Febbraio sarà il mese dell’Oceano Pacifico. L’agenda è già tutta scritta. Si parte il I° per Nadi, Isole Fiji. In assenza di un volo diretto per Papeete raggiungerò Tahiti via Auckland (NZ), segue l’Isola di Pasqua e la traversata si concluderà a Santiago del Cile. Dalla capitale cilena mi porterò in Patagonia per arrivare esattamente a fine mese ad Ushuaia dove il 2 marzo mi attende l’avventura dell’Antartic Cruise.
Storie di amicizia e di ospitalità
Non posso lasciare la Gold Coast senza raccontare queste belle esperienze di vita. Raggiungo Kristian a Surfers Paradise, una città modernissima, tutti palazzi e grattacieli, affacciata all’oceano. Una grande spiaggia con forti onde adatta al surf. Qui tutto è incominciato attorno agli anni ’60, ora Surfers Paradise è una grande meta turistica ma è anche affollata di studenti e giovani lavoratori provenienti da tutto il mondo. Io vengo molto amichevolmente ospitato da Rafi, giovane studente saudita, proprietario dell’appartamento situato all’undicesimo piano dell’Imperial Surf. Dal soggiorno una vista a 180° sull’oceano e sulla città. Oltre a Kristian c’è Gustavo, giovane studente brasiliano, un ragazzo molto maturo ed amorevole. Arrivo il giovedì pomeriggio, venerdì mattina i ragazzi vanno a scuola mentre io sbrigo un po’ di faccende e faccio un po’ di spesa. La sera Gustavo suona e canta musica brasiliana, un grande pathos. Per sabato a pranzo Kristian invita un po’ di amici per una lasagna all’italiana. La mattina incominciamo col ragù e poi la teglia va nel forno. Arrivano per pranzo un amico taiwanese, alcune ragazze brasiliane, compagne di classe di Kristian, e tutti apprezzano i nostri sforzi culinari. la sera ci trasferiamo al secondo piano dove incontro Gabriel, uno studente brasiliano che per sbarcare il lunario cucina kebab, e Luca, un ragazzo svizzero. La sera ceniamo io e Kristian al Baritalia dove viene servita una discreta cucina italiana. Domenica mattina si va in spiaggia, i ragazzi surfano mentre io mi tuffo tra le onde. Per pranzo c’è un invito da parte di Rafi, un pranzo arabo: riso speziato e pollo, tutto servito sul pavimento e mangiato con le mani secondo la tradizione araba. Arriva un altro ragazzo saudita, altri tre ragazzi brasiliani e così formiamo due grandi cerchi. Anche riso e pollo sono molto graditi. Nel pomeriggio arriva un temporale dall’entroterra mentre sull’oceano risplende il sole, si crea un grande arcobaleno ma è arrivato il momento di salutare tutti, destinazione Brisbane, domani mattina si riparte. Si, però non potevo lasciare la Gold Coast senza raccontare queste storie di amicizia e di ospitalità. Ciao a tutti, Kristian, Rafi, Gustavo, Gilberto, Luca, John, Camilla, Patricia, Ingrid, Paola
Spirit of Queensland
Una grande stazione quella di Cairns, piena di negozi, bar e ristoranti, ma solo due binari. Sul 2 il treno per Kuranda, lo Scenic Railway, e sull’1 lo “Spirit of Queensland”. Sarà la mia sistemazione per le prossime 24 ore, destinazione Brisbane, 1681 km di percorso verso Sud. Un treno molto comodo e moderno. Carrozza C, il vagone letto, il posto 14 è il mio. Vengo accolto da Anne, una gentile hostess, che mi fornisce tutte le spiegazioni tecniche del mio seat ed il programma lunch, dinner, breakfast. Il treno parte puntualmente alle 9,00 e molto silenziosamente attraversa aree molto verdi, una pianura circondata da colline, il cielo è un pò nuvoloso ma a tratti il sole risplende. Il servizio inizia con un welcome the ed un biscotto. Sul dorso del sedile di fronte al mio c’è un grande monitor con un’ampia scelta di film e di musica. Io mi faccio accompagnare dai Dire Straits e da Cat Stivens. Alle 12,30 viene servito il pranzo. Pollo alla griglia e insalata, un dessert ed un bicchiere di shiraz. Per il primo pomeriggio mi scelgo “To Rome with love” scritto, diretto ed interpretato dal grande Allen. Già visto al cinema con le amiche, francamente questo non è il miglior film del grande Allen ma fa effetto vederlo quì, dall’altra parte del mondo, con Roma come grande scenario, girato metà in italiano e metà in inglese, con Benigni che appena lo vedo mi fa sorridere ad alta voce. Il viaggio prosegue molto dolcemente tra la vegetazione del Queensland e qualche antica stazione. Nel pomerigio, superata Townsville, il paesaggio si fa pù pianeggiante e la vegetazione più rada. Si incontrano molti bovini di razze diverse ma soprattutto canguri. Alcuni, sentendo il rumore del treno che arriva, si fermano ad osservare incuriositi, altri, forse spaventati, si allontanano saltellando. Vedo anche molti uccelli bianchi somiglianti agli aironi ed altri grigio-azzurri molto più grandi. Il viaggio prosegue, la sosta alle stazioni non è mai brevissima per cui è anche
piacevole scendere a far due passi. Alle 18,30 viene servita la cena: filetto di carne con sugo allo shiraz, purè e asparagi, panna cotta come dessert. Arriva il buio e le enormi poltrone si trasformano in comodissimi letti. La notte passa tranquillamente, riesco a dormire senza interruzioni per circa sette ore. La mattina ci si sveglia quando incomincia a far luce e più tardi viene servita la colazione. Io scelgo la “continental” con yougurth, latte e cereali, un dolcetto e del the. Riprende una vegetazione più fitta, il tempo oggi è molto grigio e cade anche qualche goccia di pioggia. Alle 9,40, dopo oltre 24 ore di viaggio, arrivo a Brisbane. Col treno locale raggiungo la Gold Coast, più precisamente Surfers Paradise, una città molto recente con altissimi palazzi e una grande spiaggia sull’Oceano.
Cairns e la barriera corallina
Cairns è una città moderna con un lungomare con giardini, fiori e palme. Di fronte al mare una grande piscina aperta al pubblico, poco più oltre i moli d’imbarco per le gite in mare. Seguo il consiglio di Amber(la guida in formazione presso il Rock Tour di Alice Springs) e scelgo l’escursione “Passions of Paradise”, un grande catamarano che ospita oltre cinquanta passeggeri. Si parte alle 8 del mattino, due ore e mezza di navigazione per raggiungere il “Paradise Reef”. Saranno state le strane onde del Pacifico o la non corretta alimentazione (caffè e muffin) ma non sono mai stato così male in mare. Comunque si supera tutto e quando è il momento indosso la muta, pinne e maschera e mi tuffo in acqua. Uno spettacolo di coralli di tutti i colori, molto particolari alcuni ciuffi mossi dalla corrente che sembrano spaghetti verdi. E poi i pesci. Come descriverli tutti ? Appena arrivati sul posto c’è un branco di grossi pesci neri, lunghi circa un metro, non so bene cosa siano. Vedo molti pesci pagliaccio, molti vegetariani che mangiucchiano sulle rocce, i pesci pappagallo con le sfumature verdi e viola, altri a strisce verticali oppure con le pinne gialle. E poi i molluschi bivalve, lunghi più di un metro, con il bordo rosso come se fossero labbra col rossetto, che quando mi avvicino si richiudono rapidamente. Insomma il variegato mondo della barriera corallina australiana, la più lunga (2.300 km), la più vasta del mondo. Riprendiamo la navigazione per circa un’ora ed arriviamo alla Michaelmas Cay Island. Il mare ha tutte le sfumature di azzurro, blu e verde. L’isola è solo una larga spiaggia bianca stracolma di uccelli. La raggiungo in gommone con la muta già indossata e di nuovo in mare con pinne e maschera. Lo spettacolo continua. Sono l’ultimo ad uscire dall’acqua per rientrare a Cairns. Il catamarano sulla rotta del ritorno, grazie al vento favorevole, apre le grandi vele ed abbassa la potenza dei motori. Rientro in porto col cielo azzurro e le nuvole bianche. Per cena una ramen, la zuppa giapponese, al ristorante Ganbaranba. Con soli 7 € mangio bene riorganizzando il mio stomaco provato dalle onde mattutine. Non ancora del tutto soddisfatto voglio fare una seconda uscita in mare. Scelgo la Green Island, di nuovo un catamarano ma questa volta il tragitto è più breve (solo 45 minuti) e lo stomaco non mi dà problemi. Si arriva in luogo incantevole. Il battello attracca su un lungo pontile, l’acqua tutto attorno ha gli stessi colori che descrivevo prima. L’isola ha una spiaggia bianca ed all’interno è tutta ricoperta di vegetazione. Partiamo dal nome. Credevo che Green derivasse dal fatto che l’isola è molto verde. No, fu il sottotenete James Cook che nel 1770, scoprendo l’isola, la dedicò all’astronomo di bordo Charles Green. L’isola è di fatto un fenomeno naturale. La sua storia non ha più di 8.000 anni. La scogliera si è formata con l’accumulo di detriti dei coralli cementati dalla crosta delle alghe. Tutto l’ambiente qui attorno è la condizione ideale per la formazione dei coralli e per la vita di questi pesci stupendi. L’interno dell’isola è invece una meravigliosa foresta, molto fitta e ombrosa. La si può percorrere su un tracciato di passerelle. L’intensità e la tipologia è la stessa della Rainforest. Lungo il sentiero trovo però poche persone, i visitatori affollano le spiagge ed i chioschi di ristorazione. Questo è il rovescio della medaglia. Entro in acqua anche qui e, oltre alla solita esperienza, incontro tre tartarughe. La prima se ne va solitaria e la inseguo per un breve tratto, la seconda sembra invece pascolare tra le alghe e mangiucchia quì e là, la terza sembra zoppa nel senso che usa solo tre zampe, la posteriore sinistra rimane sempre all’interno del carapace. Un’esperienza bellissima, ora attendo le isole del Pacifico.
Kuranda and the Rainforest
Deciso, andata in funivia, ritorno in treno e, contro ogni consiglio turistico, pernottamento nella Rainforest ! La funivia che collega Cairns a Kuranda, la Skyrail, è una delle più lunghe al mondo: circa 7,5 km suddivisi in tre tronchi. Il primo tratto è tutto in salita e raggiunge i 545 metri del Red Peak dove un simpatico ranger attende i passeggeri per un giro tra la foresta. Il ranger lascia un gruppo di giovani giapponesi e mi accompagna lungo il sentiero, una lunga passerella in legno, spiegandomi tutti i segreti del bosco. Piante secolari altissime, palme, fichi che avvolgono altre piante, liane e piante rampicanti. Tutto ciò è la Rainforest, un grande fenomeno naturale reso possibile dalle piogge che qui arrivano copiose. In un solo giorno durante la wet season cadono normalmente più di 20 cm di pioggia. Il secondo tronco della Skyrail, il più lungo, è praticamente tutto in discesa e si superano le cascate del fiume Barron. Siamo nell’ambito del Barron Gorge National Park, territorio tradizionale del popolo aborigeno Djabugay. Anche quì una passeggiata lungo il sentiero con terrazze panoramiche sulle cascate. L’ultimo tratto, piuttosto breve, supera il fiume e l’antica linea ferroviaria. Si arriva quindi a Kuranda, un villaggio turistico dove tutte le attività chiudono attorno alle tre del pomeriggio, poco prima o subito dopo la partenza del secondo treno che torna a Cairns. Appena arrivato scendo sulle rive del Barron e decido di fare subito la navigazione del fiume, un’ora abbondante tra la vegetazione rigogliosa. Un coccodrillo al
sole sdraiato su un ramo secco, uccelli, pesci e tartarughe. Dopo una “pasta pesto” (tagliatelle con una crema dolce al pesto, pollo ed insalata, tutto nello stesso piatto) vado verso il B&B che avevo prenotato. Basta superare il ponte e prendere la seconda a sinistra. Semplice, ma Il percorso si rivela più lungo di quanto potevo immaginare guardando la Google Map. Un’ora e mezza tra il bosco e le case isolate. Imbocco la Butler Drive al numero 63 ma debbo arrivare al 9 ! Arrivo … diciamo un po’ stanco. Anche oggi, dichiara il mio telefono, percorsi circa 15 km. A piedi ovviamente. La fatica viene comunque ricompensata dal posto. Imbocco una stradina sterrata nella foresta e mi trovo davanti ad una casa bianca in legno. Un po’ smarrito vengo accolto da Linda, una signora tutto sommato non molto cortese che mi dice “ma questa è una casa”. L’appartamentino al piano terra è, per stasera, destinato a me. Un monolocale meraviglioso, pieno di luce e arredato con molto gusto. Linda mi apre il frigorifero e mi mostra una bottiglia di Sauvignon Blanc australiano e una confezione di camembert. Questa sarà la mia cena consumata sul terrazzo praticamente immerso nella foresta. Più tardi arriva a trovarmi anche Nevon, il marito, molto cordiale. Rumori zero, o perlomeno si sentono solo quelli naturali, molto intensi, anche in piena notte. La mattina mi sveglio con comodo e mi sento un “Nessun dorma” cantato da Pavarotti mentre mi preparo un paio di caffè. Sul tavolo del terrazzo trovo un vassoio con la colazione pronta, burro e marmellata, frutta tropicale. Più tardi, molto gentilmente, Nevon mi accompagna in città. Visito il Butterfly Sanctuary, una grande voliera piena di farfalle che ti volano attorno ed un laboratorio dove delle esperte nutrono i bachi ancora in fase di evoluzione. Entro poi nel Koala Gardens dove, in ampi spazi, vengono ospitati gli animali autoctoni: coccodrilli, i dormiglioni koala, un paio di tranquilli wallaby (piccoli canguri) che cercano l’ombra per poter sfuggire al caldo che oggi si fa sentire. Per pranzo vado al German Tucker, mangio un wurstel di coccodrillo con senape, crauti ed insalata di patate. Uno strano mix di Germania e Australia. Kuranda è famosa per i suoi mercati. Io li trovo comuni, solo per turisti, di nessun interesse. Così mi prendo il treno per rientrare a Cairns, una vecchia ferrovia che risale al 1891 recentemente ristrutturata e ancora funzionante. Vecchie carrozze in legno ed un paio di locomotori diesel colorati di giallo ed azzurro con disegni in stile aborigeno. Il treno viaggia molto lentamente, dopo una decina di minuti una sosta per ammirare il panorama sulla cascate e poi si riparte tra la fitta vegetazione. Praticamente si viaggia a passo d’uomo, il treno percorre un altissimo ponte con tralicci in ferro, alcune gallerie e dopo circa due ore si arriva a Cairns.
Alice Springs, gli aborigeni e le rocce sacre
Alice Springs è praticamente il baricentro geografico dell’Australia. The Alice, come viene più familiarmente chiamata, è nata solo nel 1870 come stazione del telegrafo. Ora è una città tranquilla dove convivono “bianchi” ed “aborigeni”. Al centro una strada pedonale, la Todd Mall, sulla quale si affacciano
alcuni bar ed i negozi di souvenir e di arte aborigena. Sotto questo aspetto entrare nei negozi d’arte aborigena equivale alla visita di un vasto museo con migliaia di opere esposte. In pieno centro leggo un grande cartello (vedi foto) “orgogoglioso di essere aborigeno” e “orgoglioso di essere australiano”
come se gli aborigeni non fossero australiani. “Australiani” e “aborigeni” convivono ma rimangono due mondi completamente separati. I primi gestiscono tutte le attività della città, non ho trovato un commesso, un cameriere, un operaio di origine aborigena. Mi spiace doverlo sottolineare ma è la verità e tutto ciò non è per niente condivisibile. Gli aborigeni si vedono in giro per la città, vestiti un pò male, un pò sporchi, trasandati. Camminano per le strade o nei centri commerciali come se fossero un pò persi, si siedono a gruppi sui prati, a volte urlano tra di loro. La sera la polizia pattuglia le strade mentre gli aborigeni frequentano i bar e qualcuno si ubriaca. Una mattina al Red Ochre Grill, il ristorante dell’albergo dove pernotto, vedo un vetro rotto da un paio di sassate, facile intuire cosa sia successo. L’Uluru – Kata Tjuta National Park, sito Patrimonio dell’Umanità protetto dall’UNESCO, è però gestito in modo congiunto. Il consiglio d’amministrazione, per statuto, è composto per metà da bianchi e per metà da aborigeni. Questi riconoscimenti sono comunque molto recenti, risalgono solo ad una ventina d’anni fa. Ora il parco è cogestito dagli anangu, la popolazione locale, e vengono riconosciuti i luoghi sacri dove è vietato scattare fotografie. Inoltre, da pochi anni, è vietato salire sulla roccia sacra anche se esiste un sentiero ben tracciato. Francamente, camminando lungo i sentieri che circondano Uluru, si avverte una forma di sacralità. Sarà il sibilo del vento, il frinire delle cicale, il silenzio circostante, i colori della roccia e del cielo, o semplicemente le leggende che si tramandano, ma io ho avvertito qualcosa di speciale. Uluru è una unica, grande roccia, lunga 3,6 km ed alta 348 metri, raggiunge una quota di 867 m slm. La roccia è una specie di iceberg, più dei due terzi del volume sono al disotto del livello dell’altopiano ed arriva ad una profondità di circa 6.000 m. Forse questi numeri danno l’idea della unicità del luogo. Il colore rosso, dovuto all’alta presenza di ferro, è dominante. Dove scorre l’acqua quando piove il tracciato è annerito, come se fosse arruginito. Kata Tjuta dista circa 35 km da Uluru. E’ uno spettacolare gruppo di rocce che raggiunge i 1066 m slm. Il nome significa “molte teste” e riveste una grande importanza
nella cultura aborigena. Visitare questi luoghi è stata per me una grande emozione ma lasciamo agli anangu le loro tradizioni, le loro credenze, la loro cultura, la loro storia.
The Rock Tour – Day 3
Sveglia che è ancora buio, alle 5 siamo già tutti pronti sul bus, di nuovo verso Uluru per ammirare l’alba. Arriviamo al parcheggio che è ancora buio. Sulla sinistra della roccia incomincia ad arrivare la prima luce, rossa. Il cielo è ancora un po’ buio, le nuvole grigie, gli squarci diventano sempre più chiari. Ad un certo punto, a sinistra della roccia, tutto diventa rosa, rosso, mentre a destra c’è un azzurro tenue. Poi la terra e la roccia assumono la loro colorazione rossa ed il cielo rimane un po’ grigio, nuvoloso. Ci portiamo alle spalle della roccia e percorriamo il sentiero Uluru Walk. Un paio d’ore di camminata attorno alla roccia, le pareti hanno piccole e grosse caverne. Incontriamo un serbatoio d’acqua potabile tutto dipinto dai ragazzi del Nymatijatjara College. Sono stati utilizzati i colori della terra e del cielo per realizzare disegni carichi di messaggi destinati ai turisti. Il migliore: have a good holiday, be safe, take a seat, have a rest, enjoy your day. Scritto in bianco (le nuvole) su fondo azzurro (il cielo) ed un disegno di coccodrillo col colore della terra. Proseguiamo e le stratificazioni della roccia si fanno quasi verticali, poi guardando verso l’alto si apre una grande caverna a forma di bocca. Di nuovo una caverna con graffiti per l’insegnamento della caccia, pochi metri più avanti c’è un piccolo laghetto dove gli animali usavano abbeverarsi, l’acqua di questo lago era ed è considerata sacra dagli aborigeni Anangu. Più avanti incontriamo una grande roccia con alcune fenditure che la fanno assomigliare ad un volto umano. Nel frattempo il cielo si è aperto ed è ritornato azzurro ma purtroppo il gruppo deve incominciare a lasciarsi. Un paio di ragazze malesi si fermano qui al Resort, Martin il ragazzo ceco e le due ragazze di Taiwan ci lasciano all’aeroporto di Ayers Rock. Siamo tutti un po’ tristi ma ripartiamo. Sosta per il pranzo, panini, e di nuovo in viaggio. Ora è molto caldo, siamo sopra i 38° all’ombra. Un’ultima sosta al Camel Ride ma nessuno è interessato ai cammelli, solo gelati e bevande fresche. Rientriamo ad Alice Springs verso le 5 del pomeriggio. 1.600 km percorsi nell’Outback in tre giorni e due notti sotto le stelle. Finalmente una doccia come si deve ed un po’ di riposo al fresco dell’aria condizionata. La sera ci rivediamo tutti al Rock Bar per la cena d’addio, un ottimo filetto di canguro, molto tenero e saporito. Che nessuno si scandalizzi, il canguro è sempre stata la base dell’alimentazione aborigena. Baci e abbracci ed un arrivederci su facebook.
The Rock Tour – Day 2
La notte è piuttosto fredda. Quando apro gli occhi, al buio, vedo dei grandi squarci tra le nubi strapieni di stelle. Bailey ci sveglia all’alba, il cielo si colora di giallo, di rosso, di arancione e poi il sole porta luce e calore. Una veloce colazione e caricate tutte le carabattole si riparte, destinazione Kata Tjuta, un insieme di rocce solitarie nel mezzo dell’Outback ritenute sacre dagli aborigeni Anangu. Percorriamo il Kata Tjuta Dune Walk in circa due ore. Un sentiero tra le rocce rosse che mostrano le loro stratificazioni. Sui fianchi molte caverne dovute all’erosione dell’acqua e del vento. Ripartiamo in direzione Uluru e verso mezzogiorno ci troviamo di fronte alla grande roccia simbolo dell’Outback. Rossa, solitaria, che si staglia tra l’azzurro del cielo e qualche nuvola bianca. Un altro sogno si avvera ! Pranziamo con panini e piadine all’Ayers Rock Campground e ripartiamo per Uluru. Si visita l’Aboriginal Cultural Centre dove viene spiegata la storia dei luoghi e soprattutto della cultura aborigena. Percorriamo il Mala Walk, un sentiero sul lato occidentale della grande roccia. Si passano alcune caverne dove gli aborigeni vivevano fino a pochi anni fa. Le pareti sono piene di graffiti. Qui i nonni ed i genitori insegnavano la cultura aborigena ai giovani. Ai ragazzi si insegnava l’arte della caccia, alle ragazze i metodi di raccolta dei prodotti destinati all’alimentazione. E’ già tardo pomeriggio e la temperatura ora è più accettabile. Il percorso richiede poco più di un’ora ed è tutto in piano. Ci portiamo al Sunset Parking Place in attesa del tramonto. Si riaprono le porte del tender e di nuovo si estrae tavolino e stoviglie. Bailey cucina carne con verdure e verdure con noodles. Ceniamo di fronte alla roccia sacra mentre attendiamo il tramonto. Il parcheggio si riempie di auto e bus. Il sole scende alle nostre spalle, un po’ nascosto tra le nuvole e non crea nessun particolare effetto. Spettacolo perso, peccato. Difficile dire “sarà per la prossima volta2, almeno per me. Ma mai dire mai ! Rientriamo al campo, le tende permanenti sono troppo calde, meglio dormire all’aperto. Seconda notte per terra anche per un vecchietto come me. Questa notte le stelle sono più presenti … ma vince la stanchezza.
The Rock Tour – Day 1
Si parte all’alba, un minibus con rimorchio, Bailey la guida, Amber guida in formazione, ed altri dieci giovani. Oltre due ore di Outback e prima sosta in una aerea di servizio con una piccola galleria d’arte aborigena. Ne approfitto per acquistare il tipico cappello a larghe tese in pelle di canguro. Si rivelerà molto utile, l’ombra creata dalle tese mi copre il viso ed il collo, rinfresca la testa senza sudare, è robusto e flessibile, protegge dalla pioggia. L’ideale per questo trekking. Si riparte e Bailey ci chiede di scrivere o di disegnare qualcosa di personale sui vetri del bus con dei pennarelli. Io mi disegno in rosso la roccia dell’Uluru e non manco di scrivere l’indirizzo del mio blog. Un panino al volo e verso mezzogiorno arriviamo a Kings Canyon, fa caldo ed il cielo è un po’ grigio. Trekking di tre ore e mezza lungo l’omonimo Walk di 6 km. Il percorso inizia con lo “hard attack”, una ripida salita con molti scalini fatti di sassi, solo un paio di soste per prender fiato. Sole, caldo e fatica si fanno subito sentire. Al termine della salita gli sforzi sono appagati da un vasto panorama e dai paesaggi tra le rocce rosse. Arriviamo lungo il fianco del canyon dove notiamo delle pietre con le tipiche onde della sabbia. Sembra incredibile ma circa 350.000 milioni d’anni fa qui, nel centro dell’Australia dove oggi c’è solo savana, c’erano dei laghi. Il canyon ha pareti verticali alte un centinaio di metri e si estende per oltre un kilometro. Grazie a passerelle e scale in legno raggiungiamo il fondo del canyon dove troviamo una pozza d’acqua con palme e vegetazione, una specie di oasi chiamata The Garden of Eden. Io arrivo al bus sfinito dal caldo e dalla stanchezza, ma che meraviglia ! Ripartiamo e più tardi ci fermiamo a raccogliere legna secca. La savana ha un fondo di terra rossa, carica di ferro, ed è ricoperta da arbusti e piante. Molte piante sono secche ed è facilissimo trovare rami già pronti per un fuoco, alcuni li spezziamo, altri li raccogliamo. Caricata e fissata la legna sul tender ci dirigiamo verso il nostro “bush camp”. Lungo la strada, verso le 18,00 appare all’orizzonte Uluru colorata di grigio. Che emozione ! Una sosta per acquistare birre e bevande fresche, un paio di kilometri di strada sterrata ed ecco Curting Springs, il nostro “bush camp”. Un grande cerchio per il fuoco ed una tettoia da utilizzare in caso di pioggia. Distribuiti i tredici sacchi a pelo attorno al grande cerchio si procede all’accensione del fuoco. Bailey estrae una barretta di magnesio con la quale si dovrà accendere il fuoco, lo aiuta Joseph, ventenne francese. Acceso il fuoco non resta che alimentarlo con la legna raccolta. Dal trailer si estraggono il tavolino di lavoro in ferro, pentole, piatti, posate, insomma tutto l’occorrente per cucinare e mangiare. Bailey organizza il lavoro ed ognuno fa qualcosa. Sandra, giovane tedesca, impasta il pane, altri tagliano le verdure, io mi incarico di tagliare le cipolle per il soffritto e per il contorno di verdure cotte. Intanto si fa buio, il fuoco e le nostre torce forniscono la luce necessaria. Tutto viene cucinato sulla carbonella, la prima pentola contiene il pane, poi il riso bollito, le verdure cotte (patate, carote e cipolle) ed un largo wok dove cuoce un bel soffritto di cipolle. A cipolle dorate aggiungiamo della carne trita (bovina) con fagioli e salsa di pomodoro. Io mi occupo della cottura mentre mi gusto una birra fresca. A cottura ultimata ognuno si serve e tutti mangiano con molto piacere. Quando fa buio nella savana è notte, siamo tutti un po’ stanchi, ci infiliamo così nei nostri sacchi a pelo sotto le stelle. In realtà il cielo è nuvoloso, la luna è per metà piena, le stelle si vedono solo tra una nube e l’altra.
The Ghan Train
The Ghan Train non è un treno, non è un un mezzo di trasporto. The Ghan è un’esperienza. La stazione del Ghan a Darwin si trova fuori città, due piccoli stabili uniti da un largo tetto. Per partire occorre presentarsi ad un bancone come per un check-in in aeroporto, si riceve un cartoncino che riporta la lettera del vagone e il numero del proprio sedile. Si parte solo se il tragitto è prenotato. A destra un secondo bancone dove si consegna il bagaglio. Per la mia valigia un cartoncino verde con la sigla ASP (Alice Springs) ed un altro con heavy – 20 kg. Sull’unico binario un lungo treno composto da due locomotori diesel rossi e tanti vagoni in allumino. Ad ogni portello c’è a disposizione una scaletta con l’addetto. La carrozza del Red Service, cioè senza cuccetta, ha sedili reclinabili rossi, comodi e molto spaziosi, con tavolini ripieghevoli da infilare nei braccioli. Prima della partenza un addetto ricorda le norme di sicurezza ed informa i passeggeri circa gli orari, i servizi, il ristorante. Il Red Service ha una carrozza ristorante con bar dove si può pranzare, cenare e fare colazione. A disposizione anche una doccia per vagone ed asciugamani. Il treno parte puntuale alle 10 ed attraversa una foresta tropicale che man mano si trasforma in boscaglia. Alle 14,30 la prima fermata: Katherine. Ora il treno si ferma fino alle 18,00 e ci sono a disposizione alcune escursioni. Io scelgo la visita al Nimiluk National Park, mezz’ora di pullman ed una passeggiata tra la foresta per arrivare su una terrazza panoramica sul fiume che scorre tra le rocce. Poco dopo le sei il treno riparte ed attraversa aree verdi disabitate. Arriva il buio e vado nella carrozza ristorante per la cena, una lunga chiaccherata con un viaggiatore danese, e poi una notte breve. Alle sei del mattino inizia ad albeggiare, uno spettacolo della natura. Dopo colazione, alle 8,40, si arriva ad Alice Springs, la mia valigia è sul marciapiede che mi attende, servizio perfetto. Ed ora sono nel centro dell’Australia !