Buon Anno – Happy New Year

Buon Anno, Happy New Year da Sydney

La mattina del 31 dicembre, alle 10 del mattino siamo già sul porto in prossimità del ponte. Incredibile ma già a quell’ora migliaia di persone hanno preso posizione per assistere ai fuochi d’artificio di Capodanno. Noi, Kristian è con alcuni amici orientali, compagni di scuola d’inglese, ai quali si sono aggiunti altri svizzeri e francesi, tutti ventenni,  troviamo un tavolino con due panche. Posto strategico e molto panoramico. Di fronte la Opera House e tutto lo skyline della città con i suoi grattacieli, sul fianco il grande ponte. Una giornata di attesa, si mangia qualche panino e dell’ottimo riso e pollo magistralmente cucinati da Kristian. Nel pomeriggio i posti sono tutti occupati, la municipalità si attende circa due milioni di persone, cittadini e molti visitatori stranieri. Alle 20,35 un primo segnale: una cascata di fuochi artificiali rossi scende dal ponte. Alle 21,00 in punto, appena fa buio, un primo assaggio di una decina di minuti di fuochi, poi ancora in attesa. Alle 23,58 inizia il conto alla rovescia. Sui pilastri del ponte vengono proiettati i secondi che scorrono prima della mezzanotte. Al meno dieci tutti partecipano al conteggio ed allo scoccare della mezzanotte un grande urlo generale e ripartono i fuochi artificiali. Colori, boati che rimbombano tra le colline che circondano la città, urla e applausi degli spettatori. Una grande emozione per tutti.  Seguono gli auguri con baci e abbracci e solo più tardi riusciamo ad aprire una bottiglia di prosecco italiano perché lungo porto era severamente proibito avere con sé ogni tipo di alcolico. Poliziotti, a gruppi di quattro, controllavano tutta l’area del porto che a partire da mezzogiorno è stata chiusa. Il mio zainetto è stato profondamente controllato, più attentamente che in un aeroporto. Birra e vino sono rimasti volutamente in macchina ma alla fine il prosecco, anche se non fresco, è stato molto gradito. Buon anno a tutti e auguriamoci che il 2016 porti un po’ più di pace e serenità in questo modo così maltrattato.

Australia !!!

Dopo esattamente tre mesi di viaggio lascio l’Asia. Volo notturno della Virgin per Sydney, è la mia prima volta in Australia! All’arrivo mi incontro con Kristian, il figlio adottivo di Gianni e Rita, amici da sempre. Inizia una nuova avventura in una terra sconosciuta. La sera in centro siamo attorno alla famosissima Opera House, capolavoro di architettura che ricorda delle grandi vele spiegate al vento. Di fronte il lungo Harbour Bridge, quattro grandi pilastri di sostegno ed una lunga struttura metallica. Tutto attorno il porto attraversato da barche e traghetti e la profonda baia di Sydney.

Il ritorno a Bali

La mattina ritorno all’aeroporto di Wamena, per partire si deve entrare nella famosa sala d’imbarco tipo pollaio.  Debbo onestamente dire che questa strana situazione è provvisoria. Il vecchio aeroporto è andato a fuoco 4 anni fa. La nuova aerostazione, molto moderna, è praticamente pronta, sarà inagurata tra qualche giorno dalle autorità. Vedo Wameak, anzi lui vede me e mi saluta. Un attimo dopo me lo trovo seduto accanto. Stessa maglietta e stesso cappello di quattro giorni fa. Saluti calorosi ed abbracci. Il volo è abbastanza puntuale e questa volta decido di pernottare a Sentani perchè è molto vicina
all’aeroporto, domani si riparte per Bali. Ho cercato di prenotare un posto in economy ma il volo
era tutto fully booked, così mi sono prenotato il volo in business in quanto la differenza di costo è minima ma il servizio a bordo è ottimo. Garuda Indonesia, per il secondo anno consecutivo, è stata riconosciuta la migliore compagnia aerea mondiale. Tovaglietta e tovaglioli bianchi, un vassoio perfetto ed a ogni servizio vengo chiamato Mister Oscar dalla hostess in gonna lunga fiorata. Attraversiamo di nuovo l’isola di Papua da Nord a Sud. Una distesa verde interrotta solo dai fiumi con le loro anse lunghissime. Verso Timika si vede una costa frastagliata dove da un lato c’è il verde della foresta e verso il mare spiagge bianche e calette. Il mare verso la costa ha un colore verde tenue ma diventa blu intenso al largo. Venti minuti di sosta a Timika e si riparte. Il cielo è molto limpido e ci consente di vedere il panorama sottostante. Isolette e isolotti, atolli, isole più grandi con la costa frastagliata, spiagge bianche col mare verde e blu. Insomma un grande sopettacolo. Notevole anche la vista di Bali arrivando da occidente. Questa volta decido di prendere una camera presso una home-stay a Jimbaran, immediatamente a Sud dell’aeroporto. Costo ridotto ed un ottimo servizio. Cinque minuti a piedi e sono in spiaggia, quattro chilometri di sabbia fine con alle spalle i Warung (ristoranti) di pesce. Appena arrivo non resisto e mi tuffo tra le onde e poi mi mangio del Nasi Goreng (riso fritto) con seafood ed un gambero grigliato. Per il giorno successivo mi sono prenotato un auto con autista. Prima mi faccio lasciare alla spiaggia Padang Padang dove è stato girato il film Mangia, prega, ama con Julia Roberts. Parecchi scalini per scendere la scogliera e poi si apre una spiaggetta di sabbia fine, lunga poco più di cento metri con scogli grandi e piccoli distribuiti sul mare. Riesco a trovarmi un posto all’ombra della roccia e poi mi tuffo in mare. Le onde sono molto forti, qualche decina di metri più in là molti giovani praticano il surf. Si riparte per la punta estrema sud-occidentale dell’isola per visitare il tempio di Pura Luhur Ulu Watu. Una vasta struttura che termina con una pagoda a tre tetti a picco sul mare. Dal tempio parte un percorso ricavato sulla rupe dal quale si gode un panorama stupendo arricchito dalle onde lunghe oceaniche che si infrangono sulla scogliera. Per concludere il periplo della penisola ci portiamo a Pantai Podowa. Una lunghissima spiaggia molto frequentata, forse anche troppo, ma prevalentemente da persone locali. A ridosso della spiaggia decine di chioschi che offrono bevande e cibi tradizionali. Rientro in albergo perchè mi debbo preparare per il volo notturno. Prima di lasciare Jimbaran mi reco sul lungomare presso un warung. All’entrata ci sono le vasche piene d’acqua con i pesci ed i crostacei da scegliere, vengono immediatamente pesati ed addebitati a peso. Io ordino una zuppa di pesce e da grigliare: cinque bei gamberi, una seppia e quattro grosse conchiglie. Tutto ciò sarà accompagnato da riso bollito e verdure. Si mangia sulla spiaggia con i piedi nella sabbia, un pò di musica live eseguita da quattro bravi musicisti. Io completo il quadretto con due calici di vino bianco locale. La vista sulla costa illuminata e l’arietta tiepida della sera rendono ancora più piacevole la serata. E’ questo il mio saluto a Bali, all’Indonesia, all’Asia.

Trekking nella valle del Baliem – Day 2

Mi sveglio con le ossa un po’ rotte ma riposato, colazione con the, riso e frittata. Come sempre la mattina è soleggiata col cielo azzurro e qualche nuvola bianca. Due bimbi giocano nell’area della guesthouse. Uno completamente nudo, molto sveglio ed agitato, mentre il secondo è più timido e tranquillo ed indossa un cappello da babbo natale. loro giocano mentre io mi diverto a fotografarli. Mi faccio una passeggiata tra il villaggio e vado verso la chiesa dove alcuni bambini giocano ed un ragazzo suona la chitarra. Verso le 10 ci incamminiamo e scendiamo per il sentiero dal quale siamo saliti. Arrivati a Kurima tagliamo verso destra ed andiamo verso il fiume. Di fronte a me un ponte sospeso mosso dal vento che sovrasta il Baliem scuro e furioso. Passano prima Wameak e Linus, io li seguo tenendomi sempre ben appoggiato ai cavi laterali. Il fondo è fatto da assi di legno vecchie e molte sono rotte. Meglio non guardare sotto, mi concentro sui miei passi ma tra un’asse e la successiva si vede il fiume scorrere. Due minuti di tensione ma dopo il ponte ci facciamo una sosta. Arrivano molti ragazzi ed una donna, si scattano foto ricordo. Riprendiamo il cammino sul lato opposto del Baliem e passiamo attraverso altri piccoli villaggi. Oggi non ho nulla sulle spalle, il mio zainetto lo porta Wameak mentre Linus ha le borse con gli avanzi. La stanchezza però incomincia a farsi sentire. Si sente della musica, siamo  arrivati in prossimità di un piccolo villaggio con una grande chiesa. Sul suo fianco notiamo una grande agitazione, decine di persone stanno preparando la cena della vigilia di Natale. Tutti gli abitanti del villaggio sono occupati. Alcuni uomini stanno tagliando un enorme maiale, una donna sta marinando qualche decina di polli già aperti e ripuliti. Sul lato opposto un grande cerchio di pietre che si stanno scaldando sul fuoco, a qualche metro di distanza un grande cerchio riempito di foglie di patate e di banano dove si adagiano le pietre calde, il maiale ed i polli. Tutto viene ricoperto da foglie, pietre calde, olio e marinatura a secchiate.  Mi viene consentito di fotografare tutto il rito solo dopo aver pagato all’anziano del villaggio 100.00 rupie (circa 7 €) ed aver offerto sigarette agli adulti e caramelle ai bambini. Quando la preparazione della cottura è terminata iniziano i saluti, stringo la mano a tutti e ricevo sorrisi. Riprendiamo il cammino, il sentiero costeggia il fiume. Arriviamo ad un secondo ponte sospeso con la struttura metallica di colore giallo, le assi questa volta sono ben tenute. Il ponte si muove a causa del vento, più sotto il fiume scorre con particolare violenza ma questa volta mi sento più sicuro. Sul lato opposto del Baliem ritroviamo l’asfalto ed attendiamo un “bemo” che ci riporta in città. Arrivo in albergo sfinito, stanco, ma certo di aver vissuto una grande esperienza.

Trekking nella valle del Baliem – Day 1

Si parte su un “bemo”, il tipico taxi collettivo in uso a Wamena, sosta al mercato di Misi per gli acquisti e si riparte. Mezzora d’auto, si passa prima su un ponte in ferro, poi su due ponti in legno, e per ultimo un guado non facile. Si abbandona il bemo e si parte a piedi, sono accompagnato dalla guida Wameak (40 anni ma dimostra quasi la mia età) e Linus un ragazzino che fa da portatore. Incontriamo un fiume che scende dalla montagna e lo attraversiamo. Si deve entrare nell’acqua fin sopra le ginocchia, la corrente è molto forte e l’acqua è gelida. Io ho lo zainetto con il bagaglio al minimo, Wameak il suo zainetto e due borsate di alimenti, Linus una scatola di cartone sulla testa con acqua ed altre scorte. Dopo circa un paio d’ore arriviamo a Kurima, prima passiamo dalla caserma militare dove lasciamo una fotocopia del mio permesso di transito ottenuto a Jayapura e dopo alla locale stazione di polizia dove lasciamo una seconda fotocopia. Il sentiero si inerpica e si incomincia a sentire la stanchezza, il panorama sulla valle si fa sempre più interessante. Lungo il sentiero un viavai di ragazzi e ragazze, donne, pochi gli uomini. Chi scende ha le mani e la sacca appoggiata sulla fronte vuota, chi sale trasporta borse di alimenti, sacchi di riso, taniche di olio di cocco, scatole di cartone sulla testa. Ogni persona che si incontra, giovane o adulta, fino a bambini di pochi anni, saluta. Una stretta di mano e qualche volta con la mano si stringe anche l’avambraccio. Arriviamo a Kilise passando per la missione, una chiesetta in legno ma di fronte stanno costruendo una chiesa più grande in muratura. Il panorama della valle è bellissimo, qui e là gruppi di capanne circolari, sul versante opposto qualche altro piccolo villaggio con le case col tetto in lamiera, molto più in basso scorre il Baliem con le sua acque scure e le creste delle onde chiare. Arriviamo alla guesthouse  Albert  Elopore che prende il nome del suo fondatore. Prendo possesso della capanna dove passerò la notte. Alcuni materassi per terra, cuscini e qualche coperta, essendo solo ho l’onore di avere due materassi l’uno sull’altro. Più tardi mi viene servito da Linus un the ed una zuppa di noodles confezionata e riscaldata, ma un’ora più tardi Wameak mi chiama per il pranzo. Riso bollito e pollo arrosto e non voglio sapere come sia stato preparato. Mangiamo in una capanna dove ci sono dei tavolacci e panche in legno ma poi andiamo in “cucina” dove seduti per terra beviamo un the. Con mia grande sorpresa arriva un dani nudo con astuccio penico, è Sekiel, il capo del villaggio. Si siede anche lui per terra e mangia chiaccherando. In capanna c’è il fuoco acceso, fuori piove ed è abbastanza fresco. Quando smette, tra la nebbia, andiamo verso la sua capanna. L’accesso è molto basso e stretto ma una volta entrati ci accomodiamo seduti per terra. Sekiel e Wameak chiaccherano rivolgendo il discorso anche a me di tanto in tanto. Poi facciamo visita, ma senza entrare, alla capanna delle donne. Entriamo invece nella capanna rettangolare adibita a cucina dove una giovane donna sta cuocendo sul fuoco, in un grande pentolone, una strana brodaglia di foglie di patate ed una zucchina rotonda. Mi viene offerto un the e poi rientriamo alla guesthouse. Vado nella mia capanna e mi stendo, sono molto stanco e il sonno arriva rapidamente.

I Dani

I “Dani” sono un gruppo etnico composto da una trentina di clan, circa 200.000 persone in totale, che popolano la valle del Baliem, un fiume che scorre tortuso tra le montagne nel centro di Papua (Indonesia). I dani vivono in piccoli villaggi che sono in gran parte delle famiglie allargate. I villaggi sono distribuiti lungo la valle del Baliem con al centro Wamena, città voluta dal governo indonesiano. Ogni famiglia ha a disposizione alcune capanne (honai) a base circolare, pareti in legno e tetto in paglia, una porta d’entrata molto bassa e  stretta. Le capanne sono separate tra loro da un muretto di sassi. Ogni capanna ha una funzione ben precisa. Normalmente la prima capanna è destinata agli uomini, quì vive il capo famiglia con i figli maschi. All’interno il terreno è ricoperto da paglia, al centro il fuoco per riscaldare l’ambiente, un soffitto molto basso, tutto annerito dal fumo ed un “soppalco”, sempre in legno, per dormire. La capanna delle donne ospita anche due o tre maiali per riscaldare l’ambiente. la capanna adibita a cucina, dove anche si mangia, è invece a pianta rettangolare, con il fuoco sempre acceso dove bolle acqua calda per il the o per il caffè oppure una brodaglia con foglie di patate ed altre verdure. I dani sono ghiotti di patate dolci che mangiano bollite ed infatti attorno alle capanne ci sono piccoli campi dove vengono coltivate. I dani sono poligami, ogni uomo ha almeno due mogli. Per ottenere una donna come moglie, normalmente molto giovane, occorre pagare la famiglia di origine. La moneta utilizzata è il maiale. I maiali sono simbolo di ricchezza, più maiali si posseggono, più ricca è la famiglia. Per ottenere una donna occorre “pagare” uno, due, fino a cinque maiali. Le donne partoriscono già in giovane età ed allattano i bambini fin verso i due anni. Fino ad una ventina d’anni fa tutti gli uomini vestivano il solo astuccio penico ottenuto dalla scorza di una zucca svuotata. L’astuccio è lungo circa 40 cm (non sono ammesse battute :-)) e viene fissato alla vita con dei cinturini. Ora solo pochi uomini vestono così, sono praticamente tutti vestiti con pantaloni, magliette o camicie. Le donne indossavano solo una gonnellina di tessuto vegetale, a seno nudo, ma oggi tutte indossano gonne in tessuto o calzoncini, magliette o camice. l’età media di un dani è molto bassa e la mortalità infantile è ancora molto alta a causa delle condizioni igieniche. Le poche case e ovviamente le capanne non hanno elettricità e tanto meno l’acqua corrente. Se muore un figlio ancora oggi è in uso il taglio del lobo di un orecchio e più frequentemente  la prima falange di un dito della mano, ho incontrato donne senza dita ! I dani hanno sempre fatto guerre tra villaggi a causa di furti, stupri, contese di territorio. I dani sono però normalmente cordiali e gentili, sempre sorridenti, grandi fumatori, disponibili a farsi fotografare magari dietro compenso. La maggioranza dei dani professa la religione cristiana, pochi i cattolici mentre la maggioranza è protestante. Normalmente l’edificio più bello e meglio tenuto del villaggio è proprio la chiesa. I missionari sono prevalentemente di origine americana o olandese (l’Indonesia e stata per circa 350 anni colonia olandese). La chiesa, oltre ad essere il luogo di culto, è comunque il centro di aggregazione del villaggio dove i bambini vanno a giocare ed i ragazzi a cantare ed a suonare la chitarra. I dani sono molto legati alle loro tradizioni ma la modernità sta ormai arrivando pesantemente, c’è da augurarsi che ciò possa almeno migliorare le loro condizioni igieniche e di vita.

Un Natale molto, molto insolito

Il giorno di Natale per me è sempre stato il giorno dedicato alla famiglia, da trascorrere attorno a un tavolo, cose buone da mangiare, il panettone, lo spumante, lo scambio dei doni. Quest’anno invece il mio Natale è stato molto insolito e lo ritengo una eccezione. La sera della vigilia mi incammino verso l’hotel Pilamo, l’unico in Wamena dove è possibile, di tanto in tanto, avere una connessione wi-fi. Lungo il cammino incomincia a piovere a dirotto e quando chiedo la connessione mi sento rispondere che con la pioggia non c’è alcuna possibilità ! Era mia intenzione inviare un po’ di auguri ma mogio mogio entro nel ristorante e mi siedo ad un tavolo. Sulla mia destra una tavolata di giapponesi che cena ma in sala non c’è un cameriere. Più tardi vedo arrivare il padrone dell’albergo Rainbow dove pernotto, anche lui arriva per cenare con moglie e figlia. Poco dopo scopriamo che non c’è più servizio, sono solo le 19 ma lo “chef” è già andato a casa. Jeff, il padrone del Rainbow, mi offre un passaggio verso un altro albergo dove avevo già cenato un paio di sere prima e mi invita al tavolo con moglie (canadese) e la figlia di quasi cinque anni. Ordino una zuppa di verdure, molto buona, e dei gamberi. Mi viene servito un piccolo vassoio con dei gamberi di fiume (il Baliem) di colore rosso acceso. I più piccoli sembrano degli scampetti mentre i più grandi hanno delle enormi chele che assomigliano a delle aragoste, polpa bianca, molto carnosa e saporita. Unica nota negativa: solo acqua, a Wamena vige il divieto di vendita degli alcoolici. La serata con la famiglia indo-canadese è piacevole e mentre mi riaccompagnano in albergo mi invitano a cena per la sera di Santo Stefano. La mattina di Natale sole, cielo azzurro e nuvole bianche. In fianco all’albergo c’è una chiesa protestante con un grande tetto azzurro spiovente, bianca, con un bordino rosa. All’esterno vedo moltissime moto, entro ed è strapiena di fedeli sia al piano terra che sulla balconata, si sta celebrando con molta devozione la messa di Natale. Vado in aeroporto per prenotarmi un ritorno verso Jayapura ma oggi è tutto chiuso, decido così si seguire il mio programma originario ed in auto vado verso il Baliem Valley Resort. Una ventina di chilometri in fuoristrada, prima un asfalto a tratti nuovo ed a tratti dissestato e poi uno sterrato in salita. Ci si porta dai 1.650 metri di Wamena ai circa 2.000 del cosiddetto German hotel. Il nome deriva dal fatto che la struttura è stata costruita, e viene tutt’ora gestita, da un tedesco di Francoforte, un gran viaggiatore che si è innamorato del luogo. La posizione è incantevole, il panorama sulla verde vallata è stupefacente. Si entra in una grande costruzione in legno e paglia dove si trova la sala da pranzo praticamente trasformata in museo in quanto ospita una eccezionale collezione di arte papuana. La struttura alberghiera è composta da una quindicina di cottage rotondi che ricordano le capanne dei dani, una base in cemento ma pareti in legno, tetto in paglia ed una terrazza circolare, anch’essa in legno.  L’interno è arredato con molto gusto, un letto pulitissimo (cosa rara da queste parti) e sopra un batik tradizionale, sul comodino una candela ed una statuetta in legno riproducente un guerriero. Anche il bagno è arredato in legno e, finalmente, una doccia decente tutta ricoperta da pietre. Il costo di una notte è “fuori budget” ma per il giorno di Natale si può fare l’eccezione. Qualche problema per avere l’elettricità e l’acqua calda ma poi il soggiorno è molto piacevole. Dopo i due giorni di trekking (seguirà un resoconto dettagliato) ho proprio bisogno di riposo e relax, di godermi il panorama e un po’ di lettura in terrazza. Per pranzo un “mie goreng” cioè noodles fritti, piccanti, una frittata, cetrioli e Coca Cola. La sera scendo in sala da pranzo e vengo invitato al tavolo dai soli ospiti presenti: due ragazze, bancarie colleghe di agenzia, ed un ragazzo funzionario dell’ambasciata d’Australia, tutti di Jakarta. La serata è piacevole, i ragazzi sono molto preparati e di cultura. Si parla dell’Indonesia, dei problemi del separatismo di Papua, dell’Europa (una ragazza ha vissuto 15 anni a Londra), dell’economia e dei problemi del mondo intero. Dalla terrazza ammiriamo una luna piena che si nasconde dietro le nuvole, la temperatura però incomincia rinfrescarsi. La mattina seguente, dopo una rapida colazione, mi faccio una passeggiata solitaria tra il villaggio e nel pomeriggio rientro in città. Finalmente riesco ad avere un’ora di connessione wi-fi, giusto il tempo per sentire Silvia che si è appena svegliata e un po’ di auguri via internet, le scuse per il mio ritardo ed i ringraziamenti. Riprende a piovere e rientro in albergo dove incontro Sachiko, giapponese, anch’essa invitata a cena. Jeff passa a prenderci e ci accompagna a casa passando dall’ospedale cittadino dove si aggiunge una giovane medico. Jeff è figlio di madre cinese e padre indonesiano, un missionario protestante arrivato a Wamena negli anni sessanta quando praticamente quì era tutta giungla. Ha costruito una chiesa ed un orfanotrofio ancora attivo. Entriamo in casa attraverso un vasto salone senza mobili, una tv e tanti divani. Ci fa accomodare in sala da pranzo dove troviamo un’altra giovane ospite, moglie e figlia. Una tavola preparata con cura e molto elegante, si nota un po’ di signorilità ed un tocco occidentale, al centro una bottiglia di spumante ! Che sorpresa ! In realtà è un vino dolce di mele ma lo stappo della bottiglia con relativo botto mi trasmette l’atmosfera natalizia. Si inizia con una zuppa di  verdure e manzo (un po’ duro), fette di prosciutto grigliate (in un paese musulmano, proveniente da Bali che è induista, in un territorio a maggioranza cristiana. Un bel mix!), calamari fritti ed un purè di patate. Conversazioni molto piacevoli, si parla di Indonesia, Giappone, Italia, religioni. Una serata davvero famigliare ed amichevole, grazie mille per l’invito. Un natale molto, molto insolito ed indimenticabile.

Buon Natale, Feliz Navidad, Joyeux Noel, Merry Christmas

Buon Natale Feliz Navidad Joyeux Noel Merry Cristhmas a tutti. Scusate il ritardo ma la vigilia ho provato ad inviarvi gli auguri ma non c’era la linea perché pioveva a dirotto, poi mi sono portato in un albergo meraviglioso in montagna e non avevo nessun tipo di connessione. Oggi sono rientrato a Wamena e posso incominciare a scrivere la storia di questi giorni indimenticabili. Un caro saluto a parenti, amici e followers

L’arrivo a Wamena

Venticinque minuti di volo sono sufficienti per raggiungere Wamena nel centro di Papua. Lasciato il mare solo montagne e colline verdi, poi una pianura, qualche risaia e tetti in lamiera. Così si presenta Wamena, una città di recente fondazione con strade tra loro parallele e perpendicolari. La pista dell’aeroporto è a ridosso della città, forse troppo corta per un Boeing 737, il pilota è costretto a frenare bruscamente. Si aprono i portelloni e sono tra i primi a scendere, nuvoloni sopra la mia testa e nessuna indicazione per l’aerostazione. Camminando sulla pista si passa sotto sotto le ali un aereo pronto al decollo. Mi guardo in giro come se chiedessi “ma dove debbo andare ?”. Poi mi fanno segno di qua, cioè mi indicano un capannone con piloni in legno e tetto in lamiera tutto bucato. Più avanti un cancello con dietro le persone che aspettano i passeggeri in arrivo. Facce un po’ brutte debbo dire e pelle molto scura, più africani che asiatici. Sulla mia destra una specie di pollaio chiuso da una lamiera ed una rete pieno di gente, è la “sala d’imbarco”, ed i bagagli chiedo ? La risposta non può essere che wait, wait e mi indicano un altro recinto con una specie di balconata in legno. I bagagli arrivano su dei carrelli trainati a mano, vengono depositati, si fa per dire, a terra. Si tra la terra e i sassi. Vedo però la mia valigia che qui è assolutamente riconoscibile senza ombra di dubbio. Inizia la ressa, tutti che chiedono i propri bagagli e si arriva tra urti e spintonate. Io mi ritraggo un attimo e poi arriva il mio turno. Bisogna riconoscere però che ogni bagaglio vene consegnato solo dopo un attento controllo dei codici di riferimento. Sono già stato avvicinato da strani tipi che si offrono come guide, cerco di evitarli ma all’uscita non trovo i taxi (qui non esistono) e mi faccio accompagnare da uno di loro che poi diventano due. Solo dopo un po’ capisco che mi accompagnano all’albergo suggerito dalla LP, a piedi. Comunque trovo una camera decente ed una guida per il trekking nella valle del Beliem. Partenza domani mattina in direzione Sud con guida e portatore, bagagli ridotti al minimo per una notte da passare in capanna. Sicuramente mi aspettano un paio di giorni indimenticabili.

Jayapura

Tra il volo delle sei del mattino e quello notturno scelgo quest’ultimo. La voce del capitano mi sveglia che è già giorno, volgo lo sguardo sotto le ali e vedo una grande distesa verde che finisce su una costa molto frastagliata. Un forte contrasto verde azzurro rotto da un serpentone marrone, le acque di un fiume che si gettano in mare. Sto per atterrare a Timika a Sud di Papua, solo uno scalo per poi arrivare a Jayapura, la città principale dell’isola situata a Nord, a pochi passi da Papua Nuova Guinea. La città è costruita attorno ad una profonda insenatura del mare racchiusa da alcune isole, tutto attorno colline verdi. Case anonime ed una chiesa cristiana protestante, di colore bianco, con una terrazza panoramica sul mare, l’interno addobbato di viola per l’avvento ed un prete chiaccherone che mi intrattiene con molte domande. Più avanti un centro commerciale a tre piani, pieno di negozi, dove pranzo e bevo un espresso double shot, davvero buono, preparato da un simpatico barista con una macchina rigorosamente italiana. Dal centro commerciale sale una strada verso la collina. Molte case di diversi colori, una specie di favela con migliaia di panni stesi. Molti bambini e ragazzi mi fermano con un hello o con un mister. Incontro una ragazzina con una bimba in braccio, un gruppetto che si rincorre per le stradine mentre un giovanotto lava un motorino ed un anziano taglia noci cocco. Passo davanti ad una piccola moschea mentre il muezzin chiama i fedeli alla preghiera, esattamente di fronte un terrazzino con l’albero di Natale ed un Merry Christmas. Trascorro un paio di pomeriggi in piscina, l’albergo ha una bella terrazza sul mare con tanto di palme. la domenica è molto frequentata, io sono l’unico straniero. In fianco a me tre giovani ragazze locali, ovviamente parlano l’indonesiano ma ad un certo punto sento dire una parola che attira l’attenzione di ogni italiano all’estero: spaghetti. Arriva una fondina fumante e le ragazze se la divorano, very good, italian food ! Sorrido e mi faccio coinvolgere, ordino subito una porzione anche per me. Debbo riconoscere che il sugo di pomodoro era un po’ particolare ma che gusto ! Divorati con passione ed un bicchiere di vino rosso.  Comunque io sono a Jayapura per organizzare la tappa successiva a Wamena, località posta al centro dell’isola. Il sabato pomeriggio mi reco al posto di polizia per richiedere il visto d’entrata nella zona della etnia Dani ma l’ufficio ha chiuso in anticipo. la domenica mattina invece ottengo il permesso con tutta facilità ma non riesco a prenotarmi il volo aereo perché nessun sito mi accetta la carta di credito ! Il lunedì mattina prenoto il volo per il giorno successivo, pagamento in contanti, quasi un milione di rupie ma sono circa 55 €. Impossibile anche prenotare un albergo, domani mattina parto e poi vedremo cosa succederà.