Il gruppo ritorna ad essere composto da tre persone in quanto Kristian è indisposto. L’esplorazione della città parte dal mercato. Frutta e verdura, uova, carne e pesce vengo offerti ai compratori. Piccole cucine di strada offrono cibi locali: zuppe, riso fritto, curry. Nel corso della giornata visitiamo diverse pagode e stupa. Molti sono costruiti con mattoni rossi, altri dorati o colorati di bianco. A Bagan ci sono oltre 2000 tra stupa, templi e pagode. Lo sguardo si perde tra la verde campagna mentre cupole rossastre, bianche o dorate spuntano ovunque. All’interno delle pagode troviamo Buddha nelle diverse versioni, seduto o all’impiedi, dorato o colorato, alcuni vestono dei drappi gialli e fiorati. Ai loro piedi le offerte dei fedeli: fiori, banconote, acqua, banane, angurie, ecc. Verso sera saliamo i ripidissimi gradini di una pagoda per vedere il tramonto. lo spettacolo dall’alto è unico, tra il verde della vegetazione svettano gli stupa mentre il cielo si colora di rosso. Chiudiamo la giornata con una pizza (margherita e napoletana) cotta in un forno a legna. Incredibile ma erano davvero buone ! Il giorno successivo noleggio una e-bike. Una leggera motocicletta con pedali, alimentata da una batteria. La mattina il sole è già caldo ma all’ombra delle piante si gode ancora un po’ di fresco. Lasciato il “centro abitato” si può vedere l’attività di tutti i giorni: due pastori attraversano la strada col loro gregge di pecore, un contadino trasporta del fieno su un carro trainato da due buoi, qualche contadino lavora la terra nei campi. Visito alcune pagode ma la cosa più interessante è la passeggiata tra le stradine di un villaggio. Mi soffermo quando trovo qualche bimbo o qualche signora. Le case sono molto semplici. Costruite con legna, stuoie e paglia. Ognuna ospita qualche mucca, i cani randagi sono ovunque. Raggiungo la riva del fiume dove alcune donne scaricano della ghiaia da un barcone mentre altri salgono sulle barche per attraversare il fiume. Dopo circa quattro ore la e-bike incomincia ad andare in modo irregolare. La batteria è scarica e sono sotto il sole dell’una. Un ragazzo mi chiede se ho bisogno di aiuto, telefona al gestore del noleggio e nel giro di cinque minuti arriva la signora con la batteria di ricambio. Ottimo servizio ! Rientro per un pollo al curry, riso e verdure di contorno.
In navigazione verso Bagan
La mattina sveglia che è ancora buio, arriviamo sul pontile mentre sta albeggiando. Iniziamo così la nostra navigazione in battello sul fiume Ayeyarwaddy in direzione Bagan, verso sud. Nel frattempo, durante il nostro soggiorno a Mandalay ci ha raggiunto il quarto del gruppo, Kristian, un trentenne tedesco. Il battello parte puntualissimo alle 7, percorre il fiume di fronte alla collina occidentale visitata un paio di giorni prima. Ora i templi e le pagode le ammiriamo dal fiume con i colori tenui della luce del mattino. Passiamo sotto il lungo ponte in ferro già percorso in auto. lungo le rive del fiume notiamo capanne di pescatori, povere abitazioni di contadini mentre sull’acqua scorrono canoe, barche a motore e barconi adibiti al trasporto di merci. Sul battello una settantina di turisti accompagnati dalle loro guide. Le lingue europee e lo slang americano si incrociano sui tre ponti. Verso mezzogiorno viene servito un leggero pranzo: riso con verdure, frittatine ed arachidi. Verso le cinque del pomeriggio, dopo quasi dieci ore di navigazione, arriviamo a Bagan, l’antica città. Sulla riva del fiume una grande agitazione di autisti, taxi, portabagagli, venditori di libri e cartoline. Una ottima ed abbondante cena dà inizio alla nostra visita della città
Mandalay, la vecchia capitale
Mandalay è stata la residenza del re Konbaung che ha dovuto cedere i suoi poteri agli inglesi poco più di cent’anni fa e recarsi in India in esilio. Al centro della città sono visibili le ben conservate mura del palazzo reale la cui area centrale è stata totalmente distrutta a colpi di bombardamenti. Attorno alle mura, il cui perimetro è di circa quattro kilometri, corre un largo fossato sulle cui acque si riflettono le torri a pagoda e le mura stesse. La città non offre molto ma alcuni monumenti sono di grande interesse. In primo luogo va segnalata la pagoda Kuthodaw da qualche anno protetta dall’UNESCO. Una enorme struttura a base geometrica con al centro un grande stupa dorato circondato da stupa più piccoli. Nell’area cirostante 729 cappelle bianche ognuna delle quali ospita una pagina di marmo iscritto. Le 729 pagine di marmo costituiscono il più grande libro del mondo. Seconda per importanza dopo la pagoda di Yangoon è il tempio Mahamuni che nella sua area centrale ospita una enorme statua del Buddha col viso di bronzo ed il corpo completamente ricoperto da foglioline d’oro che i fedeli incollano con molta cura quotidianamente. Anche qui, come al Golden Rock, l’oro può essere donato dai soli uomini che si arrampicano lungo una stretta scaletta metallica mentre le donne possono assistere alle operazioni dal fondo del tempio o attraverso degli schermi televisivi. In automobile ci portiamo sul lato occidentale del Ayeyarwaddy River percorrendo il lungo ponte in ferro. Colline verdi piene di templi, stupa di diverse dimensioni, alcuni bianchi, altri dorati. Sulla cima della collina più alta, dalla quale si gode un bellissimo panorama, visitiamo un tempio che ospita 45 statue di Buddha allineate lungo un semicerchio. Nel pomeriggio breve navigazione sull’Elephant River, sul fiume incontriamo canoe e battelli adibiti al trasporto di ogni tipo di merce. Molto particolari sono le barche a motore che trainano delle estese zattere di legno dove “l’equipaggio” passa le giornate all’ombra di una capanna che li ospiterà anche nel corso della notte. Non mancano i panni stesi al sole. Arriviamo a Mingun dove visitiamo una pagoda voluta dal re Bodawpaya. La struttura a pianta rettangolare avrebbe dovuto raggiungere i 170 metri d’altezza ma il re morì prima del completamento dell’opera. Il suo successore interruppe la costruzione ed in seguito un terremoto ha aperto delle profonde crepe nella roccia. L’interno però è rimasto intatto. Nella piccola cappella ricavata tra la roccia troviamo un Buddha con le offerte lasciate dai fedeli ed un monaco seduto davanti un basso scrittoio che raccoglie soldi per la beneficienza. Passeggiando lungo la strada ci fermiamo a dare due calci al pallone fatto con le foglie secche assieme ai ragazzi del paese. Più avanti troviamo la campana più grande del mondo dal diametro maggiore di 5 metri. Davanti la campana una iscrizione su marmo dietro il quale spunta il viso di un bellissimo bimbo sorpreso da questo gruppetto di turisti che lo fotografa come fosse una diva di Hollywood. Rientramo in città in battello bevendo una birra fresca mentre il sole scompare dietro le colline. Visitiamo anche la antica capitale Amarapura dove troviamo il ponte in tek più lungo al mondo. 1200 metri di legno, praticamente una lunga passerella sorretta da tronchi che poggiano sul fondo del lago e degli isolotti. Tutto attorno si svolge la vita quotidiana di sempre: pescatori su canoe, contadini al lavoro che arano la terra aiutati da due buoi di colore bianco, centinaia di anatre si muovono alla ricerca del cibo tra le basse rive e l’acqua. Sullo sfondo, oltre i prati verdi e le terre coltivate, si intravedono degli stupa bianchi che si riflettono nella dolce acqua del lago. Cinque minuti d’auto ed arriviamo al monastero Mahagandadayong che ospita circa mille monaci di tutte le età. I giovanissimi sono vestiti di bianco mentre i ragazzi e gli adulti con la tipica veste buddista. Sono le 10,30 del mattino quando i monaci allineati su due file percorrono le stradine interne per andare al refettorio. Ognuno di loro tiene tra le braccia un vaso che contiene le donazioni ricevute lungo la questua effettuata la mattina. Mentre sfilano davanti a curiosi e turisti c’è chi offre dolci e caramelle. Terminata la lunga sfilata vediamo i monaci seduti a tavola che consumano il loro pranzo, l’ultimo della giornata dopo una colazione ricevuta prima dell’alba. Verso sera ci portiamo sulla cima del Mandalay Hill dove sorge un tempio. Il luogo è pieno di turisti e di birmani che attendono il tramonto. Lentamente il sole si nasconde dietro le colline colorando il cielo di rosso mentre sul lato opposto sorge una luna praticamente piena. Chiudiamo la nostra permanenza a Mandalay assistendo allo spettacolo tradizionale delle marionette. La tradizione delle marionette in Myanmar risale ad alcuni secoli fa, da venticinque anni un gruppo di artisti ha ripreso questa tradizione ed il risultato è straordinario. Con musiche dal vivo le marionette vengono mosse con scaltrezza, velocità ed armonia. Animali che corrono lungo il palchetto, scontri tra guerrieri, danzatrici. Uno spettacolo davvero emozionante, il ristretto pubblico presente applaude lungamente.
Yangoon e The Golden Rock
Sabato 21 novembre si costituisce il gruppo della Classic Burma Adventure. Con grande sorpresa da parte di tutti siamo solo in tre ! Oltre a me una giovane signora americana ed una giovanissima ragazza tedesca. Ci accompagna un ragazzo birmano di soli 23 anni. Cena birmana giusto per conoscerci e la mattina seguente si parte di buonora. Per prima cosa andiamo a visitare la pagoda di Shwedagon , il luogo più sacro di tutto il Myanmar. La pagoda risale a 2500 anni fa. E’ una domenica mattina ma il tempio è già frequentato da molti locali e qualche turista. Vi si accede con un ascensore che porta al piano dove al centro si trova la più alta pagoda del paese, l’altezza supera i cento metri. La superficie è tutta dorata ed in cima si trova l’ombrello d’oro. Tutto attorno stupa bianchi e dorati, cappelle con le diverse tipologie di Buddha e altarini, due per ogni giorno della settimana, dove i fedeli vanno a pregare, a lasciare offerte ed a lavare con l’acqua le statuette del Buddha. Lasciamo la pagoda e ci aspettano cinque ore di auto con sosta per il pranzo. Arrivati a Kyaikhtiyo, siamo ad est (non lontani dalla Thailandia), si lascia l’auto e con il bagaglio ridotto prendiamo un autocarro con panche adibito al trasporto di persone. Sugli autocarri i turisti si mescolano ai monaci ed ai pellegrini provenienti da tutto il paese. Gli autocarri affrontano una salita ripidisssima, stretta (vige il senso unico alternato), tutta curve, col fondo in cemento. Salendo la montagna, l’aria si rinfresca sempre più. Tre quarti d’ora di tragitto e si arriva in prossimità del luogo sacro. Lungo la strada chioschi vendono ogni tipo di ricordini e oggetti sacri, baretti e ristoranti. Lasciate le scarpe l’ultimo tratto lo si percorre a piedi nudi. Sulla cima della montagna una grande spianata col pavimento piastrellato. Il viavai dei pellegrini è continuo, molti dormono qui all’aperto sotto una pianta od un gazebo. In fondo alla spianata, sulla sinistra, la famosa e sacra Golden Rock: un grande masso appoggiato alla roccia con in cima un ombrello dorato. Tutto attorno gli uomini incollano quadratini d’oro mentre le donne rimangono poco più lontano a pregare ed a lasciare offerte. E’ l’ora del tramonto ed i colori della roccia e del cielo variano assumendo colorazioni rosee fino a diventare buio. Noi prendiamo l’albergo sul versante orientale della montagna e di fronte alle nostre finestre si apre un meraviglioso panorama sulle montagne circostanti. La mattina seguente si percorre la strada a ritroso. Autocarro in discesa col fresco della mattina e poi in auto verso Yangoon. In tarda mattinata sosta a Bago, l’antica capitale del popolo Mon. Interessante la visita al Buddha sdraiato, una statua lunga 55 metri ed alta 16. Solo per dare una idea dell’enormità, l’orecchio è alto 5 metri. Dopo un veloce pranzo si riparte verso l’aeroporto di Yangoon, un paio di voli, un’ora e mezza complessive ed arriviamo a Mandalay. I trasferimenti ci hanno stancato, la giornata si chiude con una cena in albergo.
Vacanza al mare
Sono arrivato a Yangoon molto stanco e stressato. Le precedenti tre settimane in India sono state piuttosto pesanti. Negli ultimi anni ho imparato ad ascoltare il mio corpo e la mia mente, entrambi mi dicevano: fermati, riposati ! Così ho speso qualche giorno ad organizzare le tappe successive e mi son prenotato un albergo sulla costa occidentale del Myanmar. Lascio l’albergo nel primo pomeriggio, in taxi vado verso la bus station. C’è tutta la città da attraversare. Anche se son partito per tempo, a causa del traffico, arrivo all’ultimo secondo mentre il pullman sta già per partire. Mi aspettano cinque ore di viaggio. La strada scorre tra risaie e zone verdi. Ai lati della strada abitazioni (tipo palafitte in legno) costruite sui canali di irrigazione dei campi di riso. Dopo qualche ora una sosta mentre il cielo si colora di rosso, è l’ora del tramonto. Su un lato della strada una mega palafitta in legno, il perimetro è tutto illuminato da lunghi neon verdi. Attraverso un ponticello, anch’esso in legno, si accede al ristorante dove mangio riso fritto con verdure. Si riparte, ora è buio. Dopo qualche ora la strada è sempre più sconnessa, un lungo cantiere infinito. Ad un tratto inizia a salire tra curve strette e ponticelli larghi quanto il pullman. Più avanti una seconda sosta presso una baracca adibita a ristoro. La TV però è accesa e dà il calcio inglese, molto seguito quì in Myanmar. Faccio due passi e noto di essere sotto un mare di stelle in una notte buia. Si riparte ma non si arriva mai. Sul pullman è molto freddo (a causa della AC) mentre fuori la temperatura è molto mite. Ad ogni sosta ne approfitto per riscaldarmi un po’. Le cinque ore che mi aspettavo diventano una eternità. Si passa la mezzanotte … e oltre. Alle cinque del mattino un signore molto gentile mi chiede: quale è il tuo albergo ? Senza saperlo sono arrivato. Io mi aspettavo di arrivare in una città invece mi sono trovato direttamente sulla strada litoranea. Prendo la camera mentre già albeggia ed in spiaggia vedo molta agitazione. Sono troppo stanco e dormo qualche oretta. Al risveglio mi rendo conto di essere arrivato in un posto da sogno. Una spiaggia bianca lunga poco più di un chilometro, racchiusa da due piccoli promontori, alle spalle palme da cocco. La sensazione è di totale pace e tranquillità. Le megalopoli d’oriente, col traffico rumoroso e intasato, con l’aria resa quasi irrespirabile dagli scarichi dei motori, sono lontane ! Qui la spiaggia si agita la mattina all’alba. Urla e rumori di motori diesel rompono il silenzio notturno. Sono i pescatori che ritornano dopo una notte di lavoro, il bottino non mi sembra mai rilevante ma nessuno ha le mani o le ceste vuote. Tutto il resto della giornata passa tranquilla, anzi nelle ore più calde la spiaggia è praticamente deserta. Lungo la spiaggia solo due alberghi che ospitano una quindicina di turisti in tutto ed un paio di capanne adibite a ristorante con i tavolini sulla spiaggia. Il piacere di mangiare a piedi nudi tra la sabbia ! Io ovviamente scelgo tra i due quello che mi sembra essere il più locale. Infatti è gestito da una famiglia birmana, a tavola mi serve un ragazzetto sempre molto gentile mentre il fratellino più piccolo, due anni scarsi, gioca tra e sotto i tavoli. La cucina non è sofisticata, al contrario molto semplice e locale ma i piatti sono da ricordo. Tutto a base di pesce e verdure, riso e poco altro, ma molto, molto piacevole. Zuppe di pesce, grigliatine, insalate di mare o piatti a base di curry. Speciale è stato un piatto di gamberi con curry e succo di cocco, un agro-dolce molto particolare. Sulla spiaggia la vita riprende solo verso sera quando qualcuno incomincia a passeggiare, i ragazzi giocano a calcio, i pescatori risalgono in barca e riaccendono i loro motori. Uno sbuffo di fumo nero e via, verso il mare aperto. Verso le sei inizia lo spettacolo naturale del tramonto. Il cielo varia più volte i sui colori e nel giro di un’oretta è buio, è notte. All’orizzonte si vedono le luci delle lampare, allineate le une alle altre, distribuite un po’ alla rinfusa. Dall’orizzonte si apre un emisfero completamente illuminato da miliardi di stelle e piccoli corpi celesti che va a infrangersi disordinatamente sul lato opposto tra le foglie delle palme che ormai sono delle ombre nere in leggero movimento. Il caldo della giornata è passato, una leggera brezza, quasi tiepida, rinfresca ogni serata. Ieri, l’ultimo giorno, il responsabile del ristorante dell’albergo (dove facevo solo colazione) mi invita a cena. Tutto offerto e senza un preciso motivo, solo per cortesia, così, per lasciare un buon ricordo. Mi servono una insalata tropicale, una zuppa di pesce piccantissima (da fuoco sulle labbra) ed un pesce presentato sul piatto come fosse una barca, circondato da un sughetto di verdure, peperoni verdi piccanti e del riso bollito che solo in parte riesce a spegnere il piccante. Ritorno a Yangoon questa volta molto più comodamente su un aereo. La vacanza di mare è terminata, ora mi aspetta l’avventura birmana.
Il Myanmar e Aung San Suu Kyi
Arrivo oggi nel primo pomeriggio a Yangoon con un volo da Calcutta. La vittoria del premio Nobel alle elezioni che si sono svolte ieri è già nell’aria. Il taxista che mi porta in albergo sembra essere un sostenitore di San Suu Kyi. Quando gli chiedo notizie lo vedo agitarsi e muove il pugno in segno di vittoria. Gli chiedo se può accompagnarmi dove si festeggia. Alle 5 passa a prendermi in albergo e transitati davanti alla meravigliosa pagoda di Shwedagon parcheggia nei pressi della sede del National League Democracy. La strada è strapiena di persone. Magliette rosse, bandiere rosse, persone colorate, tutti in festa per la vittoria. Il traffico è bloccato da due ali di folla. Poco più avanti un megaschermo dà in diretta il comizio della leader birmana. Ovazioni e urla di gioia. Vedo molti giovani che festeggiano, per loro forse si apre un futuro diverso. Io credo di aver vissuto una pagina di storia della democrazia
Darjeeling
Il treno per Darjeeling parte puntuale, questa volta però sono in classe Sleeper, una specie di seconda classe degradata. Niente set di biancheria, sei persone per comparto, niente A/C ma siccome si va verso le montagne questo non è un problema. Con me c’è un signore della mia età ed una famiglia che sta andando in vacanza da amici, al fresco. Dopo circa 11 ore di treno a Siguli la linea ferroviaria termina, mi attende un auto mandata dall’albergo. La città dista circa 70 km. Prima si percorre un tratto in pianura poi improvvisamente la strada incomincia a salire con curve e tornanti tra montagne ricoperte da un verde intenso. Qui prevale il the. Di tanto in tanto capita di attraversare le nubi. la strada si fa stretta, ogni incontro con un altro mezzo è un rallentamento se non uno stop. I clacson si usano in continuazione. Salendo si incominciano a vedere i primi segnali del buddismo tibetano: tempietti, stupa, bandiere colorate. A Kurseong incrociamo il Darjeeling Himalayan Railway, un trenino soprannominato Toy Train con lo scartamento di soli 60 cm. Un treno storico ora protetto dall’UNESCO. C’è una versione diesel ed una a vapore, entrambe lente, entrambe molto particolari. La linea ferroviaria attraversa la strada più volte, ad ogni attraversamento il traffico si blocca. Si creano lunghe file di fuoristrada che cercano il modo di alternarsi (senza una logica) lungo la stretta strada. Salendo la temperatura si abbassa e la mia maglietta estiva non è più sufficiente. Dopo oltre tre ore di auto arrivo in città. Darjeeling è situata a circa 2.200 metri di altezza ai piedi del Monte Khangchendzonga (8598 metri slm, il terzo al mondo per altezza). Costruita su un ripido versante della montagna, ha due strade parallele che la percorrono ed una marea di negozi e negozietti. Pernotto all’interno di una piantagione di the in una casa nobiliare trasformata in resort. Un bel giardino all’inglese all’esterno, un salotto con divani e camino all’interno, un’area pranzo anch’essa con camino. Le camere per gli ospiti sono quattro, a me viene assegnata la Himalayan Suite. Trovo in albergo due coppie tedesche con le quali faccio amicizia. la sera ci raggiunge anche il padrone del locale e della vasta piantagione circostante, fabbrica annessa. Un vero boss ma anche molto umano e, almeno con noi, amichevole. Le serate in compagnia sono piacevoili. The ma anche vino rosso (offerto), cene vegetariane, chiacchere in assoluta libertà. Però fa freddo, un vetro è rotto, arriva aria gelida, il fuoco del camino non è sufficiente a riscaldare l’ambiente. Cibo caldo e vino aiutano a star meglio. Un giorno lo dedichiamo al the. Tutti in compagnia andiamo a visitare la fabbrica poi in fuoristrada ci accompagnano nella piantagione dove è stato preparato un tavolino con ombrellone. E’ fresco ma il sole batte forte. Si fa un brunch vegetariano accompagnato da the, frutta e succhi. Tutto intorno solo piante di the. Qui e là macchie colorate, sono le donne che raccolgono le preziose foglie di the. Le raccoglitrici hanno una gerla tenuta da una striscia di stoffa avvolta attorno alla fronte. Alla consegna in fabbrica il raccolto sarà pesato e se sarà superiore ai 4 kg la raccoglitrice riceverà un compenso extra. Darjeeling produce il 25 % del the indiano, è famosa in tutto il mondo per la sua ottima qualità. Questa azienda da oltre 20 anni fa coltura biologica e produce molte specie di the. Abbiamo il verde, il masala (molto speziato) e tanti altri sapori e colori ma tutti provengo dalla stessa foglia di the ! Ci viene anche preparato un assaggio delle diverse tipologie. Nel pomeriggio tre ore di passeggiata tra la ripida piantagione. E’ soleggiato ma il vento è fresco. Il cielo è a tratti nuvoloso e le montagne che dovrebbero fare da sfondo, purtroppo, non le vediamo. La sera, col buio, è invece piacevole la vista della città illuminata. La notte è fredda, io dormo con coperta e piumino. Il giorno successivo, dopo una bella colazione in giardino sotto l’ombrellone, ci facciamo portare in città. Ci vuole circa mezzora di fuoristrada lungo una salita ripidissima. Andiamo verso la stazione del Toy Train, troviamo posto sulla versione diesel, considerata non turistica. L’esperienza è unica. Il treno si fa largo tra le auto in attesa e sale suonando in continuazione. Costeggiamo case e negozi, sembra quasi di entrarci dentro. A tratti la vista si apre e si domina il panorama della città. Arriviamo alla stazione di Ghom dove scendiamo per andare a visitare un tempio buddista. Torniamo a Darjeeling in auto. Un the per riscaldarci e poi solo vado allo zoo. Lì riesco a vedere un paio di tigri e diversi animali tipici del Bengala. All’interno dello zoo l’interessante Museo dell’Himalaya. Fotografie, la storia della conquista della vetta dell’Everest, ed è molto interessante notare l’evoluzione delle attrezzature dagli anni ’50 ai giorni nostri.
Calcutta
Lascio l’Assi Ghat di Varanasi verso le nove di sera. Vado in tuk tuk verso una stazione ferroviaria fuori città. Sono 16 km da percorrere e fa piuttosto freddo. Arrivo in stazione per tempo, il treno dovrebbe partire a mezzanotte. Alle 11 ancora non ci sono notizie, il treno arriva da Bombay ed è in ritardo di due ore, poi quattro, poi sei. Mi sento perso ! Nella stazione dormono e bivaccano per terra centinaia di persone. Non so che fare, vado al binario 2 dove dovrebbe arrivare il treno. Passo la notte in bianco e finalmente il treno arriva alle 7 del mattino. Nonostante l’orario vince la stanchezza. Riesco a dormire qualche oretta in cuccetta ed arrivo a Calcutta con oltre sette ore di ritardo. Calcutta, ora Kolkata, è stata la capitale dell’India durante il dominio inglese. Ora è una grande megalopoli da 17 / 18 milioni di abitanti, in continua crescita. Traffico rumoroso e congestionato, la solita architettura, il solito degrado. Riesco a trovare una escursione nella giungla ad un prezzo interessante. Si parte la mattina, tre ore di mini-bus attraverso risaie e piccole città col traffico bloccato dove riusciamo a passare a malapena. Arriviamo sul fiume e lo attraversiamo su un barcone chiamato ferry, 20 minuti di motocarro poi altri 10 minuti in barca a motore. Un viaggio molto vario ed emozionante. Siamo in cinque: io, una coppia di americani e due giovani indiani. Arriviamo al villaggio, prendo possesso della capanna nella quale dovrò passare la notte, al limite della mia accettabilità igienica. Passeggiata nel villaggio tra le risaie e le povere case. Tutto attorno prevale il verde: risaie, banani, palme. Segue una escursione in barca tra la laguna fino al tramonto. Il cielo si colora di azzurro intenso, di rosa fino ad un rosso infuocato. Le nuvole disegnano delle figure in continua evoluzione. Rientriamo nel villaggio, cena vegetariana, musica e canti tradizionali eseguiti da un trio. Chiudiamo la giornata con una lunga navigazione notturna tra le mangrovie. Purtroppo il cielo è nuvoloso e mancano le stelle. La mattina successiva partenza all’alba in battello. A noi si aggiungono altri nove indiani di Bombay in vacanza. Attraversiamo il Sundarban Tiger Reserve, una vastissima area di laguna formata da grandi isole verdi nel West Bengala. Qui sopravvivono circa trecento tigri. Dal battello riusciamo a vedere diverse tipologie di uccelli, cervi e qualche coccodrillo. Il più grosso lo scorgiamo nettamente sulla spiaggetta di fronte a noi. Se ne sta fermo a prendere il calore del sole quando improvvisamente si tuffa nelle acque della laguna e sparisce. Ci fermiamo presso un paio di torri di avvistamento di tigri. Eravamo tutti consci che la vista di un felino sarebbe stata praticamente impossibile. L’ultimo avvistamento, durato nove minuti, è accaduto il 21 ottobre, due in luglio, uno in agosto. Tocchiamo terra che è già buio. Rientriamo in città in auto, prendo albergo lungo la Sudder Street, una delle vie più tipiche. In un piccolo baretto dove prendo un the riesco a prenotarmi il treno per Darjeeling. Prima di lasciare Calcutta voglio rendere omaggio al premio Nobel Madre Teresa. Mi reco presso la Casa Madre. L’esterno è grigio e insignificante ma all’interno si incontrano le suore con la tradizionale veste bianca e striscia blu. Tutte attive e sorridenti. Più tardi le intravederò in una sala del primo piano intente a pregare. Nel cortile, sulla destra, la tomba di Madre Teresa. Marmo bianco ed una lapide, sopra una scritta fatta con dei fiori gialli: Jesus lives in you. Più avanti un piccolo museo con la storia di madre Teresa, vecchie fotografie ed oggetti personali. Di fronte è visitabile la semplice camera dove alloggiava.
Le Cremazioni
Dal Main Ghat mi porto in barca a remi verso il Manikarnika Ghat, il principale punto di cremazione della città. Appena scendo a terra vengo avvicinato da una ” guida” che mi accompagna come “visitatore”. E’ evidente che da soli non si può proseguire. Entro nell’area delle cremazioni camminando su cenere scura, soffia un vento molto caldo riscaldato dal fuoco delle pire. Le pire sono disposte disordinatamente tra un gran viavai di intoccabili che trasportano cadaveri su dei tronchi di legno ricoperti da tessuti colorati. I corpi vengono immersi nel fiume prima di essere deposti sulle pire di legno. Avevo già assistito alle cremazioni a Katmandu ma là era tutto più ordinato. Qui prevale una gran confusione che si mescola alla mestizia del luogo. Un uomo passa davanti a me per consegnare al fiume le grandi ossa annerite del proprio padre. E’ il maggiore dei figli maschi ad avere questo compito dopo essersi rasato la testa totalmente. Più in là altri intoccabili portano al fiume cenere e resti di legna bruciata. Di fronte alla riva il “boss” del luogo. Sdraiato sulla sua barca, all’ombra di un telo, detta ordini agli uomini che gli consegnano gioielli ed oggetti di valore ritrovati tra la cenere. L’accompagnatore mi porta all’interno di una palazzina decrepita e ingrigita, salgo una scala buia ed arrivo in una sala vuota e scura dove trovo una vecchia seduta con la mano tesa. L’accompagnatore mi dice che debbo fare un’offerta per la legna delle pire dei morti delle famiglie povere. Seicento rupie (poco più di 8 €) al quintale, mille rupie non bastano, occorrono almeno due quintali, basteranno 1.100 rupie per superare il passaggio. La signora ringrazia e mi bacia la mano. Ci affacciamo da un terrazzino. La vista sulle pire è desolante. Sento arrivare vampate di vento caldo misto a fumo acre. Altre 500 rupie per scattare una foto. Si, 500 rupie (circa 7 €) a scatto. Ne faccio uno solo ma imperdibile. Scendiamo le scale e passiamo davanti all’ospizio dove vengono ospitati i malati terminali pronti ad essere sottoposti (entro le 24 ore dalla morte) alla cremazione. Si tratta di una palazzina decrepita scura, annerita, tristissima. Vengo accompagnato fuori dall’area delle cremazioni, altre 500 rupie al mio Caronte. Si, quello che ho fatto sembra proprio un viaggio attraverso l’inferno mentre ciò che ho visto è la quotidianità di un luogo attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno. Le pire sono sempre attive, gli intoccabili lavorano giorno e notte, il boss sulla barca si arricchisce. Anche questo è Incredible India !
Varanasi
Benares, oggi Varanasi, è una città con oltre 2.000 anni di storia. Varanasi è a suo modo unica e straordinaria. Situata sulla riva occidentale del Gange, città di Shiva, è luogo sacro per eccellenza. Qui gli indù vengono a lavare una vita di peccati, qui vengono per morire e per cremare i morti. Varanasi ha un centro storico costituito da un dedalo di vie strettissime dove possono passare solo pedoni, vacche, moto e biciclette. I negozietti, semplici, poveri, ma pieni di luce, si susseguono l’uno dopo l’altro. La città più recente ha un traffico impossibile e rumoroso, reso ancora più caotico dagli animali che lo ostacolano. Ma Varanasi è soprattutto il Gange con i suoi ghat, le scalinate che scendono sul fiume e che si distendono per circa 3 / 4 chilometri. Lungo i ghat gli indiani vengono a lavarsi ed a lavare i panni, vengono a pregare e ad offrire doni (fiori e candeline) al Gange, ma anche si passeggia, si chiacchera e c’è chi suona, chi pratica yoga e meditazione. E c’è anche chi cerca di sbarcare il lunario vendendo qualcosa, offrendo un passaggio in barca ai turisti o semplicemente chiedendo la carità. Prendo albergo ad Assi Ghat, il più a Sud tra i principali. La mattina sveglia puntata alle 6 ma alle 5 già vengo svegliato da suoni, urla e canti. Mi precipito al ghat ed assisto alla puja: bagno nel Gange seguito da offerte e preghiere. Assisto alla puja anche al Dasaswamedh Ghat dal quale percorro in barca un tratto del fiume. Interessante è vedere la vita che si svolge qui quotidianamente. La sera, presso i ghat più importanti (Assi, Dasaswamedh, Man Mandir) assisto alle cerimonie del “ganga aarti” un misto di spettacolo con fuochi, musiche e canti, profumo d’incenso, e solenne funzione religiosa rivolta al fiume sacro. Segue una specie di benedizione con offerte di fiori. Il tutto molto emozionante ed autentico.