely P. Dopo aver seguito lo Yarra River entro nella stretta Hosier Lane, praticamente un vicolo lastricato i cui muri sono tutti ricoperti da stravaganti murales. Una moderna galleria d’arte a cielo aperto. Anche i cassonetti dell’immondizia sono tutti colorati. Su un muro un foglietto con la scritta “dry paint”, in un angolo bombolette spray abbandonate, sono la conferma che i murales sono in continua evoluzione. Una decina di metri più avanti noto uno “studio fotografico a cielo aperto”. Una coppia di sposi, lui in abito nero e papillon, lei in abito bianco tradizionale, sono venuti qui per le foto ricordo in Lamborghini bianca. La scena attira decine di persone, tutto si conclude quando il motore “made in Sant’Agata Bolognese” viene acceso e con una sonora retromarcia l’auto si allontana. Proseguo zigzagando fino alla Parliament House, una grigia e severa costruzione con colonnato e scalinata. Raggiungo così la Chinatown con le sue antiche case ben tenute, i ristoranti, gli archi in legno colorato. Da appassionato di cinema non perdo la visita allo Australian Centre for the Moving Image, il museo del cinema australiano. La storia del cinema australiano è abbastanza recente, diciamo che risale agli anni 60 / 70, non ha dei grandi capolavori ma alcuni film sono da ricordare. A parte i famosi Mr. Crocodile Dundee ed il più recente Australia con la Kidman, “Priscilla la regina del deserto” che ha vinto l’Oscar per i costumi (visto in TV prima di partire), io ricordo con particolare emozione “Gli anni spezzati” e “Picnic at Hanging Rock”. Il museo è allestito in un bel palazzo moderno con un ampio atrio. Di fronte una sala multimediale dove sono esposti oggetti storici e vengono proiettati spezzoni di film. La galleria 1 è invece dedicata ai costumi, sono esposti abiti indossati da Bette Davis, da Tony Curtis ne “A qualcuno piace caldo” e statuette (sembrano originali) degli Oscar Awards. Immancabile la foto del sottoscritto al loro fianco. La galleria 2 invece è dedicata ad una mostra temporanea intitolata “Il Manifesto” dove vengono proiettati su grandi schermi tredici interpretazioni di Cate Blanchette, anch’essa australiana.

 

E 100 !

Con oggi sono passati esattamente 100 giorni dalla partenza ! La salute è buona, mi sento in forma, il morale è alto. La crisi del quarantesimo giorno è lontana e superata. Rientrato a Yangoon dopo la settimana di vacanza al mare mi è sembrato di incominciare a pedalare in discesa. Sono arrivato a Yangoon, mi sono presentato all’hotel Panorama (dove dovevo incontrare il gruppo di G Adventures il giorno seguente) e senza prenotazione ho trovato la camera. In bagno, la tenda della doccia aveva un disegno con tanti pinguini. Non so perché ma ho colto questa cosa come un messaggio positivo: raggiungo l’Antardide. Ora la crociera antartica non è così tanto lontana. In fin dei conti debbo “solo” attraversare il Pacifico 🙂 Gooooo

Treno notturno, destinazione Melbourne

Decido di fare questo tratto in treno e trovo solo un biglietto di prima classe, niente da fare per le cuccette. Le poltrone però sono molto comode, ricordano quelle dell’aereo ma con oltre un metro di distanza tra l’una e l’altra. Il treno parte puntuale ed ha un ottimo servizio bar / ristorante. La notte passa tranquilla, dormicchio, poi albeggia. Attraversiamo lande un po’ desolate con alte erbe giallastre e piante. Sui prati si vedono vacche di tutte le razze ma ad un tratto una grande sorpresa. Il mio primo canguro ! Lo vedo vicino alla linea ferroviaria, appoggiato sulle sue grandi zampe posteriori. Quando passa il treno, forse spaventato o semplicemente disturbato, inizia a correre saltarellando e sparisce in lontananza. Più tardi appaiono i contorni di molti grattacieli, stiamo per raggiungere il centro città.

Sydney

Sydney è una grande città con 4,5 milioni di abitanti, costruita attorno ad una frastagliata insenatura naturale profonda oltre 20 kilometri. Le sue origini risalgono al 1788 quando ci sono stati gli sbarchi dei primi europei. Nel tempo si è poi trasformata in un grande porto con alle spalle grattacieli moderni
che ricordano Manhattan. La città è molto estesa e trovo i suoi abitanti calmi e rilassati, le megalopoli asiatiche sono ormai un ricordo lontano. Quì tutto è ben organizzato, pulito, ben funzionante. Finalmente posso usare l’acqua dei rubinetti e mangiare insalate, i bagni sono puliti e le lenzuola degli alberghi non sono più un problema. Passo le prime giornate con Kristian ed i suoi amici orientali che soggiornano in una villetta dove si affittano camere. Gli ospiti sono tutti giovani o giovannissimi, non bastano due di loro per fare la mia età ma sono accolto da tutti con molta simpatia. In auto andiamo a Bondi, la famosa spiaggia frequentata quotidianamente dagli abitanti della città. Una mezzaluna di sabbia fine e tanti surfisti. Quando Kristian riparte verso Brisbane prendo albergo in centro, vicino alla Central Station.
Vado così alla scoperta della città, passeggio lungo la George Street, un lungo viale che la attraversa fino al porto. Sulla destra incrocio una elegante galleria tutta illuminata: The Strand, costruita nel 1891. Tre piani, negozi, bar e ristoranti, luci e addobbi natalizi. Mi fermo da “Romolo – Espresso e cucina” e finalmente riesco a mangiare la mia prima insalata: rucola con fettine di mela verde, noci, ricotta e gorgonzola. Che meraviglia ! La sera invece per cena mi fermo da Phillip’s Foote nella vecchia zona ristrutturata vicino al porto. Una originale facciata in legno verde ed uno stile molto particolare: la carne cruda è esposta in un banco pieno di luce, è carne fresca con un bel colore rosso, costate, filetti, agnello, ecc. Opto per un filetto da tre etti alto almeno un paio di centimetri. Lo pago ed al bar mi prendo una bella birra alla spina. A questo punto il cliente va verso la griglia e si cuoce la carne. Io seguo le indicazioni del cameriere: cinque minuti di cottura per parte e rimarrà tenera. A carne cotta si possono avere patate bollite ed arrosto e ci si può servire al buffet delle insalate. Che bontà, mi mancavano tutti questi gusti e la carne è davvero molto saporita e tenera. Il giorno successivo invece pranzo al “Caminetto” sempre nella vecchia area del porto. “Spaghetti al dente” (ma non troppo) con una buona salsa di pomodoro ed un quartino di vino rosso. Per la visita del quartiere antico mi affido alle indicazioni della LP, seguo l’itinerario “The Rocks”. Così viene chiamata questa parte della città. Quì sbarcarono i primi europei nel 1788, quì hanno costruito le prime case, le prime strade, i primi pub ed i ristoranti. La zona era frequentata da ubriaconi e controllata da bande, prima di loro c’erano solo alcune tribù che vivevano in modo quasi primitivo. Passeggiando attraverso il quartiere si possono ancora vedere le case dell’ottocento ora traformate in bar e ristoranti ma anche alcune abitazioni lasciate così come erano agli inizi del novecento. La visita del quartiere si conclude nel “The Rocks Discovery Museum” sito all’interno di una vecchia abitazione. Suddiviso in quattro sale si passa dal periodo Warrane (pre-1788) poi la colonizzazione (1788-1820) il porto (1820-1900) e le “Trasformazioni” che arrivano fino ai giorni nostri. Un interessante percorso per capire l’evoluzione della città e del paese. Un’altra visita considerata irrinunciabile dalla LP è lo MCA Museo di Arte Contemporanea. Una costruzione moderna costituita da cubi bianchi e neri, da un lato la George street, sul lato opposto grandi vetrate che portano verso il porto. Io non amo l’arte contemporanea, specialmente quella più incomprensibile, quì però ci sono alcune sale molto interessanti dove sono esposti quadri di artisti aborigeni dell’isola di Tiwi, nel Nord del paese, vicino a Darwin. I colori prevalenti sono il bianco, il nero, il marrone e tutti i colori della terra dal giallo ocra al rosso argilla. La sera, treno notturno destinazione Melbourne.

The Beatles at the Opera House

Dopocena passeggio sulle terrazze della Opera House, sono quasi le 8. Dietro i grattacieli, mentre il sole tramonta, appaiono dei raggi che illuminano alcune nuvolette. Il sole sembra trasformarsi in un riflettore, passano alcuni minuti ed il fenomeno svanisce. Proseguo la passeggiata lungo le terrazze ed arrivo di fronte alla porta d’entrata della Opera House. Entro per curiosare e sento della musica. Chiedo ad una maschera che spettacolo è in scena e mi sento rispondere che ci sono oltre due ore di Beatles. Aggiunge inoltre che lo spettacolo è iniziato solo da due minuti e che i biglietti sono ancora in vendita. Mi fiondo in cassa mentre riconosco Eleanor Rigby, compro il biglietto al volo, e appena finisce la canzone mi fanno entrare. Vedo una enorme sala già al buio e al di sotto lo spettacolo è già iniziato. Sul palco si alternano quattro cantanti, sul podio un giovane direttore d’orchestra che dirige la Rock Orchestra composta da circa quaranta elementi. In primis chitarre e batteria ma anche un piano, un organo, una quindicina di violini col primo violino che indossa una bandana nera, viole e violoncelli, un contrabbasso, una dozzina di fiati. Tutti molto bravi, un’intesa perfetta. Le canzoni sono arrangiate come gli originali, così come piace a me. Yellow Submarine ha le risate, la campanella e la sirena mentre “With a little help from my friends” segue “Sgt Pepper’s Lonely Hearts” senza discontinuità. Applausi iniziali per Yesterday e “Let it be” quali omaggi a Paul ed a John. Applausi a scena aperta dopo l’assolo di Something eseguito perfettamente e con grande grinta. Grande finale con Hey Jude, telefonini accesi in lento movimento ritmato e poi tutti gli spettatori in piedi che cantano. Uno spettacolo di bella musica eseguita con grande professionalità in un ambiente eccezionale. Grazie a John, Paul, George e Ringo. Hello to my friend Jia con la quale ho condiviso un altro grande spettacolo dedicato ai Beatles al Bowl di Hollywood per il cinquantesimo anniversario del primo concerto americano ed un caloroso abbraccio all’amico Claudio Ferrari.